12 Novembre 2021 | Discorso del Santo Padre

INCONTRO DI PREGHIERE E TESTIMONIANZE IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEI POVERI AD ASSISI DISCORSO DEL SANTO PADRE NELLA BASILICA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Basilica di Santa Maria degli Angeli (Assisi)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Vi ringrazio per avere accolto il mio invito – io sono stato l’invitato! – a celebrare
qui ad Assisi, la città di San Francesco, la quinta Giornata Mondiale dei Poveri,
che ricorre dopodomani. È un’idea che è nata da voi, è cresciuta e siamo arrivati
già alla quinta. Assisi non è una città come le altre: Assisi porta impresso il volto
di San Francesco. Pensare che tra queste strade lui ha vissuto la sua giovinezza
inquieta, ha ricevuto la chiamata a vivere il Vangelo alla lettera, è per noi una
lezione fondamentale. Certo, per alcuni versi la sua santità ci fa rabbrividire,
perché sembra impossibile poterlo imitare. Ma poi, nel momento in cui
ricordiamo alcuni momenti della sua vita, quei “fioretti” che sono stati raccolti
per mostrare la bellezza della sua vocazione, ci sentiamo attratti da questa
semplicità di cuore e semplicità di vita: è l’attrazione stessa di Cristo, del
Vangelo. Sono fatti di vita che valgono più delle prediche.
Mi piace ricordarne uno, che esprime bene la personalità del Poverello (cfr
Fioretti, cap. 13: Fonti Francescane, 1841-1842). Lui e fra Masseo si erano messi
in viaggio per raggiungere la Francia, ma non avevano portato con sé provviste.
A un certo punto dovettero cominciare a chiedere la carità. Francesco andò da
una parte e fra Masseo da un’altra. Ma, come raccontano i Fioretti, Francesco era
piccolo di statura e chi non lo conosceva lo riteneva un “barbone”; invece fra
Masseo “era un uomo grande e bello”. Fu così che San Francesco riuscì a stento
a raccogliere qualche pezzo di pane raffermo e duro, mentre fra Masseo raccolse
dei bei pezzi di pane buono.
Quando i due si ritrovarono si sedettero per terra e su una pietra misero quanto
avevano raccolto. Vedendo i pezzi di pane raccolti dal frate, Francesco disse: “Fra
Masseo, noi non siamo degni di questo grande tesoro”. Il frate, meravigliato,
rispose: “Padre Francesco, come si può parlare di tesoro dove c’è così tanta
povertà e mancano anche le cose necessarie?”. Francesco rispose: “È proprio
questo che io reputo un gran tesoro, perché non c’è nulla, ma quello che
abbiamo è donato dalla Provvidenza che ci ha dato questo pane». Ecco
l’insegnamento che ci dà San Francesco: saperci accontentare di quel poco che
abbiamo e dividerlo con gli altri.
Siamo qui alla Porziuncola, una delle chiesette che San Francesco pensava di
restaurare, dopo che Gesù che gli aveva chiesto di “riparare la sua casa”. Allora
mai avrebbe pensato che il Signore gli chiedesse di dare la sua vita per rinnovare
non la chiesa fatta di pietre, ma quella di persone, di uomini e donne che sono le
pietre vive della Chiesa. E se noi siamo qui oggi è proprio per imparare da ciò
che ha fatto San Francesco. A lui piaceva stare a lungo in questa chiesetta a
pregare. Si raccoglieva qui in silenzio e si metteva in ascolto del Signore, di
quello che Dio voleva da lui. Anche noi siamo venuti qui per questo: vogliamo
chiedere al Signore che ascolti il nostro grido, che ascolti il nostro grido!, e
venga in nostro aiuto. Non dimentichiamo che la prima emarginazione di cui i
poveri soffrono è quella spirituale. Ad esempio, tante persone e tanti giovani
trovano un po’ di tempo per aiutare i poveri e portano loro cibo e bevande calde.
Questo è molto buono e ringrazio Dio della loro generosità. Ma soprattutto mi
rallegra quando sento che questi volontari si fermano un po’ a parlare con le
persone, e a volte pregano insieme a loro… Ecco, anche il nostro trovarci qui,
alla Porziuncola, ci ricorda la compagnia del Signore, che Lui non ci lascia mai
soli, ci accompagna sempre in ogni momento della nostra vita. Il Signore oggi è
con noi. Ci accompagna, nell’ascolto, nella preghiera e nelle testimonianze date:
è Lui, con noi.
