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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE

[…] Cari Ambasciatori,
lo scorso anno, anche grazie all’allentamento delle restrizioni disposte nel 2020, ho
avuto l’occasione di ricevere molti Capi di Stato e di Governo, nonché diverse
autorità civili e religiose.
Tra i molteplici incontri, vorrei qui menzionare la giornata del 1° luglio scorso,
dedicata alla riflessione e alla preghiera per il Libano. Al caro popolo libanese,
stretto dalla morsa di una crisi economica e politica che fatica a trovare soluzione,
desidero oggi rinnovare la mia vicinanza e la mia preghiera, mentre auspico che le
riforme necessarie e il sostegno della comunità internazionale aiutino il Paese a
rimanere saldo nella propria identità di modello di coesistenza pacifica e di
fratellanza tra le varie religioni presenti.
Nel corso del 2021, ho potuto riprendere anche i viaggi apostolici. Nel mese di
marzo ho avuto la gioia di recarmi in Iraq. La Provvidenza ha voluto che ciò
accadesse, come segno di speranza dopo anni di guerra e terrorismo. Il popolo
iracheno ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene e di vivere in pace. Le
sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà; è da
lì che Dio ha chiamato Abramo per iniziare la storia della salvezza.
In settembre poi mi sono recato a Budapest per la conclusione del Congresso
Eucaristico Internazionale; e quindi in Slovacchia. È stata un’opportunità di incontro
con i fedeli cattolici e di altre confessioni cristiane, come pure di dialogo con gli
ebrei. Parimenti, il viaggio a Cipro e in Grecia, di cui è vivo in me il ricordo, mi ha
consentito di approfondire i legami con i fratelli ortodossi e di sperimentare la
fraternità tra le varie confessioni cristiane.
Una parte toccante di questo viaggio ha avuto luogo nell’isola di Lesbo, dove ho
potuto constatare la generosità di quanti prestano la propria opera per fornire
accoglienza e aiuto ai migranti, ma soprattutto ho visto i volti dei tanti bambini e
adulti ospiti dei centri di accoglienza. Nei loro occhi c’è la fatica del viaggio, la paura
di un futuro incerto, il dolore per i propri cari rimasti indietro e la nostalgia della
patria che sono stati costretti ad abbandonare. Davanti a questi volti non possiamo
rimanere indifferenti e non ci si può trincerare dietro muri e fili spinati con il
pretesto di difendere la sicurezza o uno stile di vita. Questo non si può.
Ringrazio perciò quanti, individui e governi, si adoperano per garantire accoglienza
e protezione ai migranti, facendosi carico anche della loro promozione umana e
della loro integrazione nei Paesi che li hanno accolti. Sono consapevole delle
difficoltà che alcuni Stati incontrano di fronte a flussi ingenti di persone. A nessuno
può essere chiesto quanto è impossibilitato a fare, ma vi è una netta differenza fra
accogliere, seppure limitatamente, e respingere totalmente.
Occorre vincere l’indifferenza e rigettare il pensiero che i migranti siano un
problema di altri. L’esito di tale approccio lo si vede nella disumanizzazione stessa
dei migranti concentrati in hotspot, dove finiscono per essere facile preda della
criminalità e dei trafficanti di esseri umani, o per tentare disperati tentativi di fuga
che a volte si concludono con la morte. Purtroppo, occorre anche rilevare che i
migranti stessi sono spesso trasformati in arma di ricatto politico, in una sorta di
“merce di contrattazione” che priva le persone della dignità.
In questa sede, desidero rinnovare la mia gratitudine alle Autorità italiane, grazie
alle quali alcune persone sono potute venire con me a Roma da Cipro e dalla
Grecia. Si è trattato di un gesto semplice ma significativo. Al popolo italiano, che ha
sofferto molto all’inizio della pandemia, ma che ha anche mostrato segni
incoraggianti di ripresa, rivolgo il mio augurio, perché mantenga sempre quello
spirito di apertura generosa e solidale che lo contraddistingue.
In pari tempo, reputo di fondamentale importanza che l’Unione Europea trovi la sua
coesione interna nella gestione delle migrazioni, come l’ha saputa trovare per far
fronte alle conseguenze della pandemia. Occorre, infatti, dare vita a un sistema
coerente e comprensivo di gestione delle politiche migratorie e di asilo, in modo che
siano condivise le responsabilità nel ricevere i migranti, rivedere le domande di
asilo, ridistribuire e integrare quanti possono essere accolti. La capacità di
negoziare e trovare soluzione condivise è uno dei punti di forza dell’Unione Europea
e costituisce un valido modello per affrontare in prospettiva le sfide globali che ci
attendono.
Tuttavia, le migrazioni non riguardano solo l’Europa, anche se essa è
particolarmente interessata da flussi provenienti sia dall’Africa sia dall’Asia. In
questi anni abbiamo assistito, tra l’altro, all’esodo dei profughi siriani, a cui si sono
aggiunti nei mesi scorsi quanti sono fuggiti dall’Afghanistan. Non dobbiamo neppure
dimenticare gli esodi massicci che interessano il continente americano e che
premono sul confine fra Messico e Stati Uniti d’America. Molti di quei migranti sono
haitiani in fuga dalle tragedie che hanno colpito il loro Paese in questi anni.
