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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO A CIPRO E IN GRECIA (2-6 dicembre 2021) VISITA AI RIFUGIATI DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,
grazie per le vostre parole. Le sono grato, Signora Presidente, per la sua
presenza e le sue parole. Sorelle, fratelli, sono nuovamente qui per incontrarvi.
Sono qui per dirvi che vi sono vicino, e dirlo col cuore. Sono qui per vedere i
vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che
hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime. Il Patriarca
Ecumenico e caro Fratello Bartolomeo, cinque anni fa su quest’isola, disse una
cosa che mi colpì: «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha
paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli.
Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica
che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa
settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo» (Discorso,
16 aprile 2016).
Sì, è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti. La
pandemia ci ha colpiti globalmente, ci ha fatti sentire tutti sulla stessa barca, ci
ha fatto provare che cosa significa avere le stesse paure. Abbiamo capito che le
grandi questioni vanno affrontate insieme, perché al mondo d’oggi le soluzioni
frammentate sono inadeguate. Ma mentre si stanno faticosamente portando
avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa, pur tra molti ritardi e
incertezze, sembra muoversi nella lotta ai cambiamenti climatici, tutto sembra
latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni. Eppure ci sono in gioco
persone, vite umane! C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà
integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché
quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi –
la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose. Infatti, come ha
ricordato il Concilio Vaticano II, «la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e
gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono
assolutamente necessarie per la costruzione della pace» (Gaudium et spes, 78).
È un’illusione pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più
deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni
con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di
ampio respiro. La storia, ripeto, lo insegna, ma non lo abbiamo ancora imparato.
Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità,
non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno
importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!
Sorelle, fratelli, i vostri volti, i vostri occhi ci chiedono di non girarci dall’altra
parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le vostre storie
e di non dimenticare i vostri drammi. Ha scritto Elie Wiesel, testimone della più
grande tragedia del secolo passato: «È perché ricordo la nostra comune origine
che mi avvicino agli uomini miei fratelli. È perché mi rifiuto di dimenticare che il
loro futuro è importante quanto il mio» (From the Kingdom of Memory,
Reminiscences, New York, 1990, 10). In questa domenica, prego Dio di ridestarci
dalla dimenticanza per chi soffre, di scuoterci dall’individualismo che esclude, di
svegliare i cuori sordi ai bisogni del prossimo. E prego anche l’uomo, ogni uomo:
superiamo la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse
che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini! Contrastiamo alla
radice il pensiero dominante, quello che ruota attorno al proprio io, ai propri
egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa.
Cinque anni sono passati dalla visita compiuta qui con i cari Fratelli Bartolomeo e
Ieronymos. Dopo tutto questo tempo constatiamo che sulla questione migratoria
poco è cambiato. Certo, molti si sono impegnati nell’accoglienza e
nell’integrazione, e vorrei ringraziare i tanti volontari e quanti a ogni livello –
istituzionale, sociale, caritativo, politico – si sono sobbarcati grandi fatiche,
prendendosi cura delle persone e della questione migratoria. Riconosco
l’impegno nel finanziare e costruire degne strutture di accoglienza e ringrazio di
cuore la popolazione locale per il tanto bene fatto e i molti sacrifici provati. E
vorrei ringraziare anche le autorità locali, che sono impegnate nel ricevere, nel
custodire e portare avanti questa gente che viene da noi. Grazie! Grazie di quello
che fate! Ma dobbiamo amaramente ammettere che questo Paese, come altri, è
ancora alle strette e che in Europa c’è chi persiste nel trattare il problema come
un affare che non lo riguarda. Questo è tragico. Ricordo le Sue [rivolto alla
Presidente] ultime parole: “Che l’Europa faccia lo stesso”. E quante condizioni
indegne dell’uomo! Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni
che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte! Eppure il rispetto
delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di
promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di
ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto! È triste sentir proporre, come
soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati.
Siamo nell’epoca dei muri e dei fili spinati. Certo, si comprendono timori e
insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite
dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i
problemi e si migliora la convivenza. È invece unendo le forze per prendersi cura
degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità,
sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo,
di ogni donna, di ogni persona. Disse ancora Elie Wiesel: «Quando le vite umane
sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali
diventano irrilevanti» (Discorso di accettazione del Premio Nobel per la pace, 10
dicembre 1986).
In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e
solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. Piuttosto che parteggiare
sulle idee, può essere d’aiuto partire dalla realtà: fermarsi, dilatare lo sguardo,
immergerlo nei problemi della maggioranza dell’umanità, di tante popolazioni
vittime di emergenze umanitarie che non hanno creato ma soltanto subito,
spesso dopo lunghe storie di sfruttamento ancora in corso. È facile trascinare
l’opinione pubblica istillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso
piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e
spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della
gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio?
Perché non si parla di questo? Vanno affrontate le cause remote, non le povere
persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda
politica! Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le
emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti
epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi
complessi; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro, per
superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione, per
accogliere in modo fraterno e responsabile le culture e le tradizioni altrui.
Soprattutto, se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il
coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro.
Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: “Quale mondo volete darci?” Non
scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi
inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e
terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande
bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non
lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che
questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo
“mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Fratelli e sorelle, vi
prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!
Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo. La sua Parola è echeggiata,
portando l’annuncio di Dio, che è «Padre e guida di tutti gli uomini» (S. Gregorio
di Nazianzo, Discorso 7 per il fratello Cesario, 24). Egli ci ama come figli e ci
vuole fratelli. E invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua
immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza,
talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani. La fede chiede
invece compassione e misericordia – non dimentichiamo che questo è lo stile di
Dio: vicinanza, compassione e tenerezza –. La fede esorta all’ospitalità, a quella
filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria
manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano (cfr
Lc 10,29-37) e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo (cfr vv. 31-46).
