[…] Gesù, sapendo quello che pensavano, propone loro un antidoto a queste lotte di potere e al rifiuto del sacrificio; e, per dare solennità a quello che sta per dire, si siede come un Maestro, li chiama, e compie un gesto: mette un bambino al centro; un ragazzino che di solito si guadagnava gli spiccioli facendo le commissioni che nessuno voleva fare. Chi metterà in mezzo oggi, qui, in questa mattina di domenica? Chi saranno i più piccoli, i più poveri tra noi, che dobbiamo accogliere a cent’anni della nostra indipendenza? Chi è che non ha nulla per ricambiarci, per rendere gratificanti i nostri sforzi e le nostre rinunce? Forse sono le minoranze etniche della nostra città, o quei disoccupati che sono costretti a emigrare. Forse sono gli anziani soli, o i giovani che non trovano un senso nella vita perché hanno perso le loro radici. “In mezzo” significa equidistante, in modo che nessuno possa fingere di non vedere, nessuno possa sostenere che “è responsabilità di altri”, perché “io non ho visto” o “sono troppo lontano”. Senza protagonismi, senza voler essere applauditi o i primi. […]