La questione migratoria, come anche la pandemia e il cambiamento climatico,
mostrano chiaramente che nessuno si può salvare da sé, ossia che le grandi sfide
del nostro tempo sono tutte globali. Desta perciò preoccupazione constatare che di
fronte a una maggiore interconnessione dei problemi, vada crescendo una più
ampia frammentazione delle soluzioni. Non di rado si riscontra una mancanza di
volontà nel voler aprire finestre di dialogo e spiragli di fraternità, e questo finisce
per alimentare ulteriori tensioni e divisioni, nonché un generale senso di incertezza
e instabilità. Occorre, invece, recuperare il senso della nostra comune identità di
unica famiglia umana. L’alternativa è solo un crescente isolamento, segnato da
preclusioni e chiusure reciproche che di fatto mettono ulteriormente in pericolo il
multilateralismo, ovvero quello stile diplomatico che ha caratterizzato i rapporti
internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale.
La diplomazia multilaterale attraversa da tempo una crisi di fiducia, dovuta a una
ridotta credibilità dei sistemi sociali, governativi e intergovernativi. Importanti
risoluzioni, dichiarazioni e decisioni sono spesso prese senza un vero negoziato nel
quale tutti i Paesi abbiano voce in capitolo. Tale squilibrio, divenuto oggi
drammaticamente evidente, genera disaffezione verso gli organismi internazionali
da parte di molti Stati e indebolisce nel suo complesso il sistema multilaterale,
rendendolo sempre meno efficace nell’affrontare le sfide globali.
Il deficit di efficacia di molte organizzazioni internazionali è anche dovuto alla
diversa visione, tra i vari membri, degli scopi che esse si dovrebbero prefiggere.
Non di rado il baricentro d’interesse si è spostato su tematiche per loro natura
divisive e non strettamente attinenti allo scopo dell’organizzazione, con l’esito di
agende sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali
dell’umanità e le radici culturali che costituiscono l’identità di molti popoli. Come ho
avuto modo di affermare in altre occasioni, ritengo che si tratti di una forma di
colonizzazione ideologica, che non lascia spazio alla libertà di espressione e che
oggi assume sempre più la forma di quella cancel culture, che invade tanti ambiti e
istituzioni pubbliche. In nome della protezione delle diversità, si finisce per
cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che
difendono un’idea rispettosa ed equilibrata delle varie sensibilità. Si va elaborando
un pensiero unico – pericoloso – costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a
riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va
interpretata secondo l’ermeneutica dell’epoca, non l’ermeneutica di oggi.
La diplomazia multilaterale è chiamata perciò ad essere veramente inclusiva, non
cancellando ma valorizzando le diversità e le sensibilità storiche che
contraddistinguono i vari popoli. In tal modo essa riacquisterà credibilità ed efficacia
per affrontare le prossime sfide, che richiedono all’umanità di ritrovarsi insieme
come una grande famiglia, la quale, pur partendo da punti di vista differenti,
dev’essere in grado di trovare soluzioni comuni per il bene di tutti. Ciò esige fiducia
reciproca e disponibilità a dialogare, ovvero ad «ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi
e camminare insieme» (Messaggio per la LV Giornata Mondiale della Pace, 8
dicembre 2021). Peraltro, «il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere
ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso
occasionale» (Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, 211). Non bisogna mai dimenticare che
«ci sono alcuni valori permanenti» (Ibid). Non sempre è facile riconoscerli, ma
accettarli «conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo
riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base
vanno al di là di ogni consenso» (Ibid). Desidero richiamare specialmente il diritto
alla vita, dal concepimento sino alla fine naturale, e il diritto alla libertà religiosa.
In questa prospettiva, negli ultimi anni è cresciuta sempre più la consapevolezza
collettiva in merito all’urgenza di affrontare la cura della nostra casa comune, che
sta soffrendo a causa di un continuo e indiscriminato sfruttamento delle risorse. Al
riguardo, penso specialmente alle Filippine, colpite nelle scorse settimane da un
devastante tifone, come pure ad altre nazioni del Pacifico, vulnerabili dagli effetti
negativi del cambiamento climatico, che mettono a rischio la vita degli abitanti, la
maggior parte dei quali dipende da agricoltura, pesca e risorse naturali.
Proprio tale constatazione deve spingere la comunità internazionale nella sua
globalità a trovare soluzioni comuni e a metterle in pratica. Nessuno può esimersi
da tale sforzo, poiché siamo tutti interessati e coinvolti in egual misura. Nella
recente COP26 a Glasgow sono stati compiuti alcuni passi che vanno nella giusta
direzione, anche se piuttosto deboli rispetto alla consistenza del problema da
affrontare. La strada per il conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi è
complessa e sembra essere ancora lunga, mentre il tempo a disposizione è sempre
meno. Vi è ancora molto da fare e dunque il 2022 sarà un altro anno fondamentale
per verificare quanto e come ciò che si è deciso a Glasgow possa e debba essere
ulteriormente rafforzato, in vista della COP27, prevista in Egitto nel novembre
prossimo.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2022

Cari fratelli e sorelle!
