COVID-19 | BOLLETTINO #33 | 22 dicembre 2020
“Possa il Signore restituirci la vista, per riscoprire che cosa significhi
essere membri della famiglia umana”. (Papa Francesco)
Assistenza agli sfollati forzati
Nel corso degli ultimi undici anni, due conflitti devastanti hanno segnato profondamente le popolazioni nelle regioni di confine tra Camerun e Nigeria (EN; FR; ES), uccidendo persone innocenti, costringendo i bambini ad abbandonare la scuola e molte famiglie a fuggire dalle loro abitazioni.
In questo contesto, la popolazione della Nigeria nordorientale, a causa degli attacchi di Boko Haram, si sposta quotidianamente nella regione settentrionale del Camerun, dove molti camerunensi sono anch’essi sfollati forzatamente. Il campo di Minawao, costruito in Camerun nel 2015 per accogliere i rifugiati nigeriani, ora ospita anche gli sfollati interni camerunensi. La diocesi di Maïduguri (Nigeria) ha costruito nel campo una cappella, presso la quale sia il Vescovo Oliver Doeme di Maïduguri che il Vescovo Bruno Ateba della diocesi di Maroua-Mokolo (dove si trova il campo) assistono gli sfollati. I due pastori hanno assicurato che nel campo le persone vengono accolte, godono della sicurezza alimentare e ricevono mezzi di sussistenza, assistenza sanitaria, acqua potabile, servizi igienici e scolarizzazione per i bambini.
Nella direzione opposta, a sud, due diocesi cattoliche nigeriane – l’Arcidiocesi di Calabar, nello Stato di Cross River, e la Diocesi di Makurdi, nello Stato di Benue – stanno rispondendo alle esigenze dei rifugiati provenienti dalla regione anglofona sud-occidentale del Camerun. Le diocesi nigeriane e camerunensi, con l’aiuto della Justice Development and Peace Commission (JDPC) presso l’Arcidiocesi di Calabar, della Catholic Caritas Foundation Nigeria e della Foundation for Justice Development and Peace, forniscono cibo, acqua pulita e zanzariere ai rifugiati. Altri aiuti umanitari includono abbigliamento, piccole somme di denaro, strutture igienico-sanitarie, assistenza sanitaria e kit di prima necessità. Padre Emmanuel Bekomson, direttore della JDPC, si assicura che il sostegno umanitario includa anche la cura spirituale e pastorale, e ha, inoltre, chiesto aiuto per costruire un centro dove i rifugiati, appena arrivati, siano ospitati in attesa dell’elaborazione delle procedure di accoglienza.
Tali sforzi transfrontalieri in entrambe le direzioni sono un esempio edificante, anzi ideale, di cooperazione pastorale.
Nel Mozambico settentrionale, la situazione peggiora progressivamente: nella provincia di Cabo Delgado si verificano continui attacchi, che provocano, con lo sfollamento, il raddoppio della popolazione nella capitale, Pemba. La Comunità di Sant’Egidio ha aiutato questi sfollati (EN; IT; ES; FR). Il 15 novembre – Giornata Mondiale dei Poveri – cibo, sapone e mascherine sono stati distribuiti a circa 150 famiglie che avevano raggiunto Pemba in barca. La Comunità di Sant’Egidio presso Nampula ha fatto visita a 350 famiglie sfollate trasferite a Corrane, per portare loro solidarietà fraterna, sostegno e aiuto pratico. Parallelamente, grazie a una donazione di Papa Francesco (PT; EN; ES; FR) alla diocesi di Pemba, verranno creati due centri sanitari per assistere le persone in fuga dalla guerra. “In un gesto di carità pastorale, Papa Francesco ci ha offerto 100.000 euro per assistere gli sfollati” ha riferito Monsignor Luiz Fernando Lisboa, precisando che la decisione di costruire i due centri sanitari è stata presa dopo aver consultato i responsabili dell’assistenza agli sfollati. Inoltre, diverse agenzie cattoliche in Portogallo, come la Caritas Portuguesa (PT), la Fondazione AIS (PT), e l’Arcidiocesi di Braga (PT), stanno conducendo campagne per raccogliere aiuti destinati agli sfollati di Pemba.