Non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete. Gesù afferma
solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato.
E il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù. Sì, perché il programma
cristiano, ha scritto Papa Benedetto, «è un cuore che vede» (Lett. enc. Deus
caritas est, 31). E non vorrei finire questo messaggio senza ringraziare il popolo
greco per l’accoglienza. Tante volte questa accoglienza diventa un problema,
perché non si trovano vie di uscita per la gente, per andare altrove. Grazie,
fratelli e sorelle greci, per questa generosità.
Ora preghiamo la Madonna, perché ci apra gli occhi alle sofferenze dei fratelli.
Ella si mise in fretta in viaggio verso la cugina Elisabetta che era incinta. Quante
madri incinte hanno trovato in fretta e in viaggio la morte mentre portavano in
grembo la vita! La Madre di Dio ci aiuti ad avere uno sguardo materno, che vede
negli uomini dei figli di Dio, delle sorelle e dei fratelli da accogliere, proteggere,
promuovere e integrare. E amare teneramente. La Tuttasanta ci insegni a
mettere la realtà dell’uomo prima delle idee e delle ideologie, e a muovere passi
svelti incontro a chi soffre.
Adesso preghiamo la Madonna tutti insieme.

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO A CIPRO E IN GRECIA (2-6 dicembre 2021) INCONTRO CON LE AUTORITÀ, LA SOCIETÀ CIVILE E IL CORPO DIPLOMATICO DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signora Presidente della Repubblica,
Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità religiose e civili,
insigni Rappresentanti della società e del mondo della cultura,
Signore e Signori!
Vi saluto cordialmente e ringrazio la Signora Presidente per le parole di
benvenuto che mi ha rivolto a nome vostro e di tutti i cittadini greci. È un onore
essere in questa gloriosa città. Faccio mie le parole di San Gregorio di Nazianzo:
«Atene aurea e dispensatrice di bene… mentre cercavo l’eloquenza, trovai la
felicità» (Orazione 43,14). Vengo pellegrino in questi luoghi che sovrabbondano
di spiritualità, cultura e civiltà per attingere alla medesima felicità che
entusiasmò il grande Padre della Chiesa. Era la gioia di coltivare la sapienza e di
condividerne la bellezza. Una felicità, dunque, non individuale e isolata, ma che,
nascendo dallo stupore, tende all’infinito e si apre alla comunità; una felicità
sapiente, che da questi luoghi si è diffusa ovunque: senza Atene e senza la
Grecia l’Europa e il mondo non sarebbero quello che sono. Sarebbero meno
sapienti e meno felici.
Da qui gli orizzonti dell’umanità si sono dilatati. Anch’io mi sento invitato ad
alzare lo sguardo e a posarlo sulla parte più alta della città, l’Acropoli. Visibile da
lontano ai viaggiatori che lungo i millenni vi sono approdati, offriva un
riferimento imprescindibile alla divinità. È il richiamo ad allargare gli orizzonti
verso l’Alto: dal Monte Olimpo all’Acropoli al Monte Athos, la Grecia invita l’uomo
di ogni tempo a orientare il viaggio della vita verso l’Alto. Verso Dio, perché
abbiamo bisogno della trascendenza per essere veramente umani. E mentre
oggi, nell’Occidente da qui sorto, si tende a offuscare il bisogno del Cielo,
intrappolati dalla frenesia di mille corse terrene e dall’avidità insaziabile di un
consumismo spersonalizzante, questi luoghi ci invitano a lasciarci stupire
dall’infinito, dalla bellezza dell’essere, dalla gioia della fede. Da qui sono passate
le vie del Vangelo, che hanno unito Oriente e Occidente, Luoghi Santi ed Europa,
Gerusalemme e Roma; quei Vangeli che per portare al mondo la buona notizia di
Dio amante dell’uomo sono stati scritti in greco, lingua immortale usata dalla
Parola – dal Logos – per esprimersi, linguaggio della sapienza umana divenuto
voce della Sapienza divina.
Ma in questa città lo sguardo, oltre che verso l’Alto, viene sospinto anche verso
l’altro. Ce lo ricorda il mare, su cui Atene si affaccia e che orienta la vocazione di
questa terra, posta nel cuore del Mediterraneo per essere ponte tra le genti. Qui
grandi storici si sono appassionati nel raccontare le storie dei popoli vicini e
lontani. Qui, secondo la nota affermazione di Socrate, si è iniziato a sentirsi
cittadini non solo della propria patria, ma del mondo intero. Cittadini: qui l’uomo
ha preso coscienza di essere “un animale politico” (cfr Aristotele, Politica, I, 2) e,
in quanto parte di una comunità, ha visto negli altri non dei sudditi, ma dei
cittadini, con i quali organizzare insieme la polis. Qui è nata la democrazia. La
culla, millenni dopo, è diventata una casa, una grande casa di popoli
democratici: mi riferisco all’Unione Europea e al sogno di pace e fraternità che
rappresenta per tanti popoli.
Non si può, tuttavia, che constatare con preoccupazione come oggi, non solo nel
Continente europeo, si registri un arretramento della democrazia. Essa richiede
la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e
pazienza. È complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili
rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti. In diverse società,
preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, stanchezza e
malcontento portano a una sorta di “scetticismo democratico”. Ma la
partecipazione di tutti è un’esigenza fondamentale; non solo per raggiungere
obiettivi comuni, ma perché risponde a quello che siamo: esseri sociali,
irripetibili e al tempo stesso interdipendenti.