Queste parole appartengono all’ultimo colloquio di Gesù Risorto con i suoi discepoli,
prima di ascendere al Cielo, come descritto negli Atti degli Apostoli: «Riceverete la
forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a
Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (1,8). E
questo è anche il tema della Giornata Missionaria Mondiale 2022, che come sempre
ci aiuta a vivere il fatto che la Chiesa è per sua natura missionaria. Quest’anno essa
ci offre l’occasione di commemorare alcune ricorrenze rilevanti per la vita e
missione della Chiesa: la fondazione, 400 anni fa, della Congregazione de
Propaganda Fide – oggi per l’Evangelizzazione dei Popoli – e, 200 anni fa, dell’Opera
della Propagazione della Fede, che, insieme all’Opera della Santa Infanzia e
all’Opera di San Pietro Apostolo, 100 anni fa hanno ottenuto il riconoscimento di
“Pontificie”.
Fermiamoci su queste tre espressioni-chiave che riassumono i tre fondamenti della
vita e della missione dei discepoli: «Mi sarete testimoni», «fino ai confini della
terra» e «riceverete la forza dallo Spirito Santo».
1. «Di me sarete testimoni» – La chiamata di tutti i cristiani a testimoniare Cristo
È il punto centrale, il cuore dell’insegnamento di Gesù ai discepoli in vista della loro
missione nel mondo. Tutti i discepoli saranno testimoni di Gesù grazie allo Spirito
Santo che riceveranno: saranno costituiti tali per grazia. Ovunque vadano,
dovunque siano. Come Cristo è il primo inviato, cioè missionario del Padre (cfr Gv
20,21) e, in quanto tale, è il suo “testimone fedele” (cfr Ap 1,5), così ogni cristiano
è chiamato a essere missionario e testimone di Cristo. E la Chiesa, comunità dei
discepoli di Cristo, non ha altra missione se non quella di evangelizzare il mondo,
rendendo testimonianza a Cristo. L’identità della Chiesa è evangelizzare.
Una rilettura d’insieme più approfondita ci chiarisce alcuni aspetti sempre attuali per
la missione affidata da Cristo ai discepoli: «Di me sarete testimoni». La forma
plurale sottolinea il carattere comunitario-ecclesiale della chiamata missionaria dei
discepoli. Ogni battezzato è chiamato alla missione nella Chiesa e su mandato della
Chiesa: la missione perciò si fa insieme, non individualmente, in comunione con la
comunità ecclesiale e non per propria iniziativa. E se anche c’è qualcuno che in
qualche situazione molto particolare porta avanti la missione evangelizzatrice da
solo, egli la compie e dovrà compierla sempre in comunione con la Chiesa che lo ha
mandato. Come insegnava San Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi, documento a me molto caro: «Evangelizzare non è mai per nessuno un
atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale. Allorché il più sconosciuto
predicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna
la sua piccola comunità o amministra un Sacramento, anche se si trova solo compie
un atto di Chiesa, e il suo gesto è certamente collegato mediante rapporti
istituzionali, ma anche mediante vincoli invisibili e radici profonde dell’ordine della
grazia, all’attività evangelizzatrice di tutta la Chiesa» (n. 60). Infatti, non a caso il
Signore Gesù ha mandato i suoi discepoli in missione a due a due; la testimonianza
dei cristiani a Cristo ha un carattere soprattutto comunitario. Da qui l’importanza
essenziale della presenza di una comunità, anche piccola, nel portare avanti la
missione.
In secondo luogo, ai discepoli è chiesto di vivere la loro vita personale in chiave di
missione: sono inviati da Gesù al mondo non solo per fare la missione, ma anche e
soprattutto per vivere la missione a loro affidata; non solo per dare testimonianza,
ma anche e soprattutto per essere testimoni di Cristo. Come dice l’apostolo Paolo
con parole davvero commoventi: «Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la
morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Cor
4,10). L’essenza della missione è il testimoniare Cristo, vale a dire la sua vita,
passione, morte, e risurrezione per amore del Padre e dell’umanità. Non è un caso
che gli Apostoli abbiano cercato il sostituto di Giuda tra coloro che, come loro, erano
stati testimoni della sua resurrezione (cfr At 1,22). È Cristo, e Cristo risorto, Colui
che dobbiamo testimoniare e la cui vita dobbiamo condividere. I missionari di Cristo
non sono inviati a comunicare sé stessi, a mostrare le loro qualità e capacità
persuasive o le loro doti manageriali. Hanno, invece l’altissimo onore di offrire
Cristo, in parole e azioni, annunciando a tutti la Buona Notizia della sua salvezza
con gioia e franchezza, come i primi apostoli.
Perciò, in ultima analisi, il vero testimone è il “martire”, colui che dà la vita per
Cristo, ricambiando il dono che Lui ci ha fatto di Sé stesso. «La prima motivazione
per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere
salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più» (Evangelii gaudium, 264).
