Archive

VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL FESTIVAL DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

[…] Nell’Enciclica Fratelli tutti ricordo che «la pandemia ci ha permesso di
recuperare e apprezzare tanti compagni e compagne di viaggio che, nella paura,
hanno reagito donando la propria vita. Siamo stati capaci di riconoscere che le
nostre vite sono intrecciate e sostenute da persone ordinarie che, senza dubbio,
hanno scritto gli avvenimenti decisivi della nostra storia condivisa: medici,
infermieri e infermiere, farmacisti, addetti ai supermercati, personale delle
pulizie, badanti, trasportatori, uomini e donne che lavorano per fornire servizi
essenziali e sicurezza, volontari, sacerdoti, religiose» e così via. Questi «hanno
capito che nessuno si salva da solo» (n. 54). Nessuno si salva da solo. Ecco i
talenti messi a frutto. Ecco la speranza che sostiene e indirizza la creatività con
audacia e coraggio. Per questo, rinnovo l’invito a camminare nella speranza che
«è audace, sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e
compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono
la vita più bella e dignitosa» (ibid., 55); (cfr Saluto ai giovani del Centro
Culturale Padre Félix Varela, L’Avana – Cuba, 20 settembre 2015). […]

Archive

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA PARTITA DI CALCIO DELLA WORLD ROM ORGANIZATION

Cari amici Rom,
cari fratelli e sorelle!
Ho accolto con gioia la proposta della World Rom Organization di giocare una
partita di calcio qui, a Roma, con una “squadra del Papa”, che non sono i
cardinali: cioè una formazione del Vaticano.
In effetti, la squadra con la quale – e non “contro” la quale – giocherete domani
rappresenta uno stile di passione sportiva vissuta con solidarietà e gratuità, con
spirito amatoriale e inclusivo. Giocherete insieme a qualche Guardia Svizzera, a
sacerdoti che lavorano in uffici della Curia romana, a dipendenti vaticani e ad
alcuni loro figli.
In campo – con la maglietta che porta la scritta “Fratelli tutti” –ci sarà anche un
giovane calciatore con la sindrome di Down, appartenente a “Special Olympics”,
e anche tre migranti. Questi, dopo un percorso segnato da soprusi e violenze,
che li ha visti passare dal campo greco di Lesbo e poi in Italia, sono stati accolti
dalla Comunità di Sant’Egidio e stanno vivendo un’esperienza di integrazione.
Grazie a tutti per aver accettato di far parte della “squadra del Papa”! È una
squadra dove non ci sono barriere e che fa dell’inclusione la semplice normalità.
Fa dell’inclusione la semplice normalità: questo è chiaro. Ringrazio il Pontificio
Consiglio della Cultura, il cardinale Ravasi, per questa azione concreta di
testimonianza nel mondo dello sport, soprattutto attraverso “Athletica Vaticana”,
che vive ogni giorno questa missione di servizio tra le donne e gli uomini
sportivi.
Cari amici Rom, conosco bene la vostra storia, la vostra realtà, le vostre paure e
le vostre speranze. Per questa ragione incoraggio con particolare affetto il
progetto “Un calcio all’esclusione”, avviato dalla Diocesi di Roma, affinché questa
partita non resti solo un momento isolato. Saluto Monsignor Ambarus, Vescovo
ausiliare che si occupa proprio della pastorale tra i Rom, accompagnato dai
ragazzi dell’oratorio della parrocchia di San Gregorio Magno alla Magliana. Grazie
anche a voi, ragazzi, e auguri perché so che domani sarete i primi a scendere in
campo in una partita preparatoria con i vostri coetanei della Lazio. E grazie alla
società della Lazio che, gentilmente e generosamente, ospita e sostiene questa
iniziativa.
Lo scorso 14 settembre a Košice, in Slovacchia, ho visitato la comunità Rom. Ho
invitato a passare dai pregiudizi al dialogo, dalle chiusure all’integrazione. Dopo
aver ascoltato le testimonianze di alcuni membri della comunità – storie di
dolore, di riscatto e di speranza –, ho ricordato a tutti che «essere Chiesa è
vivere da convocati di Dio, è sentirsi titolari nella vita, far parte della stessa
squadra». Avevo usato proprio queste espressioni, riprese dal linguaggio
calcistico, che si intonano benissimo anche al senso della vostra partita. Troppe
volte, dicevo al popolo Rom di Košice, i Rom sono «stati oggetto di preconcetti e
di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole egesti diffamatori. Con
ciò tutti siamo diventati più poveri di umanità».
Per questo, l’evento sportivo a cui voi darete vita ha un grande significato: indica
che la via per la convivenza pacifica è l’integrazione. E la base è l’educazione dei
bambini. Cari amici Rom, so che in Croazia date vita a tante iniziative sportive di
inclusione, per aiutare la reciproca conoscenza e amicizia. È un segno di
speranza! Perché i grandi sogni dei bambini non possono infrangersi contro le
nostre barriere. I bambini, tutti i bambini, hanno il diritto di crescere insieme,
senza ostacoli e senza discriminazioni. E lo sport è un luogo d’incontro e di
uguaglianza, e può costruire comunità attraverso ponti di amicizia.
Vi ringrazio di questa visita! Vi auguro una buona partita. Non importa chi farà
più gol, perché il gol decisivo lo fate insieme, il gol che fa vincere la speranza e
che dà un calcio all’esclusione. Grazie a tutti!