Ma c’è pure uno scetticismo nei confronti della democrazia provocato dalla
distanza delle istituzioni, dal timore della perdita di identità, dalla burocrazia. Il
rimedio a ciò non sta nella ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità,
nella proclamazione di promesse impossibili o nell’adesione ad astratte
colonizzazioni ideologiche, ma sta nella buona politica. Perché la politica è cosa
buona e tale deve essere nella pratica, in quanto responsabilità somma del
cittadino, in quanto arte del bene comune. Affinché il bene sia davvero
partecipato, un’attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più
deboli. Questa è la direzione da seguire, che un padre fondatore dell’Europa
indicò come antidoto alle polarizzazioni che animano la democrazia ma rischiano
di esasperarla: «Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è
andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale» (A. De
Gasperi, Discorso tenuto a Milano, 23 aprile 1949). Un cambio di passo in tal
senso è necessario, mentre, amplificate dalla comunicazione virtuale, si
diffondono ogni giorno paure e si elaborano teorie per contrapporsi agli altri.
Aiutiamoci invece a passare dal parteggiare al partecipare; dall’impegnarsi solo a
sostenere la propria parte al coinvolgersi attivamente per la promozione di tutti.
Dal parteggiare al partecipare. È la motivazione che ci deve sospingere su vari
fronti: penso al clima, alla pandemia, al mercato comune e soprattutto alle
povertà diffuse. Sono sfide che chiedono di collaborare concretamente e
attivamente. Ne ha bisogno la comunità internazionale, per aprire vie di pace
attraverso un multilateralismo che non venga soffocato da eccessive pretese
nazionaliste. Ne ha bisogno la politica, per porre le esigenze comuni davanti agli
interessi privati. Può sembrare un’utopia, un viaggio senza speranza in un mare
turbolento, un’odissea lunga e irrealizzabile. Eppure il viaggio in un mare agitato,
come insegna il grande racconto omerico, è spesso l’unica via. E raggiunge la
meta se è animato dal desiderio di casa, dalla ricerca di andare avanti insieme,
dal nóstos álgos, dalla nostalgia. Vorrei rinnovare a tale proposito il mio
apprezzamento per il non facile percorso che ha portato all’“Accordo di Prespa”,
firmato tra questa Repubblica e quella della Macedonia del Nord.
Guardando ancora al Mediterraneo, mare che ci apre all’altro, penso alle sue rive
fertili e all’albero che potrebbe assurgerne a simbolo: l’ulivo, di cui si sono
appena raccolti i frutti e che accomuna terre diverse che si affacciano sull’unico
mare. È triste vedere come negli ultimi anni molti ulivi secolari siano bruciati,
consumati da incendi spesso causati da condizioni metereologiche avverse, a
loro volta provocate dai cambiamenti climatici. Di fronte al paesaggio ferito di
questo meraviglioso Paese, l’albero di ulivo può simboleggiare la volontà di
contrastare la crisi climatica e le sue devastazioni. Dopo il cataclisma primordiale
narrato dalla Bibbia, il diluvio, una colomba tornò infatti da Noè portando «nel
becco una tenera foglia di ulivo» (Gen 8,11). Era il simbolo della ripartenza, della
forza di ricominciare cambiando stile di vita, rinnovando le proprie relazioni con il
Creatore, le creature e il creato. Auspico in tal senso che gli impegni assunti
nella lotta contro i cambiamenti climatici siano sempre più condivisi e non siano
di facciata, ma vengano seriamente attuati. Alle parole seguano i fatti, perché i
figli non paghino l’ennesima ipocrisia dei padri. Risuonano in questo senso le
parole che Omero pone sulle labbra di Achille: «Odioso m’è colui, come le porte
dell’Ade, ch’altro nasconde in cuore ed altro parla» (Iliade, IX,312-313).
L’ulivo, nella Scrittura, rappresenta anche un invito a essere solidali, in
particolare nei riguardi di quanti non appartengono al proprio popolo. «Quando
bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il forestiero», dice
la Bibbia (Dt 24,20). Questo Paese, improntato all’accoglienza, ha visto in alcune
sue isole approdare un numero di fratelli e sorelle migranti superiore agli abitanti
stessi, accrescendo così i disagi, che ancora risentono delle fatiche della crisi
economica. Ma anche il temporeggiare europeo perdura: la Comunità europea,
lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune
volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici
impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la
questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord. Vorrei esortare
nuovamente a una visione d’insieme, comunitaria, di fronte alla questione
migratoria, e incoraggiare a rivolgere attenzione ai più bisognosi perché,
secondo le possibilità di ciascun Paese, siano accolti, protetti, promossi e
integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità. Più che un
ostacolo per il presente, ciò rappresenta una garanzia per il futuro, perché sia
nel segno di una convivenza pacifica con quanti sempre di più sono costretti a
fuggire in cerca di casa e di speranza. Loro sono i protagonisti di una terribile
moderna odissea. Mi piace ricordare che quando Ulisse approdò a Itaca non fu
riconosciuto dai signori del luogo, che gli avevano usurpato casa e beni, ma da
chi si era preso cura di lui. La sua nutrice capì che era lui vedendo le sue
cicatrici. Le sofferenze ci accomunano e riconoscere l’appartenenza alla stessa
fragile umanità sarà di aiuto per costruire un futuro più integrato e pacifico.
Trasformiamo in audace opportunità ciò che sembra solo una malcapitata
avversità!