Infine, a proposito della testimonianza cristiana, rimane sempre valida
l’osservazione di San Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i
testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni»
(Evangelii nuntiandi, 41). Perciò è fondamentale, per la trasmissione della fede, la
testimonianza di vita evangelica dei cristiani. D’altra parte, resta altrettanto
necessario il compito di annunciare la sua persona e il suo messaggio. Infatti, lo
stesso Paolo VI così prosegue: «Sì, è sempre indispensabile la predicazione, questa
proclamazione verbale di un messaggio. […] La parola resta sempre attuale,
soprattutto quando è portatrice della potenza di Dio. Per questo resta ancora
attuale l’assioma di S. Paolo: “La fede dipende dalla predicazione” (Rm 10,17): è
appunto la Parola ascoltata che porta a credere» (ibid., 42).
Nell’evangelizzazione, perciò, l’esempio di vita cristiana e l’annuncio di Cristo vanno
insieme. L’uno serve all’altro. Sono i due polmoni con cui deve respirare ogni
comunità per essere missionaria. Questa testimonianza completa, coerente e
gioiosa di Cristo sarà sicuramente la forza di attrazione per la crescita della Chiesa
anche nel terzo millennio. Esorto pertanto tutti a riprendere il coraggio, la
franchezza, quella parresia dei primi cristiani, per testimoniare Cristo con parole e
opere, in ogni ambiente di vita.
2. «Fino ai confini della terra» – L’attualità perenne di una missione di
evangelizzazione universale
Esortando i discepoli a essere i suoi testimoni, il Signore risorto annuncia dove essi
sono inviati: «A Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della
terra» (At 1,8). Emerge ben chiaro qui il carattere universale della missione dei
discepoli. Si mette in risalto il movimento geografico “centrifugo”, quasi a cerchi
concentrici, da Gerusalemme, considerata dalla tradizione giudaica come centro del
mondo, alla Giudea e alla Samaria, e fino “all’estremità della terra”. Non sono
mandati a fare proselitismo, ma ad annunciare; il cristiano non fa proselitismo. Gli
Atti degli Apostoli ci raccontano questo movimento missionario: esso ci dà una
bellissima immagine della Chiesa “in uscita” per compiere la sua vocazione di
testimoniare Cristo Signore, orientata dalla Provvidenza divina mediante le concrete
circostanze della vita. I primi cristiani, in effetti, furono perseguitati a Gerusalemme
e perciò si dispersero in Giudea e Samaria e testimoniarono Cristo dappertutto (cfr
At 8,1.4).
Qualcosa di simile ancora accade nel nostro tempo. A causa di persecuzioni religiose
e situazioni di guerra e violenza, molti cristiani sono costretti a fuggire dalla loro
terra verso altri Paesi. Siamo grati a questi fratelli e sorelle che non si chiudono
nella sofferenza ma testimoniano Cristo e l’amore di Dio nei Paesi che li accolgono.
A questo li esortava San Paolo VI considerando la «responsabilità che spetta agli
emigranti nei Paesi che li ricevono» (Evangelii nuntiandi, 21). In effetti, sempre più
sperimentiamo come la presenza dei fedeli di varie nazionalità arricchisce il volto
delle parrocchie e le rende più universali, più cattoliche. Di conseguenza, la cura
pastorale dei migranti è un’attività missionaria da non trascurare, che potrà aiutare
anche i fedeli locali a riscoprire la gioia della fede cristiana che hanno ricevuto.
L’indicazione “fino ai confini della terra” dovrà interrogare i discepoli di Gesù di ogni
tempo e li dovrà spingere sempre ad andare oltre i luoghi consueti per portare la
testimonianza di Lui. Malgrado tutte le agevolazioni dovute ai progressi della
modernità, esistono ancora oggi zone geografiche in cui non sono ancora arrivati i
missionari testimoni di Cristo con la Buona Notizia del suo amore. D’altra parte, non
ci sarà nessuna realtà umana estranea all’attenzione dei discepoli di Cristo nella
loro missione. La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi
orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di
confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le
donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. In questo senso, la missione sarà
sempre anche missio ad gentes, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, perché
la Chiesa dovrà sempre spingersi oltre, oltre i propri confini, per testimoniare a tutti
l’amore di Cristo. Vorrei in proposito ricordare e ringraziare i tanti missionari che
hanno speso la vita per andare “oltre”, incarnando la carità di Cristo verso i tanti
fratelli e sorelle che hanno incontrato.
3. «Riceverete la forza dallo Spirito Santo» – Lasciarsi sempre fortificare e guidare
dallo Spirito
Annunciando ai discepoli la loro missione di essere suoi testimoni, Cristo risorto ha
promesso anche la grazia per una così grande responsabilità: «Riceverete la forza
dello Spirito Santo e di me sarete testimoni» (At 1,8). Effettivamente, secondo il
racconto degli Atti, proprio in seguito alla discesa dello Spirito Santo sui discepoli di
Gesù è avvenuta la prima azione di testimoniare Cristo, morto e risorto, con un
annuncio kerigmatico, il cosiddetto discorso missionario di San Pietro agli abitanti di
Gerusalemme. Così comincia l’era dell’evangelizzazione del mondo da parte dei
discepoli di Gesù, che erano prima deboli, paurosi, chiusi. Lo Spirito Santo li ha
fortificati, ha dato loro coraggio e sapienza per testimoniare Cristo davanti a tutti.
