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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2016

Cari fratelli e sorelle!
Nella bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia ho ricordato che “ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre” (Misericordiae Vultus, 3). L’amore di Dio, infatti, intende raggiungere tutti e ciascuno, trasformando coloro che accolgono l’abbraccio del Padre in altrettante braccia che si aprono e si stringono perché chiunque sappia di essere amato come figlio e si senta “a casa” nell’unica famiglia umana. In tal modo, la premura paterna di Dio è sollecita verso tutti, come fa il pastore con il gregge, ma è particolarmente sensibile alle necessità della pecora ferita, stanca o malata. Gesù Cristo ci ha parlato così del Padre, per dire che Egli si china sull’uomo piagato dalla miseria fisica o morale e, quanto più si aggravano le sue condizioni, tanto più si rivela l’efficacia della divina misericordia.
Nella nostra epoca, i flussi migratori sono in continuo aumento in ogni area del pianeta: profughi e persone in fuga dalle loro patrie interpellano i singoli e le collettività, sfidando il tradizionale modo di vivere e, talvolta, sconvolgendo l’orizzonte culturale e sociale con cui vengono a confronto. Sempre più spesso le vittime della violenza e della povertà, abbandonando le loro terre d’origine, subiscono l’oltraggio dei trafficanti di persone umane nel viaggio verso il sogno di un futuro migliore. Se, poi, sopravvivono agli abusi e alle avversità, devono fare i conti con realtà dove si annidano sospetti e paure. Non di rado, infine, incontrano la carenza di normative chiare e praticabili, che regolino l’accoglienza e prevedano itinerari di integrazione a breve e a lungo termine, con attenzione ai diritti e ai doveri di tutti. Più che in tempi passati, oggi il Vangelo della misericordia scuote le coscienze, impedisce che ci si abitui alla sofferenza dell’altro e indica vie di risposta che si radicano nelle virtù teologali della fede, della speranza e della carità, declinandosi nelle opere di misericordia spirituale e corporale.
Sulla base di questa constatazione ho voluto che la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2016 fosse dedicata al tema: “Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia”. I flussi migratori sono ormai una realtà strutturale e la prima questione che si impone riguarda il superamento della fase di emergenza per dare spazio a programmi che tengano conto delle cause delle migrazioni, dei cambiamenti che si producono e delle conseguenze che imprimono volti nuovi alle società e ai popoli. Ogni giorno, però, le storie drammatiche di milioni di uomini e donne interpellano la Comunità internazionale, di fronte all’insorgere di inaccettabili crisi umanitarie in molte zone del mondo. L’indifferenza e il silenzio aprono la strada alla complicità quando assistiamo come spettatori alle morti per soffocamento, stenti, violenze e naufragi. Di grandi o piccole dimensioni, sono sempre tragedie quando si perde anche una sola vita umana.
I migranti sono nostri fratelli e sorelle che cercano una vita migliore lontano dalla povertà, dalla fame, dallo sfruttamento e dall’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, che equamente dovrebbero essere divise tra tutti. Non è forse desiderio di ciascuno quello di migliorare le proprie condizioni di vita e ottenere un onesto e legittimo benessere da condividere con i propri cari?
In questo momento della storia dell’umanità, fortemente segnato dalle migrazioni, quella dell’identità non è una questione di secondaria importanza. Chi emigra, infatti, è costretto a modificare taluni aspetti che definiscono la propria persona e, anche se non lo vuole, forza al cambiamento anche chi lo accoglie. Come vivere queste mutazioni, affinché non diventino ostacolo all’autentico sviluppo, ma siano opportunità per un’autentica crescita umana, sociale e spirituale, rispettando e promuovendo quei valori che rendono l’uomo sempre più uomo nel giusto rapporto con Dio, con gli altri e con il creato?
Di fatto, la presenza dei migranti e dei rifugiati interpella seriamente le diverse società che li accolgono. Esse devono far fronte a fatti nuovi che possono rivelarsi improvvidi se non sono adeguatamente motivati, gestiti e regolati. Come fare in modo che l’integrazione diventi vicendevole arricchimento, apra positivi percorsi alle comunità e prevenga il rischio della discriminazione, del razzismo, del nazionalismo estremo o della xenofobia?