Archive

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE “SRADICARE IL LAVORO MINORILE, COSTRUIRE UN FUTURO MIGLIORE”

Eminenza,
Illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!
Ho il piacere di rivolgere il benvenuto a tutti voi qui convenuti da più parti del
mondo, malgrado le difficoltà dovute alla pandemia, per partecipare alla
Conferenza Internazionale “Sradicare il lavoro minorile, costruire un futuro
migliore”, che si svolgerà questo pomeriggio presso il Dicastero per il Servizio
dello Sviluppo Umano Integrale.
La piaga dello sfruttamento lavorativo dei bambini, sulla quale quest’oggi vi
trovate a riflettere insieme, è di particolare importanza per il presente e per il
futuro della nostra umanità. Il modo in cui ci relazioniamo ai bambini, la misura
in cui rispettiamo la loro innata dignità umana e i loro diritti fondamentali,
esprimono quale tipo di adulti siamo e vogliamo essere e quale tipo di società
vogliamo costruire.
Lascia allibiti e turbati il fatto che nelle economie contemporanee, le cui attività
produttive si avvalgono delle innovazioni tecnologiche, tanto che si parla di
“quarta rivoluzione industriale”, persista in ogni parte del globo l’impiego dei
bambini in attività lavorative. Questo pone a rischio la loro salute, il loro
benessere psico-fisico e li priva del diritto all’istruzione e a vivere l’infanzia con
gioia e serenità. La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione.
Il lavoro minorile non è da confondere con le piccole mansioni domestiche che i
bambini, nel loro tempo libero e in base alla loro età, possono svolgere
nell’ambito della vita familiare, per aiutare genitori, fratelli, nonni o altri membri
della comunità. Queste attività sono in genere favorevoli al loro sviluppo, perché
consentono di mettere alla prova le proprie capacità e di crescere in
consapevolezza e responsabilità. Il lavoro minorile è tutt’altra cosa! È
sfruttamento dei bambini nei processi produttivi dell’economia globalizzata a
vantaggio di profitti e di guadagni altrui. È negazione del diritto dei bambini alla
salute, all’istruzione, a una crescita armoniosa, che comprenda anche la
possibilità di giocare e sognare. Questo è tragico. Un bambino che non può
sognare, che non può giocare, non può crescere. È derubare del futuro i bambini
e dunque l’umanità stessa. È lesione della dignità umana.
La povertà estrema, la mancanza di lavoro e la conseguente disperazione nelle
famiglie sono i fattori che espongono maggiormente i bambini allo sfruttamento
lavorativo. Se vogliamo sradicare la piaga del lavoro minorile, dobbiamo lavorare
insieme per debellare la povertà, per correggere le storture del sistema
economico vigente, che accentra la ricchezza nelle mani di pochi. Dobbiamo
incoraggiare gli Stati e gli attori del mondo imprenditoriale a creare opportunità
di lavoro dignitoso con salari equi, che consentano di soddisfare le necessità
delle famiglie senza che i figli siano costretti a lavorare. Dobbiamo unire i nostri
sforzi per favorire in ogni Paese un’istruzione di qualità, gratuita per tutti, così
come un sistema sanitario che sia accessibile a tutti indistintamente. Tutti gli
attori sociali sono chiamati in causa per contrastare il lavoro minorile e le cause
che lo determinano. La partecipazione a questa Conferenza di rappresentanti
delle organizzazioni internazionali, della società civile, dell’imprenditoria e della
Chiesa è un segno di grande speranza.
Esorto il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, a cui compete
anche la promozione dello sviluppo dei bambini, a continuare in quest’opera di
stimolo, di facilitazione e di coordinamento delle iniziative e degli sforzi già in
atto a tutti i livelli nel contrasto al lavoro minorile.
E a voi, relatori e partecipanti a questo incontro, esprimo la mia riconoscenza:
grazie perché mettete in comune le vostre competenze e il vostro impegno per
questa causa che è una vera questione di civiltà. Vi incoraggio ad andare avanti
su questa strada, senza scoraggiarvi per le inevitabili difficoltà, ma allargando
sempre più la rete delle persone e delle organizzazioni coinvolte. Teniamo
sempre presenti le parole di Gesù nel Vangelo: «Tutto quello che avete fatto a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Affido voi, le vostre famiglie e il vostro lavoro alla materna intercessione di Maria
Santissima, e di cuore vi benedico. Grazie.