La pandemia è invece la grande avversità. Ci ha fatti riscoprire fragili, bisognosi
degli altri. Anche in questo Paese è una sfida che comporta opportuni interventi
da parte delle Autorità – penso alla necessità della campagna vaccinale – e non
pochi sacrifici per i cittadini. In mezzo a tanta fatica si è però fatto strada un
notevole senso di solidarietà, al quale la Chiesa cattolica locale è lieta di poter
continuare a contribuire, nella convinzione che ciò costituisca l’eredità da non
perdere con il lento placarsi della tempesta. Sembrano scritte per oggi alcune
parole del giuramento di Ippocrate, come l’impegno a “regolare il tenore di vita
per il bene dei malati”, ad “astenersi dal recare danno e offesa” agli altri, a
salvaguardare la vita in ogni momento, in particolare nel grembo materno (cfr
Giuramento di Ippocrate, testo antico). Va sempre privilegiato il diritto alla cura
e alle cure per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani, non siano mai
scartati: che gli anziani non siano le persone privilegiate per la cultura dello
scarto. Gli anziani sono il segno della saggezza di un popolo. La vita è infatti un
diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata.
Cari amici, alcuni esemplari di ulivo mediterraneo testimoniano una vita così
lunga da precedere la comparsa di Cristo. Secolari e duraturi, sono resistiti al
tempo e ci richiamano all’importanza di custodire radici forti, innervate di
memoria. Questo Paese può essere definito la memoria d’Europa – voi siete la
memoria d’Europa – e sono lieto di visitarlo dopo vent’anni dalla storica visita di
Papa Giovanni Paolo II e nel bicentenario della sua indipendenza. È nota, al
riguardo, la frase del generale Colocotronis: “Dio ha messo la sua firma sulla
libertà della Grecia”. Dio mette volentieri la firma sulla libertà umana, sempre e
ovunque. È il suo dono più grande, quello che a sua volta più apprezza da noi.
Egli, infatti, ci ha creati liberi e la cosa che più gradisce è che liberamente
amiamo Lui e il prossimo. A consentirlo contribuiscono le leggi, ma anche
l’educazione alla responsabilità e la crescita di una cultura del rispetto. A questo
proposito, desidero rinnovare la gratitudine per il riconoscimento pubblico della
comunità cattolica e assicuro la sua volontà di promuovere il bene comune della
società greca, orientando in tal senso l’universalità che la caratterizza,
nell’auspicio che all’atto pratico le siano sempre garantite quelle condizioni
necessarie per ben adempiere il suo servizio.
Duecento anni fa, il Governo provvisorio del Paese si rivolse ai cattolici con
parole toccanti: “Cristo ha comandato l’amore per il prossimo. Ma chi a noi è più
prossimo di voi, nostri concittadini, benché ci siano alcune differenze nei riti? Noi
abbiamo l’unica patria, siamo di un unico popolo; noi cristiani siamo fratelli –
fratelli nelle radici, nella crescita e nei frutti – per la Santa Croce”. Essere fratelli
nel segno della Croce, in questo Paese benedetto dalla fede e dalle sue tradizioni
cristiane, esorta tutti i credenti in Cristo a coltivare la comunione a ogni livello,
nel nome di quel Dio che tutti abbraccia con la sua misericordia. In questo
senso, cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per l’impegno e vi esorto a far progredire
questo Paese nell’apertura, nell’inclusione e nella giustizia. Da questa città, da
questa culla di civiltà si è levato e sempre si levi un messaggio che orienti verso
l’Alto e verso l’altro; che alle seduzioni dell’autoritarismo risponda con la
democrazia; che all’indifferenza individualista opponga la cura dell’altro, del
povero e del creato, cardini essenziali per un umanesimo rinnovato, di cui hanno
bisogno i nostri tempi e la nostra Europa. O Theós na evloghí tin Elládha! [Dio
benedica la Grecia!]

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO A CIPRO E IN GRECIA (2-6 dicembre 2021) INCONTRO DI SUA BEATITUDINE IERONYMOS II E SUA SANTITÀ FRANCESCO CON I RISPETTIVI SEGUITI DISCORSO DEL SANTO PADRE

Beatitudine,
«grazia e pace da Dio» (Rm 1,7). La saluto con queste parole del grande
Apostolo Paolo, le stesse con le quali, mentre si trovava in terra greca, si rivolse
ai fedeli di Roma. Oggi il nostro incontro rinnova quella grazia e quella pace.
Pregando davanti ai trofei della Chiesa di Roma, che sono le tombe degli Apostoli
e dei martiri, mi sono sentito sospinto a venire qua pellegrino, con grande
rispetto e umiltà, per rinnovare quella comunione apostolica e alimentare la
carità fraterna. In questo senso desidero ringraziarLa, Beatitudine, per le parole
che mi ha rivolto e che ricambio con affetto, salutando, attraverso di Lei, il clero,
le comunità monastiche e tutti i fedeli ortodossi di Grecia.
