Gibuti: contesto migratorio e buone pratiche

Gibuti: contesto migratorio e buone pratiche

La Repubblica di Gibuti ospita attualmente 21.849 rifugiati e 11.257 richiedenti asilo nelle aree urbane e in tre siti per rifugiati (Holl-Holl, Ali Adeh e Obock). La maggior parte di questi rifugiati e richiedenti asilo sono di nazionalità somala (41.95%), etiope (36.93%) e yemenita (17.89%).

In virtù della sua posizione geografica, Gibuti si ritrova ad essere un punto di passaggio importante per i migranti della regione ed infatti ogni anno migliaia di questi transitano nel paese a piedi, in autobus oppure utilizzando altri tipi di mezzi con lo scopo di attraversare il Golfo di Aden per raggiungere l’Arabia Saudita alla ricerca di migliori opportunità economiche. Si conta che nel 2020, circa 112.000 migranti sono stati identificati nei diversi punti di entrata nel Paese. I migranti che transitano per Gibuti provengono essenzialmente dall’Etiopia e dalla Somalia, vengono principalmente dalle regioni Oromo, Amhara, Somala e Tigré e attraversano le zone desertiche per recarsi a Obock con l’aiuto dei “passeurs”, personaggi al limite della legalità che si occupano di facilitare il passaggio di queste persone attraverso le varie regioni.

I migranti che usano la “via dell’Est” sono per la maggior parte uomini adulti (68%), seguiti dalle donne (21%), ragazzi (9%) e ragazze (2%); di questi numeri, una delle cose che preoccupa maggiormente è che quasi la metà dei bambini, identificati sulla rotta migratoria, sono segnalati come “minori non accompagnati”. La traversata è sempre difficile e durante il tragitto le difficoltà possono spesso rivelarsi fatali. Chi intraprende la “via dell’Est”, deve innanzitutto fronteggiare la scarsità d’acqua e di provviste alimentari ed affrontare il viaggio in condizioni climatiche avverse dovute alle alte temperature o alle piogge torrenziali. Le condizioni disumane con cui questi viaggi vengono intrapresi lasciano i migranti troppo spesso alla mercé di individui senza scrupoli che li espongono a numerose violazioni dei diritti umani, come ad esempio le aggressioni fisiche, la tortura egli abusi sessuali; infine si sono anche registrati casi di vittime della tratta degli esseri umani, e vittime di naufragi.

Le condizioni di vita dei migranti sono peggiorate con l’inizio della pandemia del Covid-19 poiché, a parte i rischi per la salute direttamente connessi alla malattia, molti di loro si sono ritrovati bloccati nel paese ospitante a causa dei lockdown e sono stati costretti a condividere le già scarse risorse con la popolazione ospitante. Ciò, come era facilmente immaginabile, ha creato delle tensioni con gli abitanti, in particolare nella regione di Obock, punto di passaggio principale della rotta migratoria.

Il ritorno volontario e le buone pratiche di Caritas Gibuti


I temi del ritorno volontario dei migranti irregolari nel loro paese d’origine, della loro reintegrazione e anche la protezione dei minori non accompagnati, restano una priorità sia nella strategia nazionale per le migrazioni, sia nei programmi del ministero della donna e della famiglia. Lo stesso ministero nel 2019 ha firmato un protocollo d’intesa sulla protezione dei bambini vulnerabili con Caritas Gibuti e nello stesso anno Caritas Gibuti ha firmato un protocollo con l’OIM con l’obiettivo di proteggere i rifugiati e i migranti e di fornire soluzioni sostenibili ai problemi dei rifugiati, dei migranti e delle popolazioni ospitanti in generale nel contesto della CRRF (Quadro globale di risposta ai rifugiati) e degli impegni presi dal governo di Gibuti in queste aree. In particolare l’obiettivo che si pone Caritas con la sua struttura per l’accoglienza notturna è di ridurre la vulnerabilità dei bambini più colpiti dalla migrazione mista a Gibuti attraverso soluzioni sostenibili.

Caritas Gibuti negli ultimi 18 anni ha lavorato in modo particolare con i bambini di strada, la maggior parte dei quali, oltre 1.000 bambini, sono stati registrati dall’organizzazione come migranti. Questo rappresenta un fattore che spesso complica gli sforzi per fornire loro l’assistenza necessaria in quanto proprio la condizione di migranti non consente loro di frequentare Caritas in maniera assidua e continuativa. L’85% dei bambini proviene dall’Etiopia, in particolare dalla regione di Oromia, mentre il resto è equamente diviso tra somali e locali. La loro età varia tra gli 8 e i 18 anni e la grande maggioranza, il 90%, sono maschi. La proposta di registrare i bambini è tra le principali raccomandazioni che sono emerse da uno studio condotto nel 2018 dall’OIM ed è per questo che Caritas registra sistematicamente i bambini che beneficiano dei suoi servizi e mantiene traccia e archivio delle schede individuali.

Nel frattempo, con il supporto della sua forte rete con altre ONG (UNICEF, IGAD), associazioni e agenzie governative, la Caritas continua a fornire a circa 100 bambini al giorno, i servizi di base, a partire dall’igiene personale, una doccia quotidiana e vestiti puliti, e garantisce inoltre tre pasti al giorno. I bambini hanno anche accesso alle cure mediche gratuite ed in casi più gravi sono inviati negli ospedali pubblici per le cure necessarie ed i costi sono coperti da Caritas.

Anche l’istruzione è una priorità ed infatti quotidianamente viene fornita l’istruzione per un’alfabetizzazione di base a due classi. Alcuni dei bambini che chiedono di poter andare a scuola vengono poi iscritti al centro LEC (Lire, Ecrire e Compter) che appartiene alla diocesi di Gibuti e ha come obiettivo quello di recuperare giovani analfabeti. Il centro segue il programma di studio nazionale per i primi tre anni ed è l’unica organizzazione che si occupa anche dell’inserimento sociale, dando le basi di lettura, scrittura e conoscenza del francese, lingua ufficiale di Gibuti, a giovani che avrebbero come unica alternativa la malavita o la prostituzione.

In Caritas molto tempo è dedicato al sostegno psicosociale e ad altre iniziative volte a trasmettere abilità in settori come l’artigianato, oltre che a permettere l’espressione artistica. L’OIM in collaborazione con Caritas ha organizzato, per esempio, due giorni di laboratorio artistico a favore dei ragazzi e ragazze del centro. L’obiettivo era quello di sensibilizzare i giovani sui loro diritti e sui rischi della migrazione illegale attraverso la pittura.

Per Caritas è molto importante la sensibilizzazione sugli effetti della droga e dell’HIV poiché le condizioni di vita dei bambini sono precarie e di conseguenza sono costantemente esposti ai diversi rischi dovuti alla violenza sia fisica che psicologica, alla prostituzione e all’uso di droghe (in particolare la colla). Nel 2021 la Caritas ha ampliato l’organico ed ha assunto un assistente sociale per poter garantire una maggiore attenzione ad ogni bambino e creare un programma adatto al loro sviluppo.

Degli sforzi significativi sono stati fatti a partire dal settembre 2019 diretti a reintegrare ogni bambino nelle loro famiglie d’origine. Questo processo ha avuto inizio con il lavoro minuzioso di rintracciamento delle famiglie, la maggior parte delle quali si trova oltre il confine, e per poter operare in Etiopia, Caritas sta lavorando in sinergia con l’OIM e l’UNICEF. Fino ad oggi 344 bambini e ragazzi sono stati reintegrati con successo.

Nel giugno 2019 la Caritas grazie all’OIM e all’Unione Europea ha commissionato la costruzione di un dormitorio notturno che, per la prima volta, può ospitare i bambini di strada più vulnerabili proprio durante le ore in cui lo spettro della malavita, degli affari illeciti e della violenza, si fa più forte. Il centro notturno nasce con lo scopo di dare un alloggio ai minori migranti non accompagnati in transito, compresi quelli che tornano in Etiopia dal loro viaggio di migrazione nello Yemen.

Sara Ben Rached