La rivelazione biblica incoraggia l’accoglienza dello straniero, motivandola con la certezza che così facendo si aprono le porte a Dio e nel volto dell’altro si manifestano i tratti di Gesù Cristo. Molte istituzioni, associazioni, movimenti, gruppi impegnati, organismi diocesani, nazionali e internazionali sperimentano lo stupore e la gioia della festa dell’incontro, dello scambio e della solidarietà. Essi hanno riconosciuto la voce di Gesù Cristo: «Ecco, sto alla porta e busso» (Ap3,20). Eppure non cessano di moltiplicarsi anche i dibattiti sulle condizioni e sui limiti da porre all’accoglienza, non solo nelle politiche degli Stati, ma anche in alcune comunità parrocchiali che vedono minacciata la tranquillità tradizionale.
Di fronte a tali questioni, come può agire la Chiesa se non ispirandosi all’esempio e alle parole di Gesù Cristo? La risposta del Vangelo è la misericordia.
In primo luogo, essa è dono di Dio Padre rivelato nel Figlio: la misericordia ricevuta da Dio, infatti, suscita sentimenti di gioiosa gratitudine per la speranza che ci ha aperto il mistero della redenzione nel sangue di Cristo. Essa, poi, alimenta e irrobustisce la solidarietà verso il prossimo come esigenza di risposta all’amore gratuito di Dio, «che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5,5). Del resto, ognuno di noi è responsabile del suo vicino: siamo custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano. La cura di buoni contatti personali e la capacità di superare pregiudizi e paure sono ingredienti essenziali per coltivare la cultura dell’incontro, dove si è disposti non solo a dare, ma anche a ricevere dagli altri. L’ospitalità, infatti, vive del dare e del ricevere.
In questa prospettiva, è importante guardare ai migranti non soltanto in base alla loro condizione di regolarità o di irregolarità, ma soprattutto come persone che, tutelate nella loro dignità, possono contribuire al benessere e al progresso di tutti, in particolar modo quando assumono responsabilmente dei doveri nei confronti di chi li accoglie, rispettando con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del Paese che li ospita, obbedendo alle sue leggi e contribuendo ai suoi oneri. Comunque non si possono ridurre le migrazioni alla dimensione politica e normativa, ai risvolti economici e alla mera compresenza di culture differenti sul medesimo territorio. Questi aspetti sono complementari alla difesa e alla promozione della persona umana, alla cultura dell’incontro dei popoli e dell’unità, dove il Vangelo della misericordia ispira e incoraggia itinerari che rinnovano e trasformano l’intera umanità.
La Chiesa affianca tutti coloro che si sforzano per difendere il diritto di ciascuno a vivere con dignità, anzitutto esercitando il diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del Paese d’origine. Questo processo dovrebbe includere, nel suo primo livello, la necessità di aiutare i Paesi da cui partono migranti e profughi. Così si conferma che la solidarietà, la cooperazione, l’interdipendenza internazionale e l’equa distribuzione dei beni della terra sono elementi fondamentali per operare in profondità e con incisività soprattutto nelle aree di partenza dei flussi migratori, affinché cessino quegli scompensi che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente naturale e culturale. In ogni caso, è necessario scongiurare, possibilmente già sul nascere, le fughe dei profughi e gli esodi dettati dalla povertà, dalla violenza e dalle persecuzioni.
Su questo è indispensabile che l’opinione pubblica sia informata in modo corretto, anche per prevenire ingiustificate paure e speculazioni sulla pelle dei migranti.
Nessuno può fingere di non sentirsi interpellato dalle nuove forme di schiavitù gestite da organizzazioni criminali che vendono e comprano uomini, donne e bambini come lavoratori forzati nell’edilizia, nell’agricoltura, nella pesca o in altri ambiti di mercato. Quanti minori sono tutt’oggi costretti ad arruolarsi nelle milizie che li trasformano in bambini soldato! Quante persone sono vittime del traffico d’organi, della mendicità forzata e dello sfruttamento sessuale! Da questi aberranti crimini fuggono i profughi del nostro tempo, che interpellano la Chiesa e la comunità umana affinché anch’essi, nella mano tesa di chi li accoglie, possano vedere il volto del Signore «Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3).
Cari fratelli e sorelle migranti e rifugiati! Alla radice del Vangelo della misericordia l’incontro e l’accoglienza dell’altro si intrecciano con l’incontro e l’accoglienza di Dio: accogliere l’altro è accogliere Dio in persona! Non lasciatevi rubare la speranza e la gioia di vivere che scaturiscono dall’esperienza della misericordia di Dio, che si manifesta nelle persone che incontrate lungo i vostri sentieri! Vi affido alla Vergine Maria, Madre dei migranti e dei rifugiati, e a san Giuseppe, che hanno vissuto l’amarezza dell’emigrazione in Egitto. Alla loro intercessione affido anche coloro che dedicano energie, tempo e risorse alla cura, sia pastorale che sociale, delle migrazioni. Su tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI NUOVI VESCOVI NOMINATI NEL CORSO DELL’ANNO