Come «nessuno può dire: “Gesù è Signore”, se non sotto l’azione dello Spirito
Santo» (1 Cor 12,3), così nessun cristiano potrà dare testimonianza piena e
genuina di Cristo Signore senza l’ispirazione e l’aiuto dello Spirito. Perciò ogni
discepolo missionario di Cristo è chiamato a riconoscere l’importanza fondamentale
dell’agire dello Spirito, a vivere con Lui nel quotidiano e a ricevere costantemente
forza e ispirazione da Lui. Anzi, proprio quando ci sentiamo stanchi, demotivati,
smarriti, ricordiamoci di ricorrere allo Spirito Santo nella preghiera, la quale – voglio
sottolineare ancora – ha un ruolo fondamentale nella vita missionaria, per lasciarci
ristorare e fortificare da Lui, sorgente divina inesauribile di nuove energie e della
gioia di condividere con gli altri la vita di Cristo. «Ricevere la gioia dello Spirito è
una grazia. Ed è l’unica forza che possiamo avere per predicare il Vangelo, per
confessare la fede nel Signore» (Messaggio alle Pontificie Opere Missionarie, 21
maggio 2020). Così è lo Spirito il vero protagonista della missione: è Lui a donare la
parola giusta al momento giusto nel modo giusto.
È alla luce dell’azione dello Spirito Santo che vogliamo leggere anche gli anniversari
missionari di questo 2022. L’istituzione della Sacra Congregazione de propaganda
fide, nel 1622, fu motivata dal desiderio di promuovere il mandato missionario in
nuovi territori. Un’intuizione provvidenziale! La Congregazione si è rivelata cruciale
per rendere la missione evangelizzatrice della Chiesa veramente tale, indipendente
cioè dalle ingerenze dei poteri mondani, al fine di costituire quelle Chiese locali che
oggi mostrano tanto vigore. Ci auguriamo che, come nei quattro secoli passati, la
Congregazione, con la luce e la forza dello Spirito, continui e intensifichi il suo
lavoro nel coordinare, organizzare, animare le attività missionarie della Chiesa.
Lo stesso Spirito, che guida la Chiesa universale, ispira anche uomini e donne
semplici per missioni straordinarie. Ed è stato così che una ragazza francese,
Pauline Jaricot, ha fondato esattamente 200 anni fa l’Associazione della
Propagazione della Fede; la sua beatificazione si celebra in quest’anno giubilare. Pur
in condizioni precarie, lei accolse l’ispirazione di Dio per mettere in moto una rete di
preghiera e colletta per i missionari, in modo che i fedeli potessero partecipare
attivamente alla missione “fino ai confini della terra”. Da questa idea geniale nacque
la Giornata Missionaria Mondiale che celebriamo ogni anno, e la cui colletta in tutte
le comunità è destinata al fondo universale con il quale il Papa sostiene l’attività
missionaria.
In questo contesto ricordo anche il Vescovo francese Charles de Forbin-Janson, che
iniziò l’Opera della Santa Infanzia per promuovere la missione tra i bambini con il
motto “I bambini evangelizzano i bambini, i bambini pregano per i bambini, i
bambini aiutano i bambini di tutto il mondo”; come pure la signora Jeanne Bigard,
che diede vita all’Opera di San Pietro Apostolo per il sostegno dei seminaristi e dei
sacerdoti in terra di missione. Queste tre Opere missionarie sono state riconosciute
come “pontificie” proprio cent’anni fa. Ed è stato pure sotto l’ispirazione e la guida
dello Spirito Santo che il Beato Paolo Manna, nato 150 anni or sono, fondò l’attuale
Pontificia Unione Missionaria per sensibilizzare e animare alla missione i sacerdoti, i
religiosi e le religiose e tutto il popolo di Dio. Di quest’ultima Opera fece parte lo
stesso Paolo VI, che le confermò il riconoscimento pontificio. Menziono queste
quattro Pontificie Opere Missionarie per i loro grandi meriti storici e anche per
invitarvi a gioire con esse in questo anno speciale per le attività svolte a sostegno
della missione evangelizzatrice nella Chiesa universale e in quelle locali. Auspico che
le Chiese locali possano trovare in queste Opere un solido strumento per alimentare
lo spirito missionario nel Popolo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, continuo a sognare la Chiesa tutta missionaria e una nuova
stagione dell’azione missionaria delle comunità cristiane. E ripeto l’auspicio di Mosè
per il popolo di Dio in cammino: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!» (Nm
11,29). Sì, fossimo tutti noi nella Chiesa ciò che già siamo in virtù del battesimo:
profeti, testimoni, missionari del Signore! Con la forza dello Spirito Santo e fino agli
estremi confini della terra. Maria, Regina delle missioni, prega per noi!

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SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
[…] Andiamo a casa pensando: pace, pace, pace! Ci vuole pace. Stavo guardando
le immagini nel programma televisivo “A sua immagine”, oggi, sulla guerra, sugli
sfollati, sulle miserie… Ma questo succede oggi nel mondo. Vogliamo pace! […]

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PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE

Catechesi su San Giuseppe: 5. San Giuseppe, migrante perseguitato e
coraggioso
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei presentarvi San Giuseppe come migrante perseguitato e coraggioso.