Ci siamo incontrati cinque anni fa a Lesvos, nell’emergenza di uno dei più grandi
drammi del nostro tempo, quello di tanti fratelli e sorelle migranti, che non
possono essere lasciati nell’indifferenza e visti solo come un peso da gestire o,
peggio ancora, da delegare a qualcun altro. Ora ci ritroviamo per condividere la
gioia della fraternità e guardare al Mediterraneo che ci circonda non solo come
luogo che preoccupa e divide, ma anche come mare che unisce. Poco fa ho
rievocato gli ulivi secolari, che ne apparentano le terre. Ripensando a questi
alberi che ci accomunano, penso alle radici che condividiamo. Sono sotterranee,
nascoste, spesso trascurate, ma ci sono e sostengono tutto. Quali sono le nostre
radici comuni che hanno attraversato i secoli? Sono quelle apostoliche. San Paolo
le metteva in luce ricordando l’importanza di essere «edificati sopra il
fondamento degli apostoli» (Ef 2,20). Queste radici, cresciute dal seme del
Vangelo, proprio nella cultura ellenica hanno cominciato a portare grande frutto:
penso a tanti Padri antichi e ai primi grandi Concili ecumenici. […]

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO A CIPRO E IN GRECIA (2-6 DICEMBRE 2021) SANTA MESSA OMELIA DEL SANTO PADRE

Saluto finale al termine della Messa
Cari fratelli e sorelle,
sono io che desidero ringraziare tutti voi! Domani mattina avrò modo di salutare
il Signor Presidente della Repubblica, qui presente: lo saluterò al momento di
congedarmi da questo Paese, ma fin da ora desidero di cuore esprimere a tutti la
mia gratitudine per l’accoglienza e l’affetto che mi sono stati riservati. Grazie!
Qui a Cipro sto respirando un po’ di quell’atmosfera tipica della Terra Santa, dove
l’antichità e la varietà delle tradizioni cristiane arricchiscono il pellegrino. Questo
mi fa bene, e fa bene incontrare comunità di credenti che vivono il presente con
speranza, aperti al futuro, e condividono questo orizzonte con i più bisognosi.
Penso, in particolare, ai migranti in cerca di una vita migliore, con i quali
trascorrerò il mio ultimo incontro su quest’isola, insieme ai fratelli e alle sorelle
di varie confessioni cristiane.
Grazie a tutti coloro che hanno collaborato per questa visita! Pregate per me. Il
Signore vi benedica e la Madonna vi protegga. Efcharistó! [Grazie!]

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO A CIPRO E IN GRECIA (2-6 DICEMBRE 2021) PREGHIERA ECUMENICA CON I MIGRANTI

Cari fratelli e sorelle!
È una grande gioia trovarmi qui con voi e concludere la mia visita a Cipro con
questo incontro di preghiera. Ringrazio i Patriarchi Pizzaballa e Béchara Raï,
come pure la Signora Elisabeth della Caritas. Saluto con affetto e riconoscenza i
Rappresentanti delle diverse confessioni cristiane presenti a Cipro.
Un grande “grazie” dal cuore desidero dire a voi, giovani migranti, che avete
dato le vostre testimonianze. Le avevo ricevute in anticipo circa un mese fa e mi
avevano colpito tanto, e anche oggi mi hanno commosso, un’altra volta, a
sentirle. Ma non è solo emozione, è molto di più: è la commozione che viene
dalla bellezza della verità. Come quella di Gesù quando esclamò: «Ti rendo lode,
Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai
sapienti, ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Anch’io rendo lode al
Padre celeste perché questo accade oggi, qui – come pure in tutto il mondo –: ai
piccoli Dio rivela il suo Regno, Regno di amore, di giustizia e di pace.
Dopo aver ascoltato voi, comprendiamo meglio tutta la forza profetica della
Parola di Dio che, attraverso l’apostolo Paolo, dice: «Voi non siete più stranieri né
ospiti, ma siete concittadini dei santi, familiari di Dio» (Ef 2,19). Parole scritte ai
cristiani di Efeso – non lontano da qui! –; molto distanti nel tempo, ma parole
vicinissime, più attuali che mai, come scritte oggi per noi: “Voi non siete
stranieri, ma concittadini”. Questa è la profezia della Chiesa: una comunità che –
con tutti i limiti umani – incarna il sogno di Dio. Perché anche Dio sogna, come
te, Mariamie, che vieni dalla Repubblica Democratica del Congo e ti sei definita
“piena di sogni”. Come te Dio sogna un mondo di pace, in cui i suoi figli vivono
come fratelli e sorelle. Dio vuole questo, Dio sogna questo. Siamo noi a non
volerlo.
La vostra presenza, fratelli e sorelle migranti, è molto significativa per questa
celebrazione. Le vostre testimonianze sono come uno “specchio” per noi,
comunità cristiane. Quando tu, Thamara, che vieni dallo Sri Lanka, dici: “Spesso
mi viene chiesto chi sono”: la brutalità della migrazione mette in gioco la propria
identità. “Ma io sono questo? Non lo so… Dove sono le mie radici? Chi sono?”. E
quando dici questo, ci ricordi che anche a noi a volte viene posta questa
domanda: “Chi sei tu?”. E purtroppo spesso si intende dire: “Da che parte stai? A
quale gruppo appartieni?”. Ma come ci hai detto tu, non siamo numeri, non
siamo individui da catalogare; siamo “fratelli”, “amici”, “credenti”, “prossimi” gli
uni degli altri. Ma quando gli interessi di gruppo o gli interessi politici, anche
delle Nazioni, spingono, tanti di noi si trovano messi da parte, senza volerlo,
schiavi. Perché l’interesse sempre schiavizza, sempre crea schiavi. L’amore, che
è largo, che è contrario all’odio, l’amore ci fa liberi.
Quando tu, Maccolins, che vieni dal Camerun, dici che nel corso della tua vita sei
stato “ferito dall’odio”, tu stai parlando di questo, di queste ferite degli interessi;
e ci ricordi che l’odio ha inquinato anche le nostre relazioni tra cristiani. E
questo, come hai detto tu, lascia il segno, un segno profondo, che dura a lungo.
