L’effetto della crisi climatica sulla migrazione per lavoro

L’effetto della crisi climatica sulla migrazione per lavoro


BOLLETTINO 2022 | #8

L’effetto della crisi climatica sulla migrazione per lavoro

 

Quando una regione è colpita da calamità naturali inaspettate o disastri climatici di lunga durata, anche il mercato del lavoro di quell’area geografica ne risente. Oggi nessuna regione è risparmiata dai rischi ambientali. Forti alluvioni, incendi e siccità, i vari effetti del cambiamento climatico espongono le persone a violazioni della loro dignità e dei loro diritti, con conseguenze devastanti sul lavoro e sull’economia.

Di fronte agli effetti della crisi climatica sulle fonti di reddito, un numero crescente di persone sta migrando alla ricerca di posti di lavoro più stabili. Inizialmente si tratterà di una migrazione di tipo interno, con lo spostamento delle persone in direzione dei centri urbani, dove il lavoro è meno correlato all’ambiente e ai cambiamenti del clima. Ma non sempre tali trasferimenti vanno nel verso giusto. I lavoratori potrebbero non avere legami sociali o non possedere le competenze necessarie, o addirittura ritrovarsi in un mercato del lavoro troppo saturo, senza prospettive o possibilità di una vita dignitosa.

La ridistribuzione del lavoro è una conseguenza “naturale” della crisi climatica. Molti lavoratori sfollati climatici hanno iniziato a migrare all’estero in numero elevato e si prevede che questo fenomeno sarà in costante aumento. Tuttavia, in assenza di una regolamentazione uniforme ed efficace, vi è un maggiore ricorso alla migrazione irregolare e precaria, così favorendo la vulnerabilità dei migranti, le separazioni familiari e il rischio della tratta di persone.

Gli effetti della crisi climatica sul lavoro testimoniano la necessità di una cooperazione internazionale, che porti a politiche e azioni volte sia alla mitigazione dei cambiamenti climatici con relativa possibilità di adattamento sia alla promozione di una migrazione sicura, ordinata e regolare per gli sfollati climatici. Questo Bollettino presenta buone pratiche, dichiarazioni e testimonianze che guardano alla resilienza e alla protezione delle persone i cui mezzi di sussistenza sono stati colpiti dal cambiamento climatico.


Proteggere e promuovere i lavoratori sfollati climatici


Nel 2015,
Papa Francesco è intervenuto al workshop intitolato Schiavitù moderna e cambiamento climatico: l’impegno delle città, ricordando il suo messaggio di “ecologia umana”, che aveva già presentato in Laudato sì – definita enciclica sociale, poiché tra la persona e l’ambiente “c’è una relazione che incide in maniera reciproca”. Qui il Santo Padre ha affrontato il fenomeno della migrazione dalle aree rurali che non offrono più opportunità di lavoro verso i “cordoni” più poveri delle grandi città. Ha altresì affermato che “l’idolatria della tecnocrazia” – l’eccessiva tecnicizzazione – colpisce il mondo del lavoro ma anche la salute e l’ambiente. Riassumendo tutti questi aspetti, Papa Francesco ha dichiarato:  “Che succede quando tutti questi fenomeni di tecnicizzazione eccessiva, senza cura dell’ambiente, oltre ai fenomeni naturali, incidono sulla migrazione? Non avere lavoro e poi la tratta delle persone. Ogni volta è più frequente il lavoro in nero, un lavoro senza contratto, un lavoro ‘organizzato sotto banco’”. 

Nel suo discorso in occasione del 30º anniversario del Sistema di Integrazione Centroamericano, Papa Francesco ha parlato delle persone costrette a fuggire a causa della crisi climatica. Menzionando “l’impatto sia dei fenomeni climatici sia delle catastrofi ambientali provocate dall’uomo nella sua opera di accaparramento di terre, deforestazione e appropriazione dell’acqua”, il Santo Padre ha messo in risalto come “queste violazioni attentano gravemente contro i tre ambiti fondamentali dello sviluppo umano integrale: la terra, l’alloggio e il lavoro”. Ha, quindi, chiesto meccanismi internazionali per fornire protezione concreta, ma anche politiche di protezione regionale per la nostra ‘casa comune’ che potrebbero mirare ad alleviare l’impatto della crisi climatica.

La Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale ha pubblicato i suoi Orientamenti Pastorali sugli Sfollati Climatici (2021). Il documento intende essere una guida per comprendere le sfide poste dal cambiamento climatico e la cura pastorale che dovrebbe essere offerta agli sfollati. L’opuscolo evidenzia dieci sfide relative allo sfollamento climatico e alle sue vittime e suggerisce risposte pastorali adeguate per quanto riguarda gli effetti della crisi climatica sulla migrazione del lavoro.