Archive

PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
oggi celebriamo la V Giornata Mondiale dei Poveri, nata come frutto del Giubileo
della Misericordia. Tema di quest’anno sono le parole di Gesù «I poveri li avete
sempre con voi» (14,7). Ed è vero: l’umanità progredisce, si sviluppa, ma i
poveri sono sempre con noi, sempre ce ne sono, e in loro è presente Cristo, nel
povero è presente Cristo. L’altro ieri, ad Assisi, abbiamo vissuto un momento
forte di testimonianza e di preghiera, che vi invito a riprendere, vi farà bene. E
sono grato per le tante iniziative di solidarietà che sono state organizzate nelle
diocesi e nelle parrocchie in tutto il mondo.
Il grido dei poveri, unito al grido della Terra, è risuonato nei giorni scorsi al
Vertice delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP26, a Glasgow.
Incoraggio quanti hanno responsabilità politiche ed economiche ed agire subito
con coraggio e lungimiranza; al tempo stesso invito tutte le persone di buona
volontà ad esercitare la cittadinanza attiva per la cura della casa comune. A
questo scopo proprio oggi, Giornata Mondiale dei Poveri, si aprono le iscrizioni
alla piattaforma Laudato si’, che promuove l’ecologia integrale. […]

Archive

INCONTRO DI PREGHIERE E TESTIMONIANZE IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEI POVERI AD ASSISI DISCORSO DEL SANTO PADRE NELLA BASILICA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Vi ringrazio per avere accolto il mio invito – io sono stato l’invitato! – a celebrare
qui ad Assisi, la città di San Francesco, la quinta Giornata Mondiale dei Poveri,
che ricorre dopodomani. È un’idea che è nata da voi, è cresciuta e siamo arrivati
già alla quinta. Assisi non è una città come le altre: Assisi porta impresso il volto
di San Francesco. Pensare che tra queste strade lui ha vissuto la sua giovinezza
inquieta, ha ricevuto la chiamata a vivere il Vangelo alla lettera, è per noi una
lezione fondamentale. Certo, per alcuni versi la sua santità ci fa rabbrividire,
perché sembra impossibile poterlo imitare. Ma poi, nel momento in cui
ricordiamo alcuni momenti della sua vita, quei “fioretti” che sono stati raccolti
per mostrare la bellezza della sua vocazione, ci sentiamo attratti da questa
semplicità di cuore e semplicità di vita: è l’attrazione stessa di Cristo, del
Vangelo. Sono fatti di vita che valgono più delle prediche.
Mi piace ricordarne uno, che esprime bene la personalità del Poverello (cfr
Fioretti, cap. 13: Fonti Francescane, 1841-1842). Lui e fra Masseo si erano messi
in viaggio per raggiungere la Francia, ma non avevano portato con sé provviste.
A un certo punto dovettero cominciare a chiedere la carità. Francesco andò da
una parte e fra Masseo da un’altra. Ma, come raccontano i Fioretti, Francesco era
piccolo di statura e chi non lo conosceva lo riteneva un “barbone”; invece fra
Masseo “era un uomo grande e bello”. Fu così che San Francesco riuscì a stento
a raccogliere qualche pezzo di pane raffermo e duro, mentre fra Masseo raccolse
dei bei pezzi di pane buono.
Quando i due si ritrovarono si sedettero per terra e su una pietra misero quanto
avevano raccolto. Vedendo i pezzi di pane raccolti dal frate, Francesco disse: “Fra
Masseo, noi non siamo degni di questo grande tesoro”. Il frate, meravigliato,
rispose: “Padre Francesco, come si può parlare di tesoro dove c’è così tanta
povertà e mancano anche le cose necessarie?”. Francesco rispose: “È proprio
questo che io reputo un gran tesoro, perché non c’è nulla, ma quello che
abbiamo è donato dalla Provvidenza che ci ha dato questo pane». Ecco
l’insegnamento che ci dà San Francesco: saperci accontentare di quel poco che
abbiamo e dividerlo con gli altri.
Siamo qui alla Porziuncola, una delle chiesette che San Francesco pensava di
restaurare, dopo che Gesù che gli aveva chiesto di “riparare la sua casa”. Allora
mai avrebbe pensato che il Signore gli chiedesse di dare la sua vita per rinnovare
non la chiesa fatta di pietre, ma quella di persone, di uomini e donne che sono le
pietre vive della Chiesa. E se noi siamo qui oggi è proprio per imparare da ciò
che ha fatto San Francesco. A lui piaceva stare a lungo in questa chiesetta a
pregare. Si raccoglieva qui in silenzio e si metteva in ascolto del Signore, di
quello che Dio voleva da lui. Anche noi siamo venuti qui per questo: vogliamo
chiedere al Signore che ascolti il nostro grido, che ascolti il nostro grido!, e
venga in nostro aiuto. Non dimentichiamo che la prima emarginazione di cui i
poveri soffrono è quella spirituale. Ad esempio, tante persone e tanti giovani
trovano un po’ di tempo per aiutare i poveri e portano loro cibo e bevande calde.
Questo è molto buono e ringrazio Dio della loro generosità. Ma soprattutto mi
rallegra quando sento che questi volontari si fermano un po’ a parlare con le
persone, e a volte pregano insieme a loro… Ecco, anche il nostro trovarci qui,
alla Porziuncola, ci ricorda la compagnia del Signore, che Lui non ci lascia mai
soli, ci accompagna sempre in ogni momento della nostra vita. Il Signore oggi è