È un veleno. Sì, l’hai fatto sentire tu, con la tua passione: l’odio è un veleno da
cui è difficile disintossicarsi. E l’odio è una mentalità distorta, che invece di farci
riconoscere fratelli, ci fa vedere come avversari, come rivali, quando non come
oggetti da vendere o da sfruttare.
Quando tu, Rozh, che vieni dall’Iraq, dici che sei “una persona in viaggio”, ci
ricordi che anche noi siamo comunità in viaggio, siamo in cammino dal conflitto
alla comunione. Su questa strada, che è lunga ed è fatta di salite e discese, non
devono farci paura le differenze tra noi, ma piuttosto sì, devono farci paura le
nostre chiusure, i nostri pregiudizi, che ci impediscono di incontrarci veramente e
di camminare insieme. Le chiusure e i pregiudizi ricostruiscono tra noi quel muro
di separazione che Cristo ha abbattuto, cioè l’inimicizia (cfr Ef 2,14). E allora il
nostro viaggio verso la piena unità può fare dei passi avanti nella misura in cui,
tutti insieme, teniamo lo sguardo fisso su Gesù, su di Lui, che è «la nostra pace»
(ibid.), che è la «pietra d’angolo» (v. 20). E Lui, il Signore Gesù, ci viene
incontro con il volto del fratello emarginato e scartato. Con il volto del migrante
disprezzato, respinto, ingabbiato, sfruttato… Ma anche – come hai detto tu – del
migrante che è in viaggio verso qualcosa, verso una speranza, verso una
convivenza più umana.
E così Dio ci parla attraverso i vostri sogni. Il pericolo è che tante volte non
lasciamo entrare i sogni, in noi, e preferiamo dormire e non sognare. È tanto
facile guardare da un’altra parte. E in questo mondo ci siamo abituati a quella
cultura dell’indifferenza, a quella cultura del guardare da un’altra parte, e
addormentarci così, tranquilli. Ma per questa strada mai si può sognare. È duro.
Dio parla attraverso i vostri sogni. Dio non parla attraverso le persone che non
possono sognare niente, perché hanno tutto o perché il loro cuore si è indurito.
Dio chiama anche noi a non rassegnarci a un mondo diviso, a non rassegnarci a
comunità cristiane divise, ma a camminare nella storia attratti dal sogno di Dio,
cioè un’umanità senza muri di separazione, liberata dall’inimicizia, senza più
stranieri ma solo concittadini, come ci diceva Paolo nel brano che ho citato.
Diversi, certo, e fieri delle nostre peculiarità; fieri di essere diversi, di queste
peculiarità che sono dono di Dio. Diversi, fieri di esserlo, ma sempre riconciliati,
sempre fratelli.
Possa quest’isola, segnata da una dolorosa divisione – sto guardando il muro, lì
[attraverso il portale aperto della chiesa] – possa diventare con la grazia di Dio
laboratorio di fraternità. Io ringrazio tutti coloro che lavorano per questo.
Pensare che quest’Isola è generosa, ma non può fare tutto, perché il numero di
gente che arriva è superiore alle sue possibilità di inserire, di integrare, di
accompagnare, di promuovere. La sua vicinanza geografica facilita…, ma non è
facile. Dobbiamo capire i limiti a cui i governanti di quest’Isola sono legati. Ma
sempre c’è in questa Isola, e l’ho visto nei responsabili che ho visitato,
[l’impegno] di diventare, con la grazia di Dio, laboratorio di fraternità. E lo potrà
essere a due condizioni. La prima è l’effettivo riconoscimento della dignità di ogni
persona umana (cfr Enc. Fratelli tutti, 8). La nostra dignità non si vende, non si
affitta, non va perduta. La fronte alta: io sono degno figlio di Dio. L’effettivo
riconoscimento della dignità di ogni persona umana: questo è il fondamento
etico, un fondamento universale che è anche al centro della dottrina sociale
cristiana. La seconda condizione è l’apertura fiduciosa a Dio Padre di tutti; e
questo è il “lievito” che siamo chiamati a portare come credenti (cfr ibid., 272).
A queste condizioni è possibile che il sogno si traduca in un viaggio quotidiano,
fatto di passi concreti dal conflitto alla comunione, dall’odio all’amore, dalla fuga
all’incontro. Un cammino paziente che, giorno dopo giorno, ci fa entrare nella
terra che Dio ha preparato per noi, la terra dove, se ti domandano: “Chi sei?”,
puoi rispondere a viso aperto: “Guarda, sono tuo fratello: non mi conosci?”. E
andare così, lentamente.
Ascoltando voi, guardandovi in faccia, la memoria va oltre, va alle sofferenze. Voi
siete arrivati qui: ma quanti dei vostri fratelli e delle vostre sorelle sono rimasti
per strada? Quanti disperati iniziano il cammino in condizioni molto difficili,
anche precarie, e non sono potuti arrivare? Possiamo parlare di questo mare che
è diventato un grande cimitero. Guardando voi, guardo le sofferenze del
cammino, tanti che sono stati rapiti, venduti, sfruttati…, ancora sono in
cammino, non sappiamo dove. È la storia di una schiavitù, una schiavitù
universale. Noi guardiamo cosa succede, e il peggio è che ci stiamo abituando a
questo. “Ah, sì, oggi è affondato un barcone, lì… tanti dispersi…”. Ma guarda che
questo abituarsi è una malattia grave, è una malattia molto grave e non c’è
antibiotico per questa malattia! Dobbiamo andare contro questo vizio
dell’abituarsi a leggere queste tragedie nei giornali o sentirli in altri media.