Così lo descrive l’Evangelista Matteo. Questa particolare vicenda della vita di
Gesù, che vede come protagonisti anche Giuseppe e Maria, è conosciuta
tradizionalmente come “la fuga in Egitto” (cfr Mt 2,13-23). La famiglia di Nazaret
ha subito tale umiliazione e sperimentato in prima persona la precarietà, la
paura, il dolore di dover lasciare la propria terra. Ancora oggi tanti nostri fratelli
e tante nostre sorelle sono costretti a vivere la medesima ingiustizia e
sofferenza. La causa è quasi sempre la prepotenza e la violenza dei potenti.
Anche per Gesù è accaduto così.
Il re Erode viene a sapere dai Magi della nascita del “re dei Giudei”, e la notizia lo
sconvolge. Si sente insicuro, si sente minacciato nel suo potere. Così riunisce
tutte le autorità di Gerusalemme per informarsi sul luogo della nascita, e prega i
Magi di farglielo sapere con precisione, affinché – dice falsamente – anche lui
possa andare ad adorarlo. Accorgendosi però che i Magi erano ripartiti per
un’altra strada, concepì un proposito scellerato: uccidere tutti i bambini di
Betlemme dai due anni in giù in quanto, secondo il calcolo dei Magi, quello era il
tempo in cui Gesù era nato.
Nel frattempo, un angelo ordina a Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino e
sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò. Erode, infatti, vuole
cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). Pensiamo oggi a tanta gente che
sente questa ispirazione dentro: “Fuggiamo, fuggiamo, perché qui c’è pericolo”.
Il piano di Erode richiama quello del Faraone di gettare nel Nilo tutti i figli maschi
del popolo d’Israele (cfr Es 1,22). E la fuga in Egitto evoca tutta la storia
d’Israele a partire da Abramo, che pure vi soggiornò (cfr Gen 12,10), fino a
Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto dai fratelli (cfr Gen 37,36) e poi divenuto
“capo del paese” (cfr Gen 41,37-57); e a Mosè, che liberò il suo popolo dalla
schiavitù degli egiziani (cfr Es 1; 18).
La fuga della Santa Famiglia in Egitto salva Gesù, ma purtroppo non impedisce a
Erode di compiere la sua strage. Ci troviamo così di fronte a due personalità
opposte: da una parte Erode con la sua ferocia e dall’altra parte Giuseppe con la
sua premura e il suo coraggio. Erode vuole difendere il proprio potere, la propria
“pelle”, con una spietata crudeltà, come attestano anche le esecuzioni di una
delle sue mogli, di alcuni dei suoi figli e di centinaia di oppositori. Era un uomo
crudele: per risolvere dei problemi, aveva una sola ricetta: “fare fuori”. Egli è il
simbolo di tanti tiranni di ieri e di oggi. E per loro, per questi tiranni, la gente
non conta: conta il potere, e se hanno bisogno di spazio di potere, fanno fuori la
gente. E questo succede anche oggi: non dobbiamo andare alla storia antica,
succede oggi. E’ l’uomo che diventa “lupo” per gli altri uomini. La storia è piena
di personalità che, vivendo in balìa delle loro paure, cercano di vincerle
esercitando in maniera dispotica il potere e mettendo in atto disumani propositi
di violenza. Ma non dobbiamo pensare che si vive nella prospettiva di Erode solo
se si diventa tiranni, no! In realtà è un atteggiamento in cui possiamo cadere
tutti noi, ogni volta che cerchiamo di scacciare le nostre paure con la
prepotenza, anche se solo verbale o fatta di piccoli soprusi messi in atto per
mortificare chi ci è accanto. Anche noi abbiamo nel cuore la possibilità di essere
dei piccoli Erode.
Giuseppe è l’opposto di Erode: prima di tutto è «un uomo giusto» (Mt 1,19),
mentre Erode è un dittatore; inoltre si dimostra coraggioso nell’eseguire l’ordine
dell’Angelo. Si possono immaginare le peripezie che dovette affrontare durante il
lungo e pericoloso viaggio e le difficoltà che comportò la permanenza in un paese
straniero, con un’altra lingua: tante difficoltà. Il suo coraggio emerge anche al
momento del ritorno, quando, rassicurato dall’Angelo, supera i comprensibili
timori e con Maria e Gesù si stabilisce a Nazaret (cfr Mt 2,19-23). Erode e
Giuseppe sono due personaggi opposti, che rispecchiano le due facce
dell’umanità di sempre. È un luogo comune sbagliato considerare il coraggio
come virtù esclusiva dell’eroe. In realtà, il vivere quotidiano di ogni persona – il
tuo, il mio, di tutti noi – richiede coraggio: non si può vivere senza coraggio! Il
coraggio per affrontare le difficoltà di ogni giorno. In tutti i tempi e in tutte le
culture troviamo uomini e donne coraggiosi, che per essere coerenti con il
proprio credo hanno superato ogni genere di difficoltà, sopportando ingiustizie,
condanne e persino la morte. Il coraggio è sinonimo di fortezza, che insieme alla
giustizia, alla prudenza e alla temperanza fa parte del gruppo delle virtù umane,
dette “cardinali”.
