7 Ottobre 2021 | Discorso del Santo Padre

CERIMONIA FINALE DELL’INCONTRO DI PREGHIERA PER LA PACE ORGANIZZATO DALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO: “POPOLI FRATELLI, TERRA FUTURA. RELIGIONI E CULTURE IN DIALOGO” DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza del Colosseo

Cari fratelli e sorelle!
Saluto e ringrazio tutti voi, Capi di Chiese, Autorità politiche e Rappresentanti
delle grandi religioni mondiali. È bello essere qui insieme, portando nel cuore e
nel cuore di Roma i volti delle persone di cui ci prendiamo cura. Ed è importante
soprattutto pregare e condividere, in modo limpido e accorato, le preoccupazioni
per il presente e l’avvenire del nostro mondo. In questi giorni tanti credenti sono
convenuti, manifestando come la preghiera sia quella forza umile che dona pace
e disarma i cuori dall’odio. In vari incontri, è stata espressa anche la convinzione
che occorre cambiare i rapporti tra i popoli e dei popoli con la terra. Perché qui
oggi, insieme, sogniamo popoli fratelli e una terra futura.
Popoli fratelli. Lo diciamo avendo alle spalle il Colosseo. Questo anfiteatro, in un
lontano passato, fu luogo di brutali divertimenti di massa: combattimenti tra
uomini o tra uomini e bestie. Uno spettacolo fratricida, un gioco mortale fatto
con la vita di molti. Ma anche oggi si assiste alla violenza e alla guerra, al fratello
che uccide il fratello quasi fosse un gioco guardato a distanza, indifferenti e
convinti che mai ci toccherà. Il dolore degli altri non mette fretta. E nemmeno
quello dei caduti, dei migranti, dei bambini intrappolati nelle guerre, privati della
spensieratezza di un’infanzia di giochi. Ma con la vita dei popoli e dei bambini
non si può giocare. Non si può restare indifferenti. Occorre, al contrario, entrare
in empatia e riconoscere la comune umanità a cui apparteniamo, con le sue
fatiche, le sue lotte e le sue fragilità. Pensare: “Tutto questo mi tocca, sarebbe
potuto accadere anche qui, anche a me”. Oggi, nella società globalizzata che
spettacolarizza il dolore ma non lo compatisce, abbiamo bisogno di “costruire
compassione”. Di sentire l’altro, di fare proprie le sue sofferenze, di riconoscerne
il volto. Questo è il vero coraggio, il coraggio della compassione, che fa andare
oltre il quieto vivere, oltre il non mi riguarda e il non mi appartiene. Per non
lasciare che la vita dei popoli si riduca a un gioco tra potenti. No, la vita dei
popoli non è un gioco, è cosa seria e riguarda tutti; non si può lasciare in balia
degli interessi di pochi o in preda a passioni settarie e nazionaliste.
È la guerra a prendersi gioco della vita umana. È la violenza, è il tragico e
sempre prolifico commercio delle armi, che si muove spesso nell’ombra,
alimentato da fiumi di denaro sotterranei. Voglio ribadire che «la guerra è un
fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di
fronte alle forze del male» (Lett. enc. Fratelli tutti, 261). Dobbiamo smettere di
accettarla con lo sguardo distaccato della cronaca e sforzarci di vederla con gli
occhi dei popoli. Due anni fa, ad Abu Dhabi, con il caro fratello qui presente, il
Grande Imam di Al Azhar, abbiamo invocato la fratellanza umana per la pace,
parlando «in nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune
convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre»
(Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza
comune, 4 febbraio 2019). Siamo chiamati, come rappresentanti delle religioni, a
non cedere alle lusinghe del potere mondano, ma a farci voce di chi non ha voce,
sostegno dei sofferenti, avvocati degli oppressi, delle vittime dell’odio, scartate
dagli uomini in terra ma preziose davanti a Colui che abita i cieli. Oggi hanno
timore, perché in troppe parti del mondo, anziché prevalere il dialogo e la
cooperazione, riprende forza il confronto militare come strumento decisivo per
imporsi.
Vorrei dunque esprimere nuovamente l’esortazione che feci ad Abu Dhabi sul
compito non più rimandabile che spetta alle religioni «in questo delicato
frangente storico: smilitarizzare il cuore dell’uomo» (Discorso nell’Incontro
Interreligioso, 4 febbraio 2019). È nostra responsabilità, cari fratelli e sorelle
credenti, aiutare a estirpare dai cuori l’odio e condannare ogni forma di violenza.