[…] Penso alle sfide drammatiche come la globalizzazione, che avvicina ciò che è lontano e d’altra parte separa chi è vicino; penso al fenomeno epocale delle migrazioni che scombussola i nostri giorni; penso all’ambiente naturale, giardino che Dio ha dato come abitazione all’essere umano e alle altre creature e che è minacciato dal miope e spesso predatorio sfruttamento; penso alla dignità e al futuro del lavoro umano, di cui sono prive generazioni intere, ridotte a statistiche; penso alla desertificazioni dei rapporti, alla deresponsabilizzazione diffusa, al disinteresse per il domani, alla crescente e paurosa chiusura; allo smarrimento di tanti giovani e alla solitudine di non pochi anziani. Sono certo che ognuno di voi potrebbe completare questo catalogo di problematiche. […]

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ANGELUS

APPELLO

[…] Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura.

Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia.

Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma.

Mi rivolgo ai miei fratelli Vescovi d’Europa, veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi.

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ANGELUS

Dopo l’Angelus:

[…] Purtroppo anche nei giorni scorsi numerosi migranti hanno perso la vita nei loro terribili viaggi. Per tutti questi fratelli e sorelle, prego e invito a pregare. In particolare, mi unisco al Cardinale Schönborn – che oggi è qui presente – e a tutta la Chiesa in Austria nella preghiera per le settantuno vittime, tra cui quattro bambini, trovate in un camion sull’autostrada Budapest-Vienna. Affidiamo ciascuna di esse alla misericordia di Dio; e a Lui chiediamo di aiutarci a cooperare con efficacia per impedire questi crimini, che offendono l’intera famiglia umana. Preghiamo in silenzio per tutti i migranti che soffrono e per quelli che hanno perso la vita.[…]

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WORKSHOP “MODERN SLAVERY AND CLIMATE CHANGE: THE COMMITMENT OF THE CITIES” INTERVENTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

[…] Dall’altro lato, perché questo invito, che mi è parsa un’idea della Pontificia Accademia delle Scienze, di Mons. Sánchez Sorondo, molto feconda, di invitare i Sindaci delle città grandi, e non tanto grandi, invitarli qui per parlare di questo? Perché una delle cose che più si nota quando l’ambiente, la creazione non è curata, è la crescita a dismisura delle città. E’ un fenomeno mondiale. E’ come se le teste, le grandi città, si facessero grandi, però ogni volta con cordoni di povertà e di miseria più grandi, dove la gente soffre gli effetti della trascuratezza dell’ambiente. In questo senso è coinvolto il fenomeno migratorio. Perché la gente viene nelle grandi città, nei cordoni delle grandi città – “villas miseria”, le baracche, le favelas? Perché fa questo? Semplicemente perché il mondo rurale non dà loro opportunità. E qui un punto che sta nell’Enciclica – e con molto rispetto, però si deve denunciare – è l’idolatria della tecnocrazia. La tecnocrazia porta a distruggere il lavoro, crea disoccupazione. I fenomeni di disoccupazione sono molto grandi e le persone sono costrette a emigrare, cercando nuovi orizzonti. Il grande numero di disoccupati allarma. Non ho le statistiche, però in alcuni Paesi d’Europa, soprattutto i giovani, la disoccupazione giovanile – dai 25 anni in giù – supera il 40 per cento e in alcuni arriva al 50 per cento. Tra il 40, il 47 – sto pensando ad altri Paesi – e il 50. Sto pensando ad altre statistiche serie date dai Capi di governo, dai Capi di Stato direttamente. E questo proiettato nel futuro ci fa vedere un fantasma, ossia una gioventù disoccupata che, oggi, quale orizzonte e quale futuro può offrire? Che cosa rimane a questa gioventù: o le dipendenze, la noia, il non sapere che cosa fare della propria vita -una vita senza senso, molto dura, il suicidio giovanile –le statistiche di suicidio giovanile non sono pubblicate nella loro totalità – o cercare in altri orizzonti, anche in progetti di guerriglia, un ideale di vita. […]

