La dignità si chiama “noi”

La dignità si chiama “noi”

“Siete la testimonianza di come il nostro Dio clemente e misericordioso sa trasformare il male e l’ingiustizia di cui soffrite in un bene per tutti. Perché ognuno di voi può essere un ponte che unisce popoli lontani, che rende possibile l’incontro tra culture e religioni diverse, una via per riscoprire la nostra comune umanità.”  Papa Francesco

Siamo tre volontari della parrocchia di Sant’Antonio di Padova in Cittadella a Modena. Abbiamo sperimentato l’Amore nell’incontro con l’altro. Io sono Mattia, sono un seminarista, e le mie compagne di viaggio sono Giulia e Manuela. Con loro sono entrato a far parte della vita di un ragazzo,Yusupha Daffeh, e questa è la sua storia…Yusupha ha 19 anni, è nato a Basori, in Gambia e non ha mai saputo il nome di suo padre. La sua sorellina più piccola è morta a soli tre anni e lui ha vissuto con sua madre fino all’età di sei. La mamma ce l’ha messa tutta per sostenere la famiglia ma, in Gambia, la situazione non è facile. E così per Yusupha ha cercato un’alternativa: lo ha affidato a membro del Comitato dei Saggi della Casamance, Chérif Samsidine Nema Aïdara, incaricato dal presidente del Senegal come unico intermediario tra il governo senegalese e i ribelli per la gestione del dossier per le trattative di pace.

Chérif e la sua famiglia hanno accolto Yusupha come uno di loro e lui si è subito integrato tanto da considerare Samsidine come un padre e più volte lo ha accompagnato nei lunghi viaggi come inviato per la pace. Ma questa serenità ritrovata non è durata molto. In un istante la vita di Yusupha è cambiata nuovamente. Il 20 dicembre 2007, la vigilia della festa religiosa di Tabaski, alcuni uomini vestiti da militari, con il viso coperto e armati di fucili, hanno fatto irruzione in casa. Stavano cercando Samsidine per ucciderlo. E così hanno fatto. Lo hanno ammazzato proprio sotto gli occhi di Yusupha e dei suoi fratelli.

Dopo questo tragico evento, la moglie di Samsidine ha deciso di scappare con gli altri figli e Yusupha, non avendo più una famiglia, ha pensato di andare in Libia in cerca di lavoro.

Dopo aver attraversato Mali, Burkina Faso, Niger e il deserto tra il Niger e la Libia, è arrivato a destinazione ma il suo sogno di una vita migliore si è infranto subito. In Libia è stato imprigionato, ha subito soprusi e violenze. Di prigionia in prigionia è stato trasferito più volte dai trafficanti di uomini e le violenze sono state continue finchè si è aperta la porta della fuga. Sulla strada, nuovi maltrattamenti e l’unica scelta per Yusupha è stata allora quella di partire per l’Italia cercando di salvare la vita. Si è imbarcato su uno di quei “gommoni  della morte” che durante il viaggio si è rotto. A bordo 73 passeggeri, 40 sono annegati. I sopravvissuti, tra cui Yusupha, sono riusciti a tornare indietro ma il viaggio per l’Italia era rimasta ancora l’unica speranza per lui. Una seconda partenza lo ha fatto approdare a Catania. Poi La Spezia, Genova, Milano, Foggia… Yusupha si è ritrovato a girare per l’Italia tra l’indifferenza della gente, senza un tetto, senza amici, senza aiuti. Nel suo girovagare, è arrivato alla stazione di Bologna dove, dopo mesi trascorsi a dormire all’addiaccio, ha incontrato un ragazzo gambiano come lui, Yusuf, ospitato in provincia di Modena come richiedente asilo.

Come il buon samaritano del Vangelo, Yusuf ha avuto compassione di Yusupha e gli ha dato il mio numero di telefono.  Ricevuta la telefonata di Yusupha non ho esitato e sono subito partito per Bologna. Mi raccontato la sua storia, mi ha aperto il cuore  e mi ha fatto entrare nella sua vita di dolore e di solitudine. La decisione di aiutarlo è stata immediata. Per prima cosa ho chiamato l’arcivescovo Matteo Zuppi che, come me, ha preso subito a cuore la storia di Yusupha e  mi ha scritto un sms: “Quando parlerai con le persone a cui chiederete aiuto, chiamami”.

La ricerca di una sistemazione dignitosa è stata ardua ma finalmente, anche con l’aiuto di Giulia e Manuela, l’occasione giusta è arrivata allo Sportello Migranti del centro sociale Tpo. Qui, grazie ad alcuni “angeli custodi”, tra cui Margherita Boncompagni, a Yusupha sono state aperte le braccia della generosità. È stato inserito nelle attività organizzate dal centro e ha trovato un letto al dormitorio sociale “Accoglienza Degna” di Labas.

Ora lui Yusupha è circondato da persone che lo stimano, ha trovato amici e ha recuperato dignità e speranza. Yusupha si sente amato ed è questo che ridona la forza di vivere e di sognare. Grazie all’accoglienza ha ricominciato a vivere.

Come ha detto il Vescovo Zuppi: la vita è tenersi per mano. La vita è degna quando siamo vicini gli uni agli altri. La dignità vera si chiama “noi”.  

Mattia Ferrari