con noi. Ci accompagna, nell’ascolto, nella preghiera e nelle testimonianze date:
è Lui, con noi.
C’è un altro fatto importante: qui alla Porziuncola San Francesco ha accolto
Santa Chiara, i primi frati, e tanti poveri che venivano da lui. Con semplicità li
riceveva come fratelli e sorelle, condividendo con loro ogni cosa. Ecco
l’espressione più evangelica che siamo chiamati a fare nostra: l’accoglienza.
Accogliere significa aprire la porta, la porta della casa e la porta del cuore, e
permettere a chi bussa di entrare. E che possa sentirsi a suo agio, non in
soggezione, no, a suo agio, libero. Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive
anche l’esperienza sincera dell’accoglienza. Dove invece c’è la paura dell’altro, il
disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto o, peggio, l’indifferenza: quel
guardare da un’altra parte. L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al
contrario chiude nel proprio egoismo. Madre Teresa, che aveva fatto della sua
vita un servizio all’accoglienza, amava dire: “Qual è l’accoglienza migliore? Il
sorriso”. Il sorriso. Condividere un sorriso con chi è nel bisogno fa bene a tutt’e
due, a me e all’altro. Il sorriso come espressione di simpatia, di tenerezza. E poi
il sorriso ti coinvolge, e tu non potrai allontanarti dalla persona alla quale hai
fatto un sorriso.
[…]
È tempo invece che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le
loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo che si aprano gli occhi per
vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di
rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che
si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in
schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni
sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano
rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio
dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo. È
tempo di incontrarsi. È il momento dell’incontro. Se l’umanità, se noi uomini e
donne non impariamo a incontrarci, andiamo verso una fine molto triste.
Ho ascoltato con attenzione le vostre testimonianze, e vi dico grazie per tutto
quello che avete manifestato con coraggio e sincerità. Coraggio, perché le avete
volute condividere con tutti noi, nonostante siano parte della vostra vita
personale; sincerità, perché vi mostrate così come siete e aprite il vostro cuore
con il desiderio di essere capiti. Ci sono alcune cose che mi sono piaciute
particolarmente e che vorrei in qualche modo riprendere, per farle diventare
ancora più mie e lasciarle depositare nel mio cuore. Ho colto, anzitutto, un
grande senso di speranza. La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi,
spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della
malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha
impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi
hanno permesso di resistere.
Resistere. Questa è la seconda impressione che ho ricevuto e che deriva proprio
dalla speranza. Cosa vuol dire resistere? Avere la forza di andare avanti
nonostante tutto, andare controcorrente. Resistere non è un’azione passiva, al
contrario, richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che
porterà frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti
alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme
le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere
nella solitudine e nella tristezza. Resistere, aggrappandosi alla piccola o poca
ricchezza che possiamo avere. Penso alla ragazza dell’Afghanistan, con la sua
frase lapidaria: il mio corpo è qui, la mia anima è là. Resistere con la memoria,
oggi. Penso alla mamma romena che ha parlato alla fine: dolori, speranza e non
si vede l’uscita, ma la speranza forte nei figli che l’accompagnano e le ridanno la
tenerezza che hanno ricevuto da lei.
Chiediamo al Signore che ci aiuti sempre a trovare la serenità e la gioia. Qui alla
Porziuncola, San Francesco ci insegna la gioia che viene dal guardare a chi ci sta
vicino come a un compagno di viaggio che ci capisce e ci sostiene, così come noi
lo siamo per lui o per lei. Questo incontro apra il cuore di tutti noi a metterci a
disposizione gli uni degli altri; aprire il cuore per rendere la nostra debolezza una
forza che aiuta a continuare il cammino della vita, per trasformare la nostra
povertà in ricchezza da condividere, e così migliorare il mondo.
La Giornata dei Poveri. Grazie ai poveri che aprono il cuore per darci la loro
ricchezza e guarire il nostro cuore ferito. Grazie per questo coraggio. Grazie,
Étienne, per essere stato docile all’ispirazione dello Spirito Santo. Grazie per
questi anni di lavoro; e anche per la “testardaggine” di portare il Papa ad Assisi!
Grazie! Grazie, Eminenza, per il Suo appoggio, per il Suo aiuto a questo
movimento di Chiesa – diciamo “movimento” perché si muovono – e per la Sua
testimonianza. E grazie a tutti. Vi porto nel mio cuore. E, per favore, non
dimenticatevi di pregare per me, perché io ho le mie povertà, e tante! Grazie.