Guardando voi, penso a tanti che sono dovuti tornare indietro perché li hanno
respinti e sono finiti nei lager, veri lager, dove le donne sono vendute, gli uomini
torturati, schiavizzati… Noi ci lamentiamo quando leggiamo le storie dei lager del
secolo scorso, quelli dei nazisti, quelli di Stalin, ci lamentiamo quando vediamo
questo e diciamo: “ma come mai è successo questo?”. Fratelli e sorelle: sta
succedendo oggi, nelle coste vicine! Posti di schiavitù. Ho guardato alcune
testimonianze filmate di questo: posti di tortura, di vendita di gente. Questo lo
dico perché è responsabilità mia aiutare ad aprire gli occhi. La migrazione forzata
non è un’abitudine quasi turistica: per favore! E il peccato che abbiamo dentro ci
spinge a pensarla così: “Mah, povera gente, povera gente!”. E con quel “povera
gente” cancelliamo tutto. È la guerra di questo momento, è la sofferenza di
fratelli e sorelle che noi non possiamo tacere. Coloro che hanno dato tutto quello
che avevano per salire su un barcone, di notte, e poi… senza sapere se
arriveranno… E poi, tanti respinti per finire nei lager, veri posti di confinamento e
di tortura e di schiavitù.
Questa è la storia di questa civiltà sviluppata, che noi chiamiamo Occidente. E
poi – scusatemi, ma vorrei dire quello che ho nel cuore, almeno per pregare
l’uno per l’altro e fare qualcosa – poi, i fili spinati. Uno lo vedo qui: questa è una
guerra di odio che divide un Paese. Ma i fili spinati, in altre parti dove ci sono, si
mettono per non lasciare entrare il rifugiato, quello che viene a chiedere libertà,
pane, aiuto, fratellanza, gioia, che sta fuggendo dall’odio e si trova davanti a un
odio che si chiama filo spinato. Che il Signore risvegli la coscienza di tutti noi
davanti a queste cose.
E scusatemi se ho detto le cose come sono, ma non possiamo tacere e guardare
dall’altra parte, in questa cultura dell’indifferenza.
Che il Signore benedica tutti voi! Grazie.

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO A CIPRO E IN GRECIA (2-6 DICEMBRE 2021) INCONTRO CON LE AUTORITÀ, LA SOCIETÀ CIVILE E IL CORPO DIPLOMATICO DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] Una perla, infatti, diventa quello che è perché si forma nel tempo: richiede
anni perché le varie stratificazioni la rendano compatta e lucente. Così la
bellezza di questa terra deriva dalle culture che nei secoli si sono incontrate e
mescolate. Anche oggi la luce di Cipro ha molte sfaccettature: tanti sono i popoli
e le genti che, con diverse tinte, compongono la gamma cromatica di questa
popolazione. Penso pure alla presenza di molti immigrati, percentualmente la più
rilevante tra i Paesi dell’Unione Europea. Custodire la bellezza multicolore e
poliedrica dell’insieme non è facile. Richiede, come nella formazione della perla,
tempo e pazienza, domanda uno sguardo ampio che abbracci la varietà delle
culture e si protenda al futuro con lungimiranza. È importante, in questo senso,
tutelare e promuovere ogni componente della società, in modo speciale quelle
statisticamente minoritarie. Penso anche a vari enti cattolici che beneficerebbero
di un opportuno riconoscimento istituzionale, perché il contributo che recano alla
società attraverso le loro attività, in particolare educative e caritative, sia ben
definito dal punto di vista legale.
Una perla porta alla luce la sua bellezza in circostanze difficili. Nasce
nell’oscurità, quando l’ostrica “soffre” dopo aver subito una visita inattesa che ne
mina l’incolumità, come ad esempio un granello di sabbia che la irrita. Per
proteggersi reagisce assimilando quanto l’ha ferita: avvolge ciò che per lei è
pericoloso ed estraneo e lo trasforma in bellezza, in una perla. La perla di Cipro è
stata oscurata dalla pandemia, che ha impedito a tanti visitatori di accedervi e di
vederne la bellezza, aggravando, come in altri luoghi, le conseguenze della crisi
economico-finanziaria. In questo periodo di ripresa non sarà tuttavia la foga di
recuperare quanto perduto a garantire uno sviluppo solido e duraturo, ma
l’impegno a promuovere il risanamento della società, in particolare attraverso
una decisa lotta alla corruzione e alle piaghe che ledono la dignità della persona;
penso ad esempio al traffico di esseri umani. […]

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO A CIPRO E IN GRECIA (2-6 DICEMBRE 2021) INCONTRO CON I SACERDOTI, RELIGIOSI E RELIGIOSE, DIACONI, CATECHISTI, ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI ECCLESIALI DI CIPRO DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] Saluto anche la Chiesa latina, qui presente da millenni, che nel tempo ha
visto crescere, insieme ai suoi figli, l’entusiasmo della fede e che oggi, grazie alla
presenza di tanti fratelli e sorelle migranti, si presenta come un popolo
“multicolore”, un vero e proprio luogo di incontro tra etnie e culture diverse.
Questo volto di Chiesa rispecchia il ruolo di Cipro nel continente europeo: una
terra dai campi dorati, un’isola accarezzata dalle onde del mare, ma soprattutto
una storia che è intreccio di popoli e mosaico di incontri. Così è anche la Chiesa:
cattolica, cioè universale, spazio aperto in cui tutti sono accolti e raggiunti dalla
misericordia di Dio e dall’invito ad amare. Non ci sono e non ci siano muri nella
Chiesa cattolica. E questo, non dimentichiamolo! Nessuno di noi è stato chiamato
qui per proselitismo di predicatore, mai. Il proselitismo è sterile, non dà vita.