C’è un altro fatto importante: qui alla Porziuncola San Francesco ha accolto
Santa Chiara, i primi frati, e tanti poveri che venivano da lui. Con semplicità li
riceveva come fratelli e sorelle, condividendo con loro ogni cosa. Ecco
l’espressione più evangelica che siamo chiamati a fare nostra: l’accoglienza.
Accogliere significa aprire la porta, la porta della casa e la porta del cuore, e
permettere a chi bussa di entrare. E che possa sentirsi a suo agio, non in
soggezione, no, a suo agio, libero. Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive
anche l’esperienza sincera dell’accoglienza. Dove invece c’è la paura dell’altro, il
disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto o, peggio, l’indifferenza: quel
guardare da un’altra parte. L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al
contrario chiude nel proprio egoismo. Madre Teresa, che aveva fatto della sua
vita un servizio all’accoglienza, amava dire: “Qual è l’accoglienza migliore? Il
sorriso”. Il sorriso. Condividere un sorriso con chi è nel bisogno fa bene a tutt’e
due, a me e all’altro. Il sorriso come espressione di simpatia, di tenerezza. E poi
il sorriso ti coinvolge, e tu non potrai allontanarti dalla persona alla quale hai
fatto un sorriso.
[…]
È tempo invece che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le
loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo che si aprano gli occhi per
vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di
rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che
si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in
schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni
sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano
rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio
dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo. È
tempo di incontrarsi. È il momento dell’incontro. Se l’umanità, se noi uomini e
donne non impariamo a incontrarci, andiamo verso una fine molto triste.
Ho ascoltato con attenzione le vostre testimonianze, e vi dico grazie per tutto
quello che avete manifestato con coraggio e sincerità. Coraggio, perché le avete
volute condividere con tutti noi, nonostante siano parte della vostra vita
personale; sincerità, perché vi mostrate così come siete e aprite il vostro cuore
con il desiderio di essere capiti. Ci sono alcune cose che mi sono piaciute
particolarmente e che vorrei in qualche modo riprendere, per farle diventare
ancora più mie e lasciarle depositare nel mio cuore. Ho colto, anzitutto, un
grande senso di speranza. La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi,
spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della
malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha
impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi
hanno permesso di resistere.
Resistere. Questa è la seconda impressione che ho ricevuto e che deriva proprio
dalla speranza. Cosa vuol dire resistere? Avere la forza di andare avanti
nonostante tutto, andare controcorrente. Resistere non è un’azione passiva, al
contrario, richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che
porterà frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti
alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme
le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere
nella solitudine e nella tristezza. Resistere, aggrappandosi alla piccola o poca
ricchezza che possiamo avere. Penso alla ragazza dell’Afghanistan, con la sua
frase lapidaria: il mio corpo è qui, la mia anima è là. Resistere con la memoria,
oggi. Penso alla mamma romena che ha parlato alla fine: dolori, speranza e non
si vede l’uscita, ma la speranza forte nei figli che l’accompagnano e le ridanno la
tenerezza che hanno ricevuto da lei.
Chiediamo al Signore che ci aiuti sempre a trovare la serenità e la gioia. Qui alla
Porziuncola, San Francesco ci insegna la gioia che viene dal guardare a chi ci sta
vicino come a un compagno di viaggio che ci capisce e ci sostiene, così come noi
lo siamo per lui o per lei. Questo incontro apra il cuore di tutti noi a metterci a
disposizione gli uni degli altri; aprire il cuore per rendere la nostra debolezza una
forza che aiuta a continuare il cammino della vita, per trasformare la nostra
povertà in ricchezza da condividere, e così migliorare il mondo.
La Giornata dei Poveri. Grazie ai poveri che aprono il cuore per darci la loro
ricchezza e guarire il nostro cuore ferito. Grazie per questo coraggio. Grazie,
Étienne, per essere stato docile all’ispirazione dello Spirito Santo. Grazie per
questi anni di lavoro; e anche per la “testardaggine” di portare il Papa ad Assisi!
Grazie! Grazie, Eminenza, per il Suo appoggio, per il Suo aiuto a questo
movimento di Chiesa – diciamo “movimento” perché si muovono – e per la Sua
testimonianza. E grazie a tutti. Vi porto nel mio cuore. E, per favore, non
dimenticatevi di pregare per me, perché io ho le mie povertà, e tante! Grazie.