Archive

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO “GLI ITALIANI IN EUROPA E LA MISSIONE CRISTIANA” PROMOSSO DALLA FONDAZIONE MIGRANTES DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,
vi do il benvenuto e ringrazio il Card. Bassetti per le sue parole di saluto e di
introduzione. Saluto il Segretario Generale della CEI, il Presidente della
Fondazione Migrantes con il Direttore e i collaboratori, e rivolgo un grato saluto a
tutti voi, sacerdoti e collaboratori pastorali, che siete al servizio delle comunità e
delle missioni di lingua italiana in Europa.
Il tema che guida i lavori del vostro incontro è “Gli italiani in Europa e la
missione cristiana”. Vedo in questo, da una parte, la sollecitudine pastorale che
spinge sempre a conoscere la realtà, in questo caso la mobilità italiana; e,
dall’altra, il desiderio missionario che questa possa essere fermento, lievito di
nuova evangelizzazione in Europa. In questo quadro, vorrei condividere tre
riflessioni che spero possano aiutarvi nel presente e nel futuro.
La prima riguarda la mobilità, la migrazione. Spesso vediamo i migranti solo
come “altri” da noi, come estranei. In realtà, anche leggendo i dati del
fenomeno, scopriamo che i migranti sono una parte rilevante del “noi”, oltre che,
nel caso degli emigranti italiani, delle persone a noi prossime: le nostre famiglie,
i nostri giovani studenti, laureati, disoccupati, i nostri imprenditori. La
migrazione italiana rivela – come scriveva il grande Vescovo Geremia Bonomelli,
fondatore dell’Opera di assistenza degli emigranti in Europa e in Medio Oriente –
un’“Italia figlia”, in cammino in Europa, soprattutto, e nel mondo. È una realtà
che sento particolarmente vicina, in quanto anche la mia famiglia è emigrata in
Argentina. Il “noi”, dunque, per leggere la mobilità.
La seconda riflessione interessa l’Europa. La lettura dell’emigrazione italiana nel
Continente europeo ci deve rendere sempre più consapevoli che l’Europa è una
casa comune. Anche la Chiesa in Europa non può non considerare i milioni di
emigranti italiani e di altri Paesi che stanno rinnovando il volto delle città, dei
Paesi. E, allo stesso tempo, stanno alimentando «il sogno di un’Europa unita,
capace di riconoscere radici comuni e di gioire per la diversità che la abita» (Enc.
Fratelli tutti, 10). È un bel mosaico, che non va sfregiato o corrotto con i
pregiudizi o con quell’odio velato di perbenismo. L’Europa è chiamata a
rivitalizzare nell’oggi la sua vocazione alla solidarietà nella sussidiarietà.
La terza riflessione riguarda la testimonianza di fede delle comunità di emigrati
italiani in Paesi europei. Grazie alla loro radicata religiosità popolare hanno
comunicato la gioia del Vangelo, hanno reso visibile la bellezza di essere
comunità aperte e accoglienti, hanno condiviso i percorsi delle comunità cristiane
locali. Uno stile di comunione e di missione ha caratterizzato la loro storia, e
spero che potrà disegnare anche il loro futuro. Si tratta di un bellissimo filo che
ci lega alla memoria delle nostre famiglie. Come non pensare ai nostri nonni
emigrati e alla loro capacità di essere generativi anche sul piano della vita
cristiana? È un’eredità da custodire e curare, trovando le vie che permettano di