Tutti noi siamo stati chiamati dalla misericordia di Dio, che non si stanca di
chiamare, non si stanca di essere vicino, non si stanca di perdonare. Dove sono
le radici della nostra vocazione cristiana? Nella misericordia di Dio. Non bisogna
dimenticarlo mai. Il Signore non delude; la sua misericordia non delude. Sempre
ci aspetta. Non ci sono e non ci siano muri nella Chiesa cattolica, per favore! È
una casa comune, è il luogo delle relazioni, è la convivenza delle diversità: quel
rito, quell’altro rito…; uno la pensa in quel modo, quella suora l’ha vista in quel
modo, quell’altra l’ha vista in quell’altro… La diversità di tutti e, in quella
diversità, la ricchezza dell’unità. E chi fa l’unità? Lo Spirito Santo. E chi fa la
diversità? Lo Spirito Santo. Chi può capire capisca. Lui è l’autore della diversità
ed è l’autore dell’armonia. San Basilio lo diceva: “Ipse harmonia est”. Lui è Colui
che fa la diversità dei doni e l’unità armonica della Chiesa. […]

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PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE

APPELLO
[…] Domani mi recherò a Cipro e poi in Grecia per compiere una visita alle care
popolazioni di quei Paesi ricchi di storia, di spiritualità e di civiltà. Sarà un
viaggio alle sorgenti della fede apostolica e della fraternità tra cristiani di varie
confessioni. Avrò anche l’opportunità di avvicinare un’umanità ferita nella carne
di tanti migranti in cerca di speranza: mi recherò a Lesvos. Vi chiedo, per favore,
di accompagnarmi con la preghiera. Grazie! […]

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PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
Ieri ho incontrato i membri di associazioni e gruppi di migranti e di persone che,
in spirito di fraternità, ne condividono il cammino. Sono qui in Piazza, con quella
bandiera così grossa! Benvenuti! Ma quanti migranti – pensiamo questo – quanti
migranti sono esposti, anche in questi giorni, a pericoli gravissimi, e quanti
perdono la vita alle nostre frontiere! Sento dolore per le notizie sulla situazione
in cui si trovano tanti di loro: di quelli che sono morti nel Canale della Manica; di
quelli ai confini della Bielorussia, molti dei quali sono bambini; di quelli che
annegano nel Mediterraneo. Tanto dolore pensando a loro. Di quelli che sono
rimpatriati, a Nord dell’Africa, sono catturati dai trafficanti, che li trasformano in
schiavi: vendono le donne, torturano gli uomini… Di quelli che, anche in questa
settimana, hanno tentato di attraversare il Mediterraneo cercando una terra di
benessere e trovandovi, invece, una tomba; e tanti altri. Ai migranti che si
trovano in queste situazioni di crisi assicuro la mia preghiera, e anche il mio
cuore: sappiate che vi sono sempre vicino. Pregare e fare. Ringrazio tutte le
istituzioni sia della Chiesa Cattolica sia di altrove, specialmente le Caritas
nazionali e tutti coloro che sono impegnati ad alleviare le loro sofferenze.
Rinnovo l’appello accorato a coloro che possono contribuire alla risoluzione di
questi problemi, in particolare alle Autorità civili e militari, affinché la
comprensione e il dialogo prevalgano finalmente su ogni tipo di
strumentalizzazione e orientino le volontà e gli sforzi verso soluzioni che
rispettino l’umanità di queste persone. Pensiamo ai migranti, alle loro sofferenze,
e preghiamo in silenzio… [momento di silenzio] […]

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AGLI ORGANIZZATORI DEL FESTIVAL INTERCULTURALE DI GIÀVERA DEL MONTELLO

[…] Questo modo di vedere la realtà delle migrazioni non vuol dire nascondere o
ignorare le difficoltà e i problemi. Chi meglio di voi li conosce e può testimoniarli?
E dunque è importante che le vostre esperienze siano anche messe a
disposizione della buona politica, per aiutare chi ha responsabilità di governo a
livello locale, nazionale e internazionale a fare scelte che sappiano sempre unire
il sano realismo con il rispetto della dignità delle persone. Ho visto uno dei
quadri che avete portato, sulle torture che subiscono i migranti quando quei
trafficanti li prendono. E questo succede oggi. Non possiamo chiudere gli occhi!
La dignità delle persone. Per questo il vostro Festival, come altre iniziative
analoghe in Italia e in diversi Paesi, non va ridotto a manifestazione folcloristica
o a un raduno di idealisti. No, lo dico anche come spunto di riflessione e di
verifica per voi stessi. Possiamo chiederci, dopo trent’anni: la nostra esperienza
è riuscita, e in quale misura, a incidere sul piano delle scelte politiche,
dialogando con le istituzioni e con la società civile? Mi sembra importante porsi
questa domanda.
Cari amici, soprattutto ringrazio con voi il Signore per il cammino che vi ha
donato di compiere in questi anni attraverso l’esperienza del Festival. Vi auguro
di andare avanti con spirito sempre rinnovato. Vi propongo di prendere come
modello Abramo, che Dio chiamò a partire e che rimase sempre migrante in tutta
la sua vita. Abramo è un “padre” che come cristiani condividiamo con gli ebrei e i
musulmani, ma è una figura in cui possono riconoscersi tutti gli uomini e le
donne che concepiscono la vita come viaggio alla ricerca della terra promessa,
terra di libertà e di pace, dove vivere insieme come fratelli. […]