6 Aprile 2019 | Discorsi

INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO CON I DOCENTI E CON GLI STUDENTI DEL COLLEGIO SAN CARLO DI MILANO

Aula Paolo VI

DOMANDA 2 – PROF.SSA SILVIA PERUCCA (DOCENTE) Buongiorno Santo Padre, mi chiamo Silvia e da 13 anni insegno presso il Liceo Classico del Collegio San Carlo. Noi docenti di tutti gli ordini di scuola ci troviamo quotidianamente di fronte a sfide educative sempre più grandi. Viviamo infatti in una società multietnica e multiculturale, proiettata verso il futuro e che offre costantemente possibilità di incontro e confronto con persone, strumenti e metodi educativi diversi, basti pensare alla tecnologia e alle opportunità che essa offre ma anche agli inevitabili rischi che porta con sé. Come educatori desideriamo insegnare ai nostri studenti un modo per cogliere al meglio queste opportunità aprendoci all’altro senza temere gli eventuali contrasti, forti della consapevolezza che ciò non significa perdere la propria identità, bensì arricchirla. Oggi vorremmo quindi chiederLe come possiamo trasmettere al meglio ai nostri studenti i valori radicati nella cultura cristiana e al tempo stesso come possiamo conciliarli con l’esigenza sempre più ineludibile di educare al confronto e all’incontro con le altre culture. Grazie. RISPOSTA Grazie a te. Parto dall’ultima parte della domanda per poi risalire: “Come possiamo conciliarli con l’esigenza sempre più ineludibile di educare al confronto e all’incontro” e “Come possiamo trasmettere al meglio ai nostri studenti i valori radicati nella cultura cristiana?”. La parola chiave qui è radicati. E per avere delle radici, ci vogliono due cose: consistenza, cioè terra – un albero ha delle radici perché ha terra – e memoria. Il male di oggi secondo gli analisti, gli studiosi – seguendo la scuola di Bauman – è la liquidità. L’ultimo libro di Bauman si chiama “Nati liquidi”, e dice che voi giovani siete nati liquidi, senza consistenza. Ma la traduzione tedesca – e questa è una curiosità – invece di dire “nati liquidi”, dice “sradicati”. La liquidità si fa quando tu non sei capace di trovare la tua identità, cioè le tue radici, perché non sei capace di andare oltre con la memoria, e confrontarti con la tua storia, con la storia del tuo popolo, con la storia dell’umanità, con la storia del cristianesimo: i valori sono quelli! Questo non significa che io devo fare una chiusura del presente e coprirmi del passato e rimanere lì per paura. No: questa è pusillanimità… Ma dovete andare alle radici, prendere il succo delle radici e portarle avanti con la crescita. La gioventù non può andare avanti se non è radicata. I valori sono radici, ma con questo tu devi crescere. Annaffiare quelle radici con il tuo lavoro, con il confronto con la realtà, ma crescere con la memoria delle radici. Per questo consiglio tanto di parlare con i vecchi: difendo la mia categoria, ma dobbiamo parlare con i vecchi, perché loro sono la memoria del popolo, della famiglia, della storia. “Sì, ma io parlo con papà e mamma” Questo è buono, ma la generazione intermedia non è tanto capace – oggi – di trasmettere i valori, le radici come gli anziani. Io ricordo nell’altra diocesi, quando alcune volte dicevo ai ragazzi: “Andiamo a fare qualcosa? Andiamo in questa casa di riposo a suonare la chitarra per aiutare gli anziani?”. “Padre, che noioso. . . Andiamo un po’…” I giovani andavano lì, incominciavano con la chitarra, e i vecchi che erano addormentati incominciavano a svegliarsi, a fare delle domande: i giovani ai vecchi, i vecchi ai giovani. Alla fine non volevano andarsene. Ma quale era il fascino dei vecchi? Le radici! Perché i vecchi facevano vivere loro i valori della loro storia, della loro personalità, valori che sono promessa per andare avanti. Per questo sono importanti i valori radicati – uso la tua parola: è tanto importante. Poi, una seconda cosa è la propria identità. Noi non possiamo fare una cultura del dialogo se non abbiamo identità, perché il dialogo sarebbe come l’acqua che se ne va. Io con la mia identità dialogo con te che hai la tua identità, e ambedue andiamo avanti. Ma è importante essere cosciente della mia identità e sapere chi sono io e che sono differente dagli altri. C’è gente che non sa quale sia la sua identità e vive delle mode; non ha luce interiore: vive dei fuochi d’artificio che durano cinque minuti e poi finiscono. Conoscere la propria identità. Questo è molto importante. Perché tu hai avuto questa reazione o quell’altra? “Perché io sono così…”: conoscere l’identità, la tua storia, la tua appartenenza a un popolo. Noi non siamo funghi, nati soli: siamo gente nata in famiglia, in un popolo e tante volte questa cultura liquida ci fa dimenticare l’appartenenza a un popolo. Una critica che io farei, è la mancanza di patriottismo. Patriottismo non è solo andare a cantare l’inno nazionale o a fare un omaggio alla bandiera: il patriottismo è appartenenza a una terra, a una storia, a una cultura … e questo è l’identità. Identità significa appartenenza. Non si può avere identità senza appartenenza. Se io voglio sapere chi sono io, devo farmi la domanda: “A chi appartengo?”. E la terza cosa: tu all’inizio hai parlato di una società multietnica e multiculturale. Ringraziamo Dio di questo! Ringraziamo Dio, perché è ricchezza il dialogo fra le culture, fra le persone, fra le etnie … Una volta ho sentito un uomo, un padre di famiglia, che era felice quando i suoi figli giocavano con i figli di altra gente, con altra cultura… gente che forse noi sottovalutiamo e anche disprezziamo, ma perché? Forse i tuoi figli non cresceranno puri nella tua razza? “Padre, che cosa più pura dell’acqua distillata? – mi ha detto una volta un uomo” . “Ma a me … non sento il sapore dell’acqua distillata … non mi serve per dissetarmi”. L’acqua della vita, di questa multietnicità, di questa multiculturalità. Non avere paura. E qui tocco una piaga: non avere paura dei migranti. I migranti sono coloro che ci portano ricchezze, sempre. Anche l’Europa è stata fatta da migranti! I barbari, i celti… tutti questi che venivano dal Nord e hanno portato le culture, l’Europa si è accresciuta così, con la contrapposizione delle culture. Ma oggi, state attenti a questo: oggi c’è la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità. “Ma, Padre, dobbiamo accogliere tutti i migranti?” Il cuore aperto per accogliere, prima di tutto. Se io ho il cuore razzista, devo esaminare bene perché e convertirmi. Secondo: i migranti vanno ricevuti, accompagnati, integrati; che prendano i nostri valori e noi conosciamo i loro, l’interscambio di valori. Ma per integrare, i governanti devono fare dei calcoli: “Ma il mio Paese ha capacità per integrare soltanto questo”. Dialoga con gli altri Paesi e cercate insieme le soluzioni. Questa è la bellezza della generosità umana: accogliere per diventare più ricchi. Più ricchi di cultura, più ricchi nella crescita. Ma alzare muri non serve. Ho citato poco tempo fa quella bella frase di Ivo Andrić nel romanzo “Il ponte sulla Drina”, quando lui parla dei ponti e dice che i ponti sono una cosa così ineffabile e tanto grande che sono angeli, non sono cose umane. Dice così: “Il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini possano comunicare”. La grandezza di costruire ponti con la gente è per la comunicazione, e noi cresciamo con la comunicazione. Invece, chiuderci in noi ci porta ad essere non comunicanti, ad essere “acqua distillata”, senza forza. Per questo io vi dico: insegnate ai giovani, aiutate i giovani a crescere nella cultura dell’incontro, capaci di incontrare la gente diversa, le differenze, e a crescere con le differenze: così si cresce, con il confronto, con il confronto buono. C’è un’altra cosa, sottesa a quello che tu dici: oggi in questo nostro mondo occidentale è cresciuta tanto un’altra cultura: la cultura dell’indifferenza. L’indifferentismo che viene da un relativismo: il mio è mio, punto; e dall’abolizione di ogni certezza. La cultura dell’indifferenza è una cultura non creativa, che non ti lascia crescere; invece la cultura dev’essere sempre interessata nei valori, nelle storie degli altri. E questa cultura dell’indifferenza tende a spegnere la persona come un essere autonomo, pensante, per soggiogarlo e affogarlo. State attenti con questa cultura dell’indifferenza. Da qui derivano gli integralismi, i fondamentalismi e lo spirito settario. Questo più o meno dobbiamo pensare: una cultura aperta, che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. Grazie