La lezione che ci lascia oggi Giuseppe è questa: la vita ci riserva sempre delle
avversità, questo è vero, e davanti ad esse possiamo anche sentirci minacciati,
impauriti, ma non è tirando fuori il peggio di noi, come fa Erode, che possiamo
superare certi momenti, bensì comportandoci come Giuseppe che reagisce alla
paura con il coraggio di affidarsi alla Provvidenza di Dio. Oggi credo ci voglia una
preghiera per tutti i migranti, tutti i perseguitati e tutti coloro che sono vittime di
circostanze avverse: che siano circostanze politiche, storiche o personali. Ma,
pensiamo a tanta gente vittima delle guerre che vuole fuggire dalla sua patria e
non può; pensiamo ai migranti che incominciano quella strada per essere liberi e
tanti finiscono sulla strada o nel mare; pensiamo a Gesù nelle braccia di
Giuseppe e Maria, fuggendo, e vediamo in Lui ognuno dei migranti di oggi. E’
una realtà, questa della migrazione di oggi, davanti alla quale non possiamo
chiudere gli occhi. E’ uno scandalo sociale dell’umanità.
San Giuseppe,
tu che hai sperimentato la sofferenza di chi deve fuggire
tu che sei stato costretto a fuggire
per salvare la vita alle persone più care,
proteggi tutti coloro che fuggono a causa della guerra,
dell’odio, della fame.
Sostienili nelle loro difficoltà,
rafforzali nella speranza e fa’ che incontrino accoglienza e solidarietà.
Guida i loro passi e apri i cuori di coloro che possono aiutarli. Amen.

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PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE

APPELLO
Durante il mio viaggio a Cipro e in Grecia ho potuto toccare con mano, ancora
una volta, l’umanità ferita dei profughi e dei migranti. Ho anche constatato come
solo alcuni Paesi europei stiano sopportando la maggior parte delle conseguenze
del fenomeno migratorio nell’area mediterranea, mentre in realtà esso richiede
una responsabilità condivisa da tutti, dalla quale nessun Paese può esimersi,
perché è un problema di umanità.
In particolare, grazie alla generosa apertura delle autorità italiane, ho potuto
portare a Roma un gruppo di persone, che ho conosciuto durante il mio viaggio:
oggi sono qui in mezzo a noi alcuni di loro. Benvenuti! Ce ne faremo carico,
come Chiesa, nei prossimi mesi. È un piccolo segno, che spero serva da stimolo
per gli altri Paesi europei, affinché permettano alle realtà ecclesiali locali di farsi
carico di altri fratelli e sorelle che vanno urgentemente ricollocati, accompagnati,
promossi e integrati.
Sono tante, infatti, le Chiese locali, le congregazioni religiose e le organizzazioni
cattoliche che sono pronte ad accoglierli e accompagnarli verso una feconda
integrazione. Serve solo aprire una porta, la porta del cuore! Non manchiamo di
farlo in questo Natale!

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VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER L’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, A MILANO, NEL CENTENARIO DELLA FONDAZIONE

[…] In questa prospettiva ho promosso un Patto educativo globale, per
sensibilizzare tutti all’ascolto delle grandi domande di senso del nostro tempo, a
partire da quelle delle nuove generazioni di fronte alle ingiustizie sociali, alle
violazioni dei diritti, alle migrazioni forzate. L’università non può rimanere sorda
davanti a queste denunce. Sono contento che abbiate raccolto questo invito a
una rinnovata stagione di impegno educativo. I vostri progetti di cooperazione
internazionale, rivolti a diverse popolazioni del pianeta, i tanti aiuti economici
che ogni anno erogate agli studenti bisognosi, la vostra attenzione verso gli
ultimi e verso i malati sono testimonianza di un impegno concreto. Vi incoraggio
ad andare avanti su questa strada! […]

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PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI DEGLI AMBASCIATORI DI: MOLDOVA, KYRGYZSTAN, NAMIBIA, LESOTHO, LUSSEMBURGO, CIAD, GUINEA-BISSAU DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

[…] La realtà della pandemia in corso ci ricorda ancora una volta che siamo
«una comunità globale dove i problemi di una persona sono i problemi di tutti»
(Lett. enc. Fratelli tutti, 32). Nonostante i progressi medici e tecnologici nel corso
degli anni, qualcosa di microscopico – un oggetto apparentemente insignificante
– ha cambiato per sempre il nostro mondo, che ce ne rendiamo conto o no.
Come ho avuto modo di osservare all’inizio della pandemia, è urgente imparare
da questa esperienza e aprire gli occhi per vedere ciò che è più importante: gli
uni con gli altri (cfr Momento straordinario di preghiera, 27 marzo 2020). In
particolare, è mia sincera speranza che attraverso questa esperienza la comunità
internazionale arrivi a una maggiore consapevolezza del fatto che siamo una sola
famiglia umana; ognuno di noi è responsabile dei propri fratelli e sorelle,
nessuno escluso. Questa è una verità che dovrebbe spingerci ad affrontare non
solo l’attuale crisi sanitaria, ma tutti i problemi che affliggono l’umanità e la
nostra casa comune – povertà, emigrazione, terrorismo, cambiamento climatico,
per citarne alcuni – in maniera solidale e non isolata. […]

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PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle!