rivitalizzare l’annuncio e la testimonianza di fede. E questo dipende molto dal
dialogo tra le generazioni: specialmente tra i nonni e i nipoti. Questo è molto
importante, lo sottolineo: nonni e nipoti. Infatti, i giovani italiani che oggi si
muovono in Europa sono molto diversi, sul piano della fede, dai loro nonni,
eppure in genere sono molto legati ad essi. Ed è decisivo che rimangano
attaccati alle radici: proprio nel momento in cui si trovano a vivere in altri
contesti europei, è preziosa la linfa che attingono dalle radici, dai nonni, una linfa
di valori umani e spirituali. Allora, se c’è questo dialogo tra le generazioni, tra i
nonni e i nipoti, davvero «le espressioni della pietà popolare hanno molto da
insegnarci […], particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova
evangelizzazione» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 126).
Alla luce dell’esperienza latinoamericana, ho potuto affermare che «gli immigrati,
se li si aiuta a integrarsi, sono una benedizione, una ricchezza e un nuovo dono
che invita una società a crescere» (Enc. Fratelli tutti, 135). Accogliere,
accompagnare, promuovere e integrare, i quattro passi. Se non arriviamo
all’integrazione possono esserci problemi, e gravi. A me sempre viene in mente
la tragedia di Zaventem: coloro che hanno fatto questo erano belgi, ma figli di
migranti non integrati, ghettizzati. Accogliere, accompagnare, promuovere e
integrare. Lo stesso si può dire anche per l’Europa. Gli emigranti sono una
benedizione anche per e nelle nostre Chiese in Europa. Se integrati, possono
aiutare a far respirare l’aria di una diversità che rigenera l’unità; possono
alimentare il volto della cattolicità; possono testimoniare l’apostolicità della
Chiesa; possono generare storie di santità. Non dimentichiamo, ad esempio, che
Santa Francesca Saverio Cabrini, suora lombarda emigrante tra gli emigranti, è
stata la prima santa cittadina degli Stati Uniti d’America. Nello stesso tempo, le
migrazioni hanno accompagnato e possono sostenere, con l’incontro, la relazione
e l’amicizia, il cammino ecumenico nei diversi Paesi europei dove i fedeli
appartengono in maggioranza a comunità riformate o ortodosse.
In questo senso, constato con piacere che il percorso sinodale delle Chiese in
Italia, anche grazie al lavoro pastorale della Fondazione Migrantes, si propone di
considerare le persone migranti come una risorsa importante per il rinnovamento
e la missione delle Chiese in Europa. Soprattutto il mondo giovanile in
emigrazione, spesso disorientato e solo, dovrà vedere una Chiesa con i suoi
Pastori attenta, che cammina con loro e tra loro.
Il Beato Vescovo Giovanni Battista Scalabrini, la cui azione tra i migranti ha
alimentato la missione delle Chiese in Italia, e Santa Francesca Cabrini, patrona
dei migranti, guidino e proteggano il vostro cammino nelle Chiese in Europa per
un nuovo, gioioso e profetico annuncio del Vangelo.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quello che fate. Vi incoraggio a proseguire
nel vostro impegno e a pensare con creatività a una missione che guardi al
futuro delle nostre comunità, perché siano sempre più radicate nel Vangelo,
fraterne e accoglienti. Vi benedico e vi accompagno. E voi, per favore, non
dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