[…] Che succede quando tutti questi fenomeni di tecnicizzazione eccessiva, senza cura dell’ambiente, oltre ai fenomeni naturali, incidono sulla migrazione? Non avere lavoro e poi la tratta delle persone. Ogni volta è più frequente il lavoro in nero, un lavoro senza contratto, un lavoro “organizzato sotto banco”. Come è cresciuto! II lavoro in nero è molto diffuso, e questo significa che una persona non guadagna sufficientemente per vivere. Questo può provocare reati, tutto quello che succede in una grande città a causa di queste migrazioni provocate dalla tecnicizzazione eccessiva. Soprattutto mi riferisco all’ambiente agricolo ed anche alla tratta delle persone nel lavoro minerario. La schiavitù mineraria è vasta e molto forte. E quello che significa l’uso di certi elementi del trattamento dei minerali – arsenico, cianuro… – che fanno ammalare la popolazione. In questo c’è una responsabilità molto grande. Tutto rimbalza, tutto torna indietro, tutto… E’ l’effetto rimbalzo contro la stessa persona. Può essere la tratta di esseri umani per il lavoro schiavista, la prostituzione, che sono fonti di lavoro, per poter sopravvivere oggi.

Per questo sono contento che voi abbiate riflettuto su questi fenomeni – io ne ho menzionati alcuni, non di più – che colpiscono le grandi città. Alla fine io direi che di questo debbano interessarsi le Nazioni Unite. Ho molta speranza nel vertice di Parigi del prossimo novembre: che si raggiunga un accordo fondamentale e di base. Ho molta speranza. Tuttavia le Nazioni Unite devono interessarsi con molta forza di questo fenomeno, soprattutto della tratta delle persone provocata da questo fenomeno ambientale, lo sfruttamento della gente. […]

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE IN OCCASIONE DELL’INCONTRO “UNA GIORNATA DI RIFLESSIONE – UNITI A DIO ASCOLTIAMO UN GRIDO”

[…] Venite da situazioni differenti e in diversi modi sperimentate le ripercussioni delle attività minerarie, siano esse condotte da grandi compagnie industriali, da artigiani o operatori informali. Avete voluto riunirvi a Roma, in questa giornata di riflessione che si ricollega ad un passaggio dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (cfr. nn. 187-190), per far riecheggiare il grido delle numerose persone, famiglie e comunità che soffrono direttamente o indirettamente a causa delle conseguenze troppo spesso negative delle attività minerarie. Un grido per i terreni perduti; un grido per l’estrazione di ricchezze dal suolo che paradossalmente non ha prodotto ricchezza per le popolazioni locali rimaste povere; un grido di dolore in reazione alle violenze, alle minacce e alla corruzione; un grido di sdegno e di aiuto per le violazioni dei diritti umani, clamorosamente o discretamente calpestati per quanto concerne la salute delle popolazioni, le condizioni di lavoro, talvolta la schiavitù e il traffico di persone che alimenta il tragico fenomeno della prostituzione; un grido di tristezza e di impotenza per l’inquinamento delle acque, dell’aria e dei suoli; un grido di incomprensione per l’assenza di processi inclusivi e di appoggio da parte di quelle autorità civili, locali e nazionali, che hanno il fondamentale dovere di promuovere il bene comune.[…]

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SANTA MESSA OMELIA DEL SANTO PADRE

[…]2. La fuga in Egitto. Dovettero partire, andare in esilio. Là non solo non avevano un posto, una famiglia, ma anche la loro vita era in pericolo. Dovettero mettersi in cammino e andare in terra straniera. Furono migranti perseguitati per l’avidità e l’avarizia dell’imperatore. E anche là lei avrebbe potuto chiedersi: Dov’è quello che mi ha detto l’Angelo? […]

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PARTECIPAZIONE AL II INCONTRO MONDIALE DEI MOVIMENTI POPOLARI DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] Voi, da parte dei movimenti popolari, assumete i compiti di sempre, motivati​ dall’amore fraterno che si ribella contro l’ingiustizia sociale. Quando guardiamo il volto di quelli che soffrono, il volto del contadino minacciato, del lavoratore escluso, dell’indigeno oppresso, della famiglia senza casa, del migrante perseguitato, del giovane disoccupato, del bambino sfruttato, della madre che ha perso il figlio in una sparatoria perché il quartiere è stato preso dal traffico di droga, del padre che ha perso la figlia perché è stata sottoposta alla schiavitù; quando ricordiamo quei “volti e nomi” ci si stringono le viscere di fronte a tanto dolore e ci commuoviamo, tutti ci commuoviamo. Perché “abbiamo visto e udito” non la fredda statistica, ma le ferite dell’umanità sofferente, le nostre ferite, la nostra carne. Questo è molto diverso dalla teorizzazione astratta o dall’indignazione elegante. Questo ci tocca, ci commuove e cerchiamo l’altro per muoverci insieme. Questa emozione fatta azione comunitaria non si comprende unicamente con la ragione: ha un “più” di senso che solo la gente capisce e che dà la propria particolare mistica ai veri movimenti popolari. […]