Attraverso il progetto Volti delle Migrazioni, FOCSIV e GCAP Italia hanno presentato un video su cambiamento climatico e migrazioni. Nel video viene illustrato come gli effetti del cambiamento climatico, dalla desertificazione alle alluvioni, dalla Nigeria all’Afghanistan, peggiorino le condizioni di vita delle popolazioni locali più vulnerabili. Di fronte a questa situazione in costante peggioramento è necessario un piano per la giustizia climatica sia a livello nazionale che globale. Per far questo  FOCSIV e GCAP Italia individuano alcune azioni necessarie, tra cui: adottare stili di vita per il rispetto della terra, il contributo dell’Unione europea allo sviluppo dell’ambiente, dei diritti umani, l’accelerazione della transizione ecologica, la protezione e il miglioramento della resilienza delle comunità vulnerabili nei Paesi del sud.


Le buone pratiche degli attori cattolici


A Monpura, in Bangladesh, il
Catholic Relief Services (CRS) ha lanciato il Progetto Mutki (EN) per prevenire le inondazioni e trovare soluzioni di sostentamento alternative in grado di resistere a eventi meteorologici estremi. Infatti, la zona è spesso colpita da disastri naturali, soprattutto cicloni. La testimonianza di Noornobi (EN) è il fulgido esempio di questa iniziativa. La sua famiglia era povera, la terra spesso si allagava rendendo difficile coltivare verdure durante tutto l’arco dell’anno. Grazie al progetto Mutki del CRS, gli abitanti locali come Noornobi hanno la possibilità di avere un lavoro stabile e sicuro, senza il rischio di essere costretti a emigrare per sfuggire a eventi meteorologici estremi. Noornobi ha imparato a prevenire le inondazioni della sua terra, a coltivare la terra con fertilizzanti organici e privi di sostanze chimiche e a allevare polli e anatre da vendere. “Abbiamo fatto progressi grazie all’orticoltura… Abbiamo lentamente iniziato a fare profitto”, ha spiegato.

La maggior parte dei 2000 sfollati interni (IDP) che vivono nel campo di Ardjaniré, in Camerun, sono stati costretti a lasciare le loro case a causa dei violenti scontri in corso tra pescatori, pastori e agricoltori nella regione dell’Estremo Nord del Paese. La causa principale del conflitto è la scarsità di risorse, in particolare dell’acqua, dovuta al cambiamento climatico. Per sostenere gli sfollati interni in Ardjaniré, il Jesuit Refugee Service (JRS) ha aperto un giardino comunitario (EN; ES; FR) in collaborazione con l’UNHCR Camerun. Il progetto mira a migliorare la resilienza alimentare e il sostentamento degli sfollati interni, attraverso la piantumazione di 1800 alberi e l’apertura di un orto. Inoltre, il giardino è stato progettato per consentire agli IDP di apprendere nuove tecniche agricole che porteranno con sé ovunque andranno. Le famiglie del campo si affidano a queste ulteriori fonti di cibo e di reddito per essere in grado di soddisfare le loro esigenze quotidiane. Purtroppo, la scarsità di acqua al momento non consente l’espansione del progetto e la coltivazione di più terreni.

Gli attori cattolici sono, inoltre, al lavoro per dare la possibilità alle popolazioni sfollate di tornare nelle loro terre in sicurezza. Il progetto Back to Beira nasce dalla collaborazione tra Sant’Egidio e il DAD (Dipartimento di Architettura e Design) del Politecnico di Torino. Più di 70 giovani architetti di tutti i continenti hanno lavorato al futuro di Beira, città del Mozambico duramente colpita dai cicloni Idai ed Eloise, e in particolare a quello degli sfollati. Dunque, partire dai più fragili, dagli sfollati che hanno perso tutto a causa dei cicloni, per immaginare un futuro per tutti in una Beira riprogettata per sostenere i duri colpi del cambiamento climatico. L’intenzione è quella di ripensare alcune zone della città di Beira da destinare a persone con capacità economiche diverse, più e meno ricche, mediante una commistione di intervento privato/pubblico nel tentativo di riportare in città almeno una parte degli sfollati e dare loro alloggi e opportunità di lavoro.