Archive

PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
seguo con preoccupazione le notizie che giungono dalla regione del Corno
d’Africa, in particolare dall’Etiopia, scossa da un conflitto che si protrae da più di
un anno e che ha causato numerose vittime e una grave crisi umanitaria. Invito
tutti alla preghiera per quelle popolazioni così duramente provate, e rinnovo il
mio appello affinché prevalgano la concordia fraterna e la via pacifica del
dialogo.
E assicuro la mia preghiera anche per le vittime dell’incendio seguito a
un’esplosione di carburante, nella periferia di Freetown, capitale della Sierra
Leone. […]

Archive

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO, A FIRMA DEL SEGRETARIO DI STATO PIETRO PAROLIN, ALLA SESSIONE INAUGURALE DELL’INCONTRO GLOBALE DELLA FAO SULL’ELIMINAZIONE DEL LAVORO MINORILE IN AGRICOLTURA

A Sua Eccellenza Qu Dongyu
Direttore Generale della Fao
Eccellenza,
Su incarico e a nome del Santo Padre, desidero ringraziare la Fao per aver
promosso, in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil),
questo incontro mondiale di alto livello che focalizza la nostra attenzione su un
fenomeno sempre più preoccupante, viste le stime recenti degli organismi
internazionali.
Di fatto, ancor di più quando si manifesta come sfruttamento, il lavoro minorile
diventa un flagello che ferisce crudelmente l’esistenza dignitosa e lo sviluppo
armonioso dei più piccoli, limitando considerevolmente le loro opportunità di
futuro, poiché riduce e lede la loro vita per soddisfare i bisogni produttivi e
lucrativi degli adulti.
Le connotazioni negative di questo dramma sono state acuite dalla pandemia,
che ha spinto un numero crescente di minori ad abbandonare la scuola per
cadere, purtroppo, nelle grinfie di questa forma di schiavitù. Per molti di questi
nostri piccoli fratelli, non andare a scuola significa non solo perdere opportunità
che li renderanno capaci di affrontare le sfide dell’età adulta, ma anche
ammalarsi, ossia vedersi privati del diritto alla salute, a causa delle deplorevoli
condizioni in cui devono svolgere i compiti che vilmente si esigono da loro.
Se ci soffermiamo sul settore agricolo, l’emergenza è ancora più allarmante:
migliaia di bambini e bambine si vedono costretti a lavorare instancabilmente, in
condizioni estenuanti, precarie e avvilenti, subendo maltrattamenti, abusi e
discriminazione. Ma la situazione raggiunge l’apice della desolazione quando
sono gli stessi genitori che si vedono costretti a mandare i propri figli a lavorare,
perché senza il loro contributo attivo non potrebbero mantenere la famiglia.
Signor Direttore Generale, da questo incontro si levi potente un grido che esiga
dalle istanze internazionali e nazionali competenti la difesa della serenità e della
felicità dei bambini! L’investimento più redditizio che l’umanità può fare è la
protezione dell’infanzia! Proteggere i bambini è rispettare il momento della loro
crescita, lasciando che questi fragili germogli beneficino delle condizioni
adeguate alla loro apertura e fioritura. Proteggere i bambini, inoltre, comporta
l’adozione di misure incisive per aiutare le famiglie dei piccoli agricoltori, di modo
che non si vedano obbligati a mandare i propri figli nelle campagne per
incrementare le loro entrate, che essendo tanto basse non consentono loro di
mantenere dignitosamente la propria famiglia. Infine, proteggere i bambini
implica di agire in modo tale che si schiudano dinanzi a loro orizzonti che li
configurino come cittadini liberi, onesti e solidali.
Quanto sarebbe importante che un opportuno ed efficace ordinamento giuridico,
di portata sia internazionale sia nazionale, difendesse e proteggesse i bambini e
le bambine da questa nociva mentalità tecnocratica che si è impadronita del
presente. A tal fine devono moltiplicarsi le persone e le associazioni che, a ogni
livello, si adoperino affinché il desiderio di lucro smisurato che condanna i
bambini e i giovani al brutale giogo dello sfruttamento lavorativo ceda il posto
alla logica della cura. In tal senso si richiede un’opera di denuncia, di
educazione, di sensibilizzazione, di convinzione affinché quanti non si fanno
scrupoli a schiavizzare l’infanzia con oneri insopportabili riescano a vedere più
lontano e più a fondo, vincendo l’egoismo e quest’ansia di consumare in modo
compulsivo che finiscono col divorare il pianeta, dimenticando che le sue risorse
vanno preservate per le generazioni future.
Eccellenza, se aspiriamo a far sì che la nostra società possa godere di quella
dignità che la nobilita, se vogliamo che il diritto trionfi sull’arbitrarietà, dobbiamo
assicurare ai nostri bambini e giovani un presente senza sfruttamento lavorativo.
E ciò sarà possibile solo se c’impegneremo in modo congiunto e perentorio a far
sì che costudiscano e coltivino i loro sogni, giochino, si preparino e imparino.
Allora si aprirà la strada a un futuro luminoso per la famiglia umana. Non ho
dubbi che a ciò contribuirà l’evento di oggi e l’attuale Anno Internazionale per
l’Eliminazione del Lavoro Minorile.
Nel rinnovare la volontà della Santa Sede e l’impegno della Chiesa cattolica e
delle sue istituzioni affinché la comunità internazionale non smetta di combattere
in modo fermo, congiunto e deciso la piaga dello sfruttamento lavorativo dei
minori, invoco su di lei, signor Direttore Generale, e su quanti si adoperano per
liberare i bambini e i giovani da ogni avversità, la Benedizione di Dio
Onnipotente.
Vaticano, 2 novembre 2021
Cardinale Pietro Parolin
Segretario di Stato

Archive

SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
[…] Domani mattina mi recherò al Cimitero Militare Francese di Roma: sarà
l’occasione per pregare in suffragio di tutti i morti, in particolare per le vittime
della guerra e della violenza. Visitando questo cimitero, mi unisco spiritualmente
a quanti in questi giorni vanno a pregare presso le tombe dei loro cari, in ogni
parte del mondo. […]

Archive

PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
[…] Penso anche alla popolazione di Haiti, che vive in condizioni al limite. Chiedo
ai responsabili delle Nazioni di sostenere questo Paese, di non lasciarlo solo. E
voi, tornando a casa, cercate notizie su Haiti, e pregate, pregate tanto. Stavo
vedendo nel programma “A Sua Immagine”, la testimonianza di quel missionario
camilliano ad Haiti, padre Massimo Miraglio, le cose che ci diceva… di quanta
sofferenza, quanto dolore c’è in questa terra, e quanto abbandono. Non
abbandoniamoli! […]