Con l’avvento della pandemia da COVID-19, le condizioni della popolazione del Sud Sudan – già precarie a causa di una guerra durata quasi sette anni – sono ulteriormente peggiorate a causa del confinamento e dell’insufficienza di cibo e acqua. I missionari Salesiani continuano ad essere al fianco della popolazione sfollata (ES), offrendole aiuti materiali ma anche accompagnamento spirituale. L’obiettivo del programma è fornire sostegno agli sfollati interni di Tonj e presso lo Stato occidentale di Bahr-el-Ghazal, i quali, rimasti senza tetto e rifugiatisi nei boschi, si sono trovati indifesi e privi delle necessità di base. I Salesiani hanno offerto cibo, acqua, servizi igienici e medicine a più di 3.500 persone. Nel corso di questi mesi, sono stati sviluppati anche programmi radio volti a spiegare le misure necessarie per evitare la trasmissione di COVID-19. Questa iniziativa si aggiunge alla distribuzione di prodotti di prevenzione e medicinali. Nel frattempo, numerosi rimpatriati sud-sudanesi (EN; ES; FR) sono giunti nelle contee di Tombura-Yambio e si trovano privi di sostegno umanitario. Padre Albert Salvans, della Comunità Missionaria di S. Paolo Apostolo, davanti alle drammatiche necessità delle due parrocchie di cui è amministratore (Ave Maria Cattolica e S. Tommaso), sta distribuendo ai nuovi arrivati beni di prima necessità raccolti nelle parrocchie.
Rispondere al bisogno di autosufficienza
Tutte le persone hanno pari diritto di lavorare, di mettere a frutto i loro talenti e di guadagnarsi da vivere. Da un lato, la diffusione del Coronavirus ha accentuato le disuguaglianze sociali e reso i più deboli ancora più vulnerabili; dall’altro, essa ha messo in luce l’importante ruolo degli sfollati nella nostra economia e società. Diversi enti cattolici sono impegnati a fornire opportunità ai più vulnerabili, perché possano realizzare il proprio potenziale e contribuire, così, al bene della società.
Il Jesuit Refugee Service (JRS) si impegna per offrire ai rifugiati nuove opportunità lavorative, affinché possano esprimere le loro capacità e svolgere un ruolo attivo nella società che li accoglie. A questo scopo, è stato sviluppato Pathfinder (EN; ES; FR), un programma di sostegno alla carriera dedicato ai rifugiati. Fornendo formazione professionale, supporto all’avviamento, consulenza di carriera e orientamento imprenditoriale, il JRS cerca di creare percorsi di autosufficienza per i rifugiati, in modo che possano diventare gli attori di un cambiamento positivo e di trasformazione sociale. L’approccio Pathfinder comprende tre fasi, precedute da una fase di preparazione, che valuta sia il rifugiato che il contesto della comunità ospitante. La prima fase consiste nel conciliare le esigenze del mercato del lavoro con le competenze e le aspirazioni professionali dei rifugiati. La seconda mira a formare i rifugiati in professioni specifiche. La terza, infine, si concentra sui legami con i potenziali datori di lavoro per gli stage, la scrittura di CV, la preparazione per i colloqui di lavoro, e così via. Quando acquisiscono i mezzi per guadagnarsi da vivere e sostenere le loro famiglie, infatti, i rifugiati si riappropriano della loro dignità e speranza. Inoltre, soluzioni più durevoli e sostenibili possono migliorare l’autonomia dei rifugiati e allentare, di conseguenza, la pressione sui paesi ospitanti.
In Bangladesh, durante la pandemia, 7.500 persone appartenenti a minoranze etniche, per lo più Garo, hanno perso il lavoro e circa 116 imprenditori hanno chiuso le loro attività. I Garo, che erano sia operai che proprietari, sono dovuti tornare ai loro villaggi, per potersi guadagnare da vivere. Caritas Bangladesh ha organizzato un evento (EN) per incoraggiare decine di giovani imprenditori indigeni ancora provati dagli effetti del lockdown. Circa 50 giovani imprenditori hanno esposto i loro prodotti e servizi durante i due giorni dello “Young Entrepreneurs Gathering 2020”, nella città di Mymensingh. Le loro bancarelle presentavano oggetti tradizionali e di manifattura locale, tra cui cibo, vestiti, borse e ornamenti, nonché servizi come la gestione di eventi, l’organizzazione di matrimoni e saloni di bellezza.
