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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA EUROPEA DEI GIOVANI

[…] Tra le varie proposte del Patto Educativo Globale, ne richiamo due che ho visto
presenti anche nella vostra Conferenza.
La prima: “Aprirsi all’accoglienