Mervat Sayegh racconta la guerra e sogna un futuro migliore
Testimonianza di Mervat
Seminario Internazionale di Studio
11 settembre 2017
Mi chiamo Mervat ho 25 anni. Sono nata e cresciuta ad Aleppo. Il mio paese, la Siria, è in guerra da più di 6 anni.
Vivere la quotidianità della guerra mi ha fatto capire quanto è prezioso ogni minuto della vita.
Ogni giorno, uscendo da casa, o meglio dal luogo in cui cercavamo di incontrarci per risparmiare le risorse essenziali divenute una rarità, io, i miei genitori, i miei amici, ci salutavamo come se non dovessimo vederci più.
Durante la guerra, il valore dell’accoglienza e della carità assumono la forma dell’Amore concreto di Dio. Pregare, avere fede, prendono forma, assumono materia, diventano sostegno di vita, appoggio per lo sconforto e unica preziosa risorsa illimitata da cui attingere nella nostra fragilità umana.
Distruggere Aleppo significa aver cancellato sogni, ricordi, progetti e futuro di una generazione di ragazzi e bambini che farà i conti per il resto della loro vita con l’odore, i rumori e l’orrore della guerra.
Oggi la mia città è irriconoscibile, 5 milioni di bambini non hanno accesso neanche alla scuola materna e nessuna possibilità di educazione.
Io da quando ero piccola, sono sempre stata interessata alla letteratura, alle lingue e alla storia e non ho mai pensato che la guerra potesse radicalmente interrompere i miei studi e obbligare la mia famiglia a lasciare la nostra casa.
Abbiamo vissuto la guerra per tre lunghi anni, dopo di ché abbiamo deciso di uscire da Aleppo. La situazione era insopportabile, anche la più piccola delle esigenze era insormontabile.
Oggi siamo rifugiati in Italia da più di un anno e mezzo. Avendo vinto una borsa di studio all’università di Ferrara, sono riuscita a riprendere gli studi in lingue e letterature moderne.
Cominciare l’università nuovamente è stato come tornare indietro di 5 anni, perdere le fatiche fatte in passato, non valorizzare i sacrifici fatti dai miei genitori per farmi studiare.
Ma ri-cominciare in Italia è stato anche incontri, amicizie, sentimenti, umanità, accoglienza e testimonianza. I miei genitori, nella loro semplicità e dopo anni di duro lavoro, hanno messo da parte qualunque timidezza per cercare umilmente di ricostruire una vita. Tuttavia, attualmente sento che è difficile per loro, tenere in piedi la speranza che invece in noi giovani è sicuramente più vivace.
La mia vita è cambiata molto negli ultimi 6 anni, ho abitato in 5 posti diversi e ogni volta ero sorpresa della forza che mi veniva data; non solo di passare far i giorni ma di costruire un futuro migliore e di vivere questa forte esperienza che ho avuto sotto la luce della preghiera/fede.
La Chiesa, quando si cambiano molti posti, diviene l’unica casa in cui rifugiarsi e che trovandosi in ogni luogo, anche se in lingua differente, permette di mantenere viva la presenza dell’Amore. Quest’ultima, per una persona che ha vissuto gli orrori di guerra diventa nutrimento di vita per poter alimentare la propria vocazione.
Penso che la Chiesa, debba essere un’istituzione che faccia da filo conduttore/mediatore fra chi si trova nelle mie condizioni e qualunque altro interlocutore istituzionale come interprete della debolezza umana verso la burocrazia.
Spero che la mia testimonianza possa farvi trovare spunto per trovare la forza nei giorni in cui vi sentite in guerra.
Mervat Sayegh