Open Doors (Porte Aperte), organizzazione non-profit che sostiene i cristiani perseguitati a causa della loro fede in più di 60 paesi, ha lanciato un “centro di speranza” in Iraq, per permettere alle famiglie cristiane, fuggite nel 2014 alla creazione dello Stato islamico, di fare ritorno alle loro abitazioni a Mosul e nella vicina città di Alqosh. I Centri della Speranza sono edifici annessi alle chiese locali. Oltre a provvedere alla ricostruzione delle abitazioni dal punto di vista dei fondi e del lavoro, questi centri rafforzano la comunità cristiana grazie a un aiuto pratico, a progetti di sviluppo socioeconomico e grazie alle scuole; ancora, essi incoraggiano la rinascita spirituale, proponendo studi biblici e attività per bambini e giovani. Il progetto è stato lanciato poco prima dell’appello di Papa Francesco (EN) rivolto alla comunità internazionale al fine di contribuire a promuovere la pace in Siria e Iraq e aiutare i cristiani a rimanere in quelle terre. “Dobbiamo fare in modo che la presenza dei Cristiani in queste terre continui ad essere quello che è sempre stato – un segno di pace, progresso, sviluppo e riconciliazione tra gli individui e i popoli”. Infine, il Papa ha incoraggiato tutte le agenzie cattoliche coinvolte negli sforzi umanitari e nel sostegno dei migranti e degli sfollati, indipendentemente dalla fede o origine di questi
Rivolgendosi al Consiglio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, il 26 novembre 2020, il Nunzio Apostolico Monsignor Ivan Jurkovič, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha descritto i migranti come lavoratori essenziali (EN) durante la pandemia. “È deplorevole che, mentre il lavoro dei migranti è fortemente richiesto e ben accetto per compensare la carenza di manodopera, essi sono anche spesso respinti e sottoposti ad atteggiamenti rancorosi e utilitaristici da parte di molti nelle società di accoglienza”, ha osservato il Nunzio. Egli ha proseguito sottolineando come questa triste realtà sia una “lampante contraddizione che deriva dal porre gli interessi economici sopra gli interessi della persona umana”. Insomma, se vogliamo che i migranti diano un contributo significativo alle nostre società, culture ed economie, dobbiamo offrire loro la possibilità di un’integrazione efficace. Infatti, “quello che è certo è che la migrazione avrà un ruolo sempre più importante nelle nostre società. Pertanto, è giunto il momento di ripensare i parametri della convivenza umana attraverso le lenti della fraternità umana e della solidarietà”, ha concluso Monsignor Jurkovič.
Fratelli tutti: un cammino verso la fraternità comune
“Tutti sulla stessa barca: Nutrire la Resilienza in una Comunità Globale” (EN; ES) è il titolo del discorso pronunciato dal Cardinale Michael Czerny, Sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, durante il webinar “Nutrire la Resilienza”, organizzato dal Lay Centre di Roma. Il Cardinale Czerny ha osservato che, in questo contesto pandemico, tutte le vite sono più precarie. Siamo tutti sulla stessa barca e la vita su questa barca è precaria perché, invece di comportarci come fratelli, ci attacchiamo l’un l’altro e attacchiamo anche il nostro ambiente naturale. Per questo, osserva il Cardinale, nell’encicliche Laudato sì e Fratelli tutti Papa Francesco lavora così faticosamente per invertire la propensione al conflitto e ci invita a procedere con decisione verso qualcosa di nuovo, qualcosa che possa portarci a una maggiore resilienza per le nostre comunità. Per raggiungere questo obiettivo, ha affermato il Cardinale, è necessario, perseguire il bene comune. Ciò richiede il perdono e il superamento dei vari conflitti che, sebbene inevitabili, non dovrebbero mai portare alla violenza, ma al dialogo e, infine, alla riconciliazione. In una società in cui preferiamo la divisione e l’inimicizia, ha proseguito il Cardinale Czerny, Fratelli tutti è una chiamata urgente all’amicizia sociale e alla fraternità. Chi farà il primo passo? La risposta è: “Le religioni al servizio della fraternità nel nostro mondo”, come suggerisce evocativamente il titolo del capitolo 8. Ovvero, conclude il Cardinale: “Dalla nostra esperienza di fede e dalla saggezza accumulata nel corso dei secoli, ma anche dalle lezioni apprese dalle nostre molte debolezze e fallimenti, noi, credenti delle diverse religioni, sappiamo che la nostra testimonianza di Dio giova alle nostre società e ci aiuta a riconoscerci gli uni con gli altri come compagni di viaggio, veramente fratelli e sorelle”.
Andrea Ricciardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, approfondisce Fratelli tutti sul suo blog e vi scorge una proposta per ricostruire il mondo, che ne sani la miseria e le relazioni sociali, guastate o inesistenti, e per riparare allo sfruttamento della Terra, che lascia un’eredità avvelenata alle generazioni future. La proposta di Papa Francesco è quella di unirsi insieme “per tessere un nuovo modo di fare la storia”. Questo richiede una nuova economia, che non produca miseria per molti e ricchezza per pochi. Secondo il Santo Padre, ciò che serve è “stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella Terra) cessino di essere sempre più ai margini e divengano protagonisti“. Il processo che Papa Francesco ha avviato con la sua Enciclica rappresenta un nuovo approccio alla fraternità. Come ricordato dal Santo Padre in occasione dell’Incontro Internazionale di Preghiera per la Pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, “La fraternità, che sgorga dalla coscienza di essere un’unica umanità, deve penetrare nella vita dei popoli, nelle comunità, tra i governanti, nei consessi internazionali. Così lieviterà la consapevolezza che ci si salva soltanto insieme”, attraverso l’incontro e la negoziazione, mettendo da parte i nostri conflitti e perseguendo la riconciliazione. Per Ricciardi, è questa l’unica alternativa a un mondo dove le disuguaglianze sono forti e la violenza esplode, dove la Terra è impoverita, dove milioni di persone finiscono in povertà.
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