Sul treno

Sul treno

“Siamo una civiltà che non fa figli, ma anche chiudiamo la porta ai migranti. Questo si chiama suicidio.”

A dirlo è Papa Francesco, portavoce di una grande verità.

L’Ungheria, come tutta l’Europa, sta vivendo un forte calo demografico, la società sta invecchiando. Che risposta dare?

… era l’estate del 2015 quando, con la Comunità di Sant’Egidio, abbiamo deciso di organizzare una vacanza estiva per alcuni bambini della Scuola della Pace di un quartiere povero di Budapest. Oltre ai bimbi ungheresi, abbiamo invitato anche quattro piccoli profughi conosciuti tempo prima nel campo di Bicske. Due di loro iracheni, altri due afghani.

Dopo la frenesia della preparazione, ecco finalmente il giorno della partenza. Il nostro gruppo era già salito sul treno, mancavano solo i quattro ospiti speciali. Nell’attesa, abbiamo preparato i bimbi della scuola all’incontro con i nuovi amici dicendo loro che stavamo aspettando quattro bambini profughi che si sarebbero uniti al gruppo e sarebbero venuti in vacanza con noi. Alla notizia, hanno cominciato ad agitarsi e a gridare: “Vengono i migranti! Vengono i migranti!”. Il migrante… questo sconosciuto che incute tanta paura! I piccoli avevano appreso il timore dei migranti dagli adulti, dai mezzi di comunicazione, dalle ideologie.

La parola “migrante” non rientrava nel vocabolario ungherese, è stata introdotta nel linguaggio comune carica di falsi stereotipi. In Ungheria, la propaganda ufficiale ancora oggi non usa la parola “rifugiato” perché suscita compassione, si preferisce la parola “migrante” che rappresenta una categoria astratta, lontana e da tenere a distanza.

I bambini, dunque, erano spaventati. Ma non solo loro. Nello stesso scompartimento, c’era una coppia di anziani ungheresi. Probabilmente non avevano mai incontrato un immigrato o un profugo ma, bombardati dalla propaganda, sapevano solo che i migranti erano da temere. Anche loro, come i bambini, ripetevano “Vengono i migranti!”. Finalmente vediamo arrivare i nostri ospiti, la tensione era palpabile quando sul treno sono saliti i quattro ragazzini ma l’innocenza e la freschezza dell’infanzia, si sa, abbattono ogni barriera e, senza troppi pensieri, i quattro piccoli profughi si sono messi a giocare con i bambini ungheresi. Dopo averli lasciati soli, per permettergli di fare amicizia, siamo tornati nello scompartimento per controllare la situazione. Ed ecco ai nostri occhi, una scena inaspettata: il più piccolo dei profughi, un bimbo afghano di quattro anni, accoccolato sul grembo dell’anziana signora. Non c’erano abbastanza posti a sedere e l’accoglienza tra le braccia è stata spontanea. Arrivato per la coppia il momento di scendere, il marito, guardando la moglie disse “Non ti avevo forse detto di non coccolarlo? Sapevo che ti saresti affezionata e ora per te è difficile staccarti da lui!”

Questa è l’immagine di come dovrebbe essere la nostra Europa. Un’anziana signora che, come dice Papa Francesco, è invecchiata come una nonna. La speranza è che questa anziana signora diventi presto una vera nonna, tenera e accogliente e che porti i suoi figli, chiunque essi siano, accoccolati in grembo.

– Péter SZÖKE