A seguito della siccità che ha colpito i Paesi del Sahel e del Corno d’Africa, la Caritas Gibuti ha intensificato gli sforzi per combattere la fame e preservare la dignità delle persone colpite attraverso la formazione, i progetti e la difesa dello sviluppo sostenibile. Nell’ambito della campagna globale di Caritas Internationalis Together We, lanciata nel dicembre 2021, Caritas Gibuti sostiene il progetto “Insieme, combattiamo la fame” (EN; ES; FR) di Caritas MONA. Ha formato con successo dieci comunità rurali alla permacultura nella città di Gibuti e nelle aree agricole circostanti abitate da gruppi vulnerabili, che hanno appreso pratiche di gestione della terra che supportano la crescita degli ecosistemi naturali in modo autosufficiente e sostenibile. La Caritas di Gibuti realizza anche progetti per la costruzione di pozzi e cisterne sotterranee nelle zone desertiche, rivolti alle comunità colpite dalla siccità. Infine, organizza sessioni di sensibilizzazione sulla corretta gestione delle risorse idriche per evitare sprechi o contaminazioni.


Storie e testimonianze


Nella diocesi di Marsabit, in Kenya, la fame si sta intensificando a causa della grave siccità. Isako Jirma Molu, direttore esecutivo di Caritas Marsabit, ha dichiarato in
un’intervista ad ACI Africa (EN) che “il bestiame è morto in gran numero, lasciando gli allevatori senza nulla”. Ha spiegato che l’assenza di piogge durante le ultime quattro stagioni consecutive ha distrutto ogni fonte di reddito. “I bambini abbandonano la scuola perché i programmi di alimentazione scolastica sono stati interrotti e non ricevono cibo nemmeno a casa. Il futuro di queste comunità emarginate è desolante”, ha affermato. Galgallo, un pastore keniota, racconta: “Prima di questa siccità avevo più di 1000 capre e circa 100 cammelli. Di questi, mi sono rimasti solo cinque cammelli”. Ma anche di fronte a tante sfide, è intenzionato a continuare a mandare i suoi figli a scuola (EN): “La mia ultima speranza ora è l’istruzione dei bambini”, dice. Di fronte a modelli climatici drasticamente imprevedibili, molti vedono nell’istruzione una sorta di sicurezza che la pastorizia purtroppo non può più offrire. Caritas Marsabit sostiene la comunità di Galgallo con cibo e acqua, oltre a lavorare su progetti a lungo termine come l’installazione di un serbatoio di stoccaggio delle acque. Le donazioni al CAFOD hanno anche contribuito a finanziare i programmi di alimentazione scolastica nella zona, assicurando che i bambini ricevano pasti sani e possano continuare a studiare.

In Oceania, le comunità stanno perdendo il loro territorio tradizionale a favore del mare. La perdita del territorio marittimo significa la perdita delle barriere coralline, delle lagune e delle onde oceaniche che compongono il territorio tradizionale degli isolani. Può anche significare la perdita dei diritti di pesca e di estrazione mineraria che potrebbero far prosperare la Nazione. Un gran numero di giovani delle isole del Pacifico si trasferisce in cerca di opportunità educative o economiche. Ma si tratta anche di una conseguenza del cambiamento climatico. Molti preferirebbero rimanere, ma gli effetti del cambiamento climatico la rendono un’opzione impossibile. “Se potessero scegliere, non si trasferirebbero perché significherebbe abbandonare i luoghi di sepoltura e la cultura ancestrale”, afferma l’arcivescovo Peter Loy Chong (EN), presidente della Federazione delle Conferenze episcopali cattoliche dell’Oceania. Sia la Bibbia che le credenze spirituali tradizionali affermano che quando Dio creò il mondo tutto era in equilibrio. “Dobbiamo rieducare le persone all’importanza di prendersi cura dell’ambiente”. L’arcivescovo Chong ritiene che la chiave sia parlare la lingua di Dio, una lingua che parla alle vittime. 

Attraverso il progetto Tagi (EN), il movimento Tagi (Caritas) si propone di trasformare ecologicamente e socialmente le popolazioni dell’Oceania e di farle impegnare a riconnettersi con la terra. Il progetto cerca di farlo attraverso l’espressione artistica e il potenziamento delle voci delle vittime di ingiustizie sociali ed ecologiche, che usano la loro voce collettiva per parlare contro la devastazione ambientale. La strategia si articola in tre aree di intervento: la ricerca, con la raccolta di storie tra le comunità colpite; l’educazione, con l’utilizzo della musica e dell’arte per amplificare il messaggio; l’advocacy, con la condivisione di video e la realizzazione di spettacoli teatrali. Poi, grazie a piattaforme condivise, il movimento Tagi conta di formare reti di comunità e organizzazioni impegnate nella trasformazione sociale ed ecologica.

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