[…] Occorre riconoscere che nessuno dei gravi problemi dell’umanità può essere risolto senza l’interazione tra gli Stati e i popoli a livello internazionale. Ogni atto di ampia portata compiuto in una parte del pianeta si ripercuote nel tutto in termini economici, ecologici, sociali e culturali. Persino il crimine e la violenza si sono globalizzati. Pertanto nessun governo può agire al di fuori di una responsabilità comune. Se vogliamo davvero un cambiamento positivo, dobbiamo accettare umilmente la nostra interdipendenza, cioè la nostra sana interdipendenza. Ma interazione non è sinonimo di imposizione, non è subordinazione di alcuni in funzione degli interessi di altri. Il colonialismo, vecchio e nuovo, che riduce i paesi poveri a semplici fornitori di materie prime e manodopera a basso costo, genera violenza, povertà, migrazioni forzate e tutti i mali che abbiamo sotto gli occhi… proprio perché mettendo la periferia in funzione del centro le si nega il diritto ad uno sviluppo integrale. E questo, fratelli, è inequità, e l’inequità genera violenza che nessuna polizia, militari o servizi segreti sono in grado di fermare.[…]

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INCONTRO CON LE AUTORITÀ CIVILI DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] Una nazione che cerca il bene comune non può chiudersi in sé stessa; le reti di relazione consolidano le società. Il problema dell’immigrazione nei nostri giorni ce lo dimostra. Lo sviluppo della diplomazia con i Paesi vicini, al fine di evitare conflitti tra popoli fratelli e contribuire al dialogo franco e aperto sui problemi, è oggi indispensabile. E sto pensando qui, sul mare: dialogo, è indispensabile. Costruire ponti invece di alzare muri. Costruire ponti invece che alzare muri. Tutti i temi, per quanto spinosi siano, hanno soluzioni condivise, hanno soluzioni ragionevoli, eque e durature. E, in ogni caso, non devono mai essere motivo di aggressività, di rancore o inimicizia che aggravano ancor più la situazione e ne rendono più difficile la risoluzione. […]

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INCONTRO CON LA SOCIETÀ CIVILE DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] La migrazione, la concentrazione urbana, il consumismo, la crisi della famiglia, la disoccupazione, le sacche di povertà producono incertezze e tensioni che costituiscono una minaccia per la convivenza sociale. Le norme e le leggi, così come i progetti della comunità civile, devono cercare l’inclusione, per favorire spazi di dialogo, spazi di incontro e quindi lasciare al ricordo doloroso qualunque tipo di repressione, il controllo illimitato e la sottrazione di libertà. La speranza di un futuro migliore richiede di offrire reali opportunità ai cittadini, soprattutto ai giovani, creando occupazione, con una crescita economica che arrivi a tutti, e non rimanga nelle statistiche macroeconomiche, creando uno sviluppo sostenibile che generi un tessuto sociale forte e ben coeso. Se non c’è solidarietà questo è impossibile. Ho accennato ai giovani e alla mancanza di lavoro. A livello mondiale è allarmante. Paesi europei che erano ad alto livello alcuni decenni fa, adesso stanno subendo nella popolazione giovanile – dai 25 anni in giù – un 40/50% di disoccupazione. Se non c’è solidarietà questo non si risolve. Dicevo ai Salesiani [a Torino]: “Voi, che Don Bosco ha fondato per educare, oggi, educazione di emergenza per quei giovani che non hanno lavoro!”. Perché? Emergenza per prepararli a piccoli lavori che diano loro la dignità di poter portare il pane a casa. A questi giovani disoccupati, che sono quelli che chiamiamo i “né né”: né studiano né lavorano, che prospettiva rimane? Le dipendenze, la tristezza, la depressione, il suicidio – non si pubblicano integralmente le statistiche sui suicidi giovanili – o arruolarsi in progetti di follia sociale, che almeno presentino loro un ideale? Oggi ci è chiesto di curare, in modo speciale, con solidarietà, questo terzo settore di esclusione della cultura dello scarto. Il primo sono i bambini, perché o non li si vuole – ci sono paesi sviluppati che hanno una natalità quasi dello zero per cento –, o li si uccide prima che nascano. Poi gli anziani, che si abbandonano e li si lascia e si dimentica che sono la saggezza e la memoria del loro popolo. Li si scarta. E adesso è venuto il turno dei giovani. A chi hanno lasciato il posto? Ai servitori dell’egoismo, del dio denaro che sta al centro di un sistema che ci schiaccia tutti. […]