[…] Rivolgo anche i miei auguri a Caritas Internationalis, che compie 70 anni. È
ragazzina! Deve crescere e fortificarsi di più! Caritas è in tutto il mondo la mano
amorevole della Chiesa per i poveri e i più vulnerabili, nei quali è presente Cristo.
Vi invito a portare avanti il vostro servizio con umiltà e con creatività, per
raggiungere i più emarginati e favorire lo sviluppo integrale come antidoto alla
cultura dello scarto e dell’indifferenza. In particolare, incoraggio la vostra
campagna globale Insieme Noi (Together We), fondata sulla forza delle comunità
nel promuovere la cura del creato e dei poveri. Le ferite inferte alla nostra casa
comune hanno effetti drammatici sugli ultimi, ma le comunità possono
contribuire alla necessaria conversione ecologica. Per questo invito ad aderire
alla campagna di Caritas Internationalis! E voi, cari amici di Caritas
Internationalis, continuate il vostro lavoro di snellire l’organizzazione, perché i
soldi non vadano all’organizzazione ma ai poveri. Snellite bene questa
organizzazione. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MEMBRI DELL’UNIONE GIURISTI CATTOLICI ITALIANI

[…] Mai come in questi giorni, in questi tempi, i giuristi cattolici sono chiamati
ad affermare e tutelare i diritti dei più deboli, all’interno di un sistema economico
e sociale che finge di includere le diversità ma che di fatto esclude
sistematicamente chi non ha voce. I diritti dei lavoratori, dei migranti, dei malati,
dei bambini non nati, delle persone in fin di vita e dei più poveri sono sempre più
spesso trascurati e negati in questa cultura dello scarto. Chi non ha capacità di
spendere e di consumare sembra non valere nulla. Ma negare i diritti
fondamentali, negare il diritto a una vita dignitosa, a cure fisiche, psicologiche e
spirituali, a un salario giusto significa negare la dignità umana. Lo stiamo
vedendo: quanti braccianti sono – scusatemi la parola – “usati” per la raccolta
dei frutti o delle verdure, e poi pagati miserabilmente e cacciati via, senza alcuna
protezione sociale. […]

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SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
due giorni fa sono rientrato dal viaggio a Cipro e in Grecia. Ringrazio il Signore
per questo pellegrinaggio; ringrazio tutti voi per la preghiera che mi ha
accompagnato, e le popolazioni di quei due cari Paesi, con le loro autorità civili e
religiose, per l’affetto e la gentilezza con cui mi hanno accolto. A tutti ripeto:
grazie!
Cipro è una perla nel Mediterraneo, una perla di rara bellezza, che però porta
impressa la ferita del filo spinato, il dolore per un muro che la divide. A Cipro mi
sono sentito in famiglia; ho trovato in tutti dei fratelli e delle sorelle. Conservo
nel cuore ogni incontro, in particolare la Messa allo stadio di Nicosia. Mi ha
commosso il caro Fratello ortodosso Chrysostomos, quando mi ha parlato della
Chiesa Madre: da cristiani percorriamo vie diverse, ma siamo figli della Chiesa di
Gesù, che è Madre e ci accompagna, ci custodisce, ci fa andare avanti, tutti
fratelli. Il mio augurio per Cipro è che sia sempre un laboratorio di fraternità,
dove l’incontro prevalga sullo scontro, dove si accoglie il fratello, soprattutto
quando è povero, scartato, emigrato. Ripeto che davanti alla storia, davanti ai
volti di chi emigra, non possiamo tacere, non possiamo girarci dall’altra parte.
A Cipro, come a Lesbo, ho potuto guardare negli occhi questa sofferenza: per
favore, guardiamo negli occhi gli scartati che incontriamo, lasciamoci provocare
dai visi dei bambini, figli di migranti disperati. Lasciamoci scavare dentro dalla
loro sofferenza per reagire alla nostra indifferenza; guardiamo i loro volti, per
risvegliarci dal sonno dell’abitudine!
Penso poi con gratitudine alla Grecia. Anche lì ho ricevuto un’accoglienza
fraterna. Ad Atene ho sentito di essere immerso nella grandezza della storia, in
quella memoria dell’Europa: umanesimo, democrazia, sapienza, fede. Anche lì ho
provato la mistica dell’insieme: nell’incontro con i fratelli Vescovi e la comunità
cattolica, nella Messa festosa, celebrata nel giorno del Signore, e poi con i
giovani, venuti da tante parti, alcuni da molto lontano per vivere e condividere la
gioia del Vangelo. E ancora, ho vissuto il dono di abbracciare il caro Arcivescovo
ortodosso Ieronymos: prima mi ha accolto a casa sua e il giorno seguente è
venuto a trovarmi. Custodisco nel cuore questa fraternità. Affido alla Santa
Madre di Dio i tanti semi di incontro e di speranza che il Signore ha sparso in
questo pellegrinaggio. Vi chiedo di continuare a pregare perché germoglino nella
pazienza e fioriscano nella fiducia. […]