La comunità di Taizé: Promuovere il dialogo interreligioso

La comunità di Taizé: Promuovere il dialogo interreligioso

Quest’anno la Sezione Migranti e Rifugiati è stata invitata a partecipare a un incontro interreligioso e ad alcuni workshop organizzati dalla comunità di Taizé in Borgogna.

La comunità ecumenica di Taizé è stata fondata nel 1940 da frère Roger. Ad oggi, la comunità comprende 100 fratelli che provengono da più di 25 paesi diversi e vivono insieme ogni giorno cercando di rappresentare un faro di pace e alleanza per tutti. I membri della comunità perseguono l’unità di tutti i cristiani, e ogni settimana ospitano numerosi giovani, anche in occasione dei meeting internazionali.

L’anno scorso, Padre Michael Czerny ha parlato del ruolo centrale della Chiesa, e in particolare di quello delle parrocchie locali e delle diocesi, nell’accogliere e guidare i richiedenti asilo e i migranti più vulnerabili.

A luglio ho avuto il privilegio di prendere parte all’incontro interreligioso di questa comunità, contribuendo inoltre ai workshop con alcune riflessioni sull’attuale situazione dei rifugiati. Il momento clou con la comunità di Taizé è stato l’incontro con i giovani rifugiati ospitati dai fratelli; alcuni di questi ragazzi sudanesi, afghani ed eritrei vengono dai campi di Calais, altri direttamente dalla Siria o dall’Iraq.

Durante questo specifico incontro, circa 300 giovani cristiani e musulmani hanno avuto modo di scoprire di più l’uno sull’altro; è stata un’occasione che ha permesso a studiosi, poeti, membri di ONG e religiosi di confrontarsi sulle principali questioni legate al dialogo interreligioso. Tutti i partecipanti hanno dimostrato il desiderio di ascoltarsi a vicenda, ampliare la propria comprensione del problema e lavorare tutti insieme per sviluppare ulteriori iniziative dello stesso tipo. Ai giovani che hanno partecipato all’incontro è stato richiesto di essere testimoni di pace ovunque essi vivano: nelle comunità locali, in città e nelle rispettive Chiese.

Durante l’incontro il professor Sheikh Ousama Nabil dell’Università di Al-Azhar, nonché Osservatorio per il contrasto dell’estremismo, ha parlato dei rischi che derivano dall’assenza di una relazione più profonda con Dio: “La fede è collegata al nostro cuore. Dobbiamo vedere i risultati della fede nella vita di tutti i giorni. L’amore è fede.” Il Vescovo Aveline, presidente del Consiglio per il dialogo interreligioso per la Conferenza Episcopale Francese, ha riflettuto sul fatto che Gesù è un perfetto esempio di come dovremmo predisporci all’incontro del prossimo.

Tra i tanti interventi, è stato interessante ascoltare le testimonianze degli stessi giovani. Un ragazzo, originario del nord dell’Iraq, ha descritto la condizione dei cristiani nel suo paese, raccontando come essi rischiano la vita quotidianamente. Un altro giovane siriano, di formazione sia musulmana che cristiana, si è interrogato sulla necessità di accogliere una religione quando si crede in Dio. “Dopo otto anni di guerra, Dio mi ha salvato dalla sofferenza”, ha raccontato.

Come ha poi raccontato Fratello Alois, priore della comunità: “Poter vivere insieme questa esperienza di fraternità e al tempo stesso essere consapevoli delle nostre differenze è stato un vero e proprio segno di speranza. Credo che nel mondo di oggi, occasioni come questa, che mirano a una maggior promozione del dialogo e della fraternità, siano assolutamente essenziali. Davanti alla paura e alla violenza che troppo spesso sembrano avere la meglio, è sempre bene scegliere di fidarci delle nostre relazioni con il prossimo.”

Suor Mariam An-Nour, sorella maronita del St. Joseph’s Carmel e parte attiva del dialogo tra cristiani e musulmani in Libano, ha dichiarato che “le forze del male possono nascondersi perfino dentro di noi. Il confine del male attraversa anche il mio cuore, e questa verità mi apre alla solidarietà nei confronti del prossimo. In un modo o nell’altro siamo tutti feriti, e a ciascuno di noi viene richiesto di operare per il bene.”

Fratello Alois ha poi ricordato l’importanza di ampliare i propri orizzonti: “Tutti noi dobbiamo soddisfare un senso di appartenenza, tutti abbiamo bisogno di sentirci parte di una famiglia, di un gruppo, di un paese. Ma al tempo stesso, alberga in noi la necessità di aprirci a nuovi orizzonti. Se tracciamo un cerchio intorno a noi rimanendone prigionieri la nostra identità ne risulta impoverita.”

Nel Vangelo leggiamo di come Gesù sia riuscito a superare le barriere culturali, sociali e religiose del suo tempo per entrare in relazione con individui molto diversi fra loro. Seguendo i suoi passi, quando ripenso alla solidarietà e alla cultura dell’incontro che viene vissuta quotidianamente nella comunità di Taizé, mi tornano in mente i quattro verbi che secondo Papa Francesco rappresentano la migliore risposta per servire i migranti e i rifugiati: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Credo che la comunità di Taizé riesca a fare tutto ciò in modo efficace e lungimirante.

Amaya Valcarcel