Con parole chiare incoraggiamo a questo: a deporre le armi, a ridurre le spese
militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte
in strumenti di vita. Non siano parole vuote, ma richieste insistenti che eleviamo
per il bene dei nostri fratelli, contro la guerra e la morte, in nome di Colui che è
pace e vita. Meno armi e più cibo, meno ipocrisia e più trasparenza, più vaccini
distribuiti equamente e meno fucili venduti sprovvedutamente. I tempi ci
chiedono di farci voce di tanti credenti, persone semplici, disarmate, stanche
della violenza, perché chi detiene responsabilità per il bene comune si impegni
non solo a condannare guerre e terrorismo, ma a creare le condizioni perché essi
non divampino.
Perché i popoli siano fratelli, la preghiera deve salire incessante al Cielo e una
parola non può smettere di risuonare in terra: pace. San Giovanni Paolo II sognò
un cammino comune dei credenti, che si snodasse da quell’evento verso il
futuro. Cari amici, siamo in questo cammino, ciascuno con la propria identità
religiosa, per coltivare la pace in nome di Dio, riconoscendoci fratelli. Papa
Giovanni Paolo ci indicò questo compito, affermando: «La pace attende i suoi
profeti. La pace attende i suoi artefici» (Discorso ai Rappresentanti delle Chiese
cristiane, delle Comunità Ecclesiali e delle Religioni Mondiali convenuti in Assisi,
27 ottobre 1986). Ad alcuni parve vuoto ottimismo. Ma negli anni è cresciuta la
condivisione e sono maturate storie di dialogo tra mondi religiosi diversi, che
hanno ispirato percorsi di pace. È questa la vera via. Se c’è chi vuole dividere e
creare scontri, noi crediamo nell’importanza di camminare insieme per la pace:
gli uni con gli altri, mai più gli uni contro gli altri.
Fratelli, sorelle, il nostro è un cammino che chiede costantemente di purificare il
cuore. Francesco di Assisi, mentre chiedeva ai suoi di vedere negli altri dei
«fratelli, perché creati dall’unico Creatore», faceva questa raccomandazione: «La
pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori»
(Leggenda dei tre compagni, XIV,5: FF 1469). La pace non è anzitutto un
accordo da negoziare o un valore di cui parlare, ma principalmente un
atteggiamento del cuore. Nasce dalla giustizia, cresce nella fraternità, vive di
gratuità. Spinge a «servire la verità e dichiarare senza paure e infingimenti il
male quando è male, anche e soprattutto quando viene commesso da chi si
professa seguace del nostro stesso credo» (Messaggio ai Partecipanti al G20
Interfaith Forum 2021, 7 settembre 2021). In nome della pace disinneschiamo,
vi prego, in ogni tradizione religiosa, la tentazione fondamentalista, ogni
insinuazione a fare del fratello un nemico. Mentre tanti sono presi da
antagonismi, da fazioni e giochi di parte, noi facciamo risuonare quel detto
dell’Imam Ali: “Le persone sono di due tipi: o tuoi fratelli nella fede o tuoi simili
nell’umanità”. Non c’è un’altra divisione.
Popoli fratelli per sognare la pace. Ma il sogno della pace oggi si coniuga con un
altro, il sogno della terra futura. È l’impegno per la cura del creato, per la casa
comune che lasceremo ai giovani. Le religioni, coltivando un atteggiamento
contemplativo e non predatorio, sono chiamate a porsi in ascolto dei gemiti della
madre terra, che subisce violenza. Il caro fratello, il Patriarca Bartolomeo, qui
presente, ci ha aiutato a maturare la consapevolezza che «un crimine contro la
natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio» (Discorso a Santa
Barbara, 8 novembre 1997, cit. in Lett. Enc. Laudato si’, 8).
Ribadisco quanto la pandemia ci ha mostrato, ovvero che non possiamo restare
sempre sani in un mondo malato. Negli ultimi tempi tanti si sono malati di
dimenticanza, dimenticanza di Dio e dei fratelli. Ciò ha portato a una corsa
sfrenata all’autosufficienza individuale, deragliata in un’avidità insaziabile, di cui
la terra che calpestiamo porta le cicatrici, mentre l’aria che respiriamo è piena di
sostanze tossiche e povera di solidarietà. Abbiamo così riversato sul creato
l’inquinamento del nostro cuore. In questo clima deteriorato, consola pensare
che le medesime preoccupazioni e lo stesso impegno stiano maturando e
diventando patrimonio comune di tante religioni. La preghiera e l’azione possono
riorientare il corso della storia. Coraggio, fratelli e sorelle! Abbiamo davanti agli
occhi una visione, che è la stessa di tanti giovani e uomini di buona volontà: la
terra come casa comune, abitata da popoli fratelli. Sì, sogniamo religioni sorelle
e popoli fratelli! Religioni sorelle, che aiutino popoli a essere fratelli in pace,
custodi riconciliati della casa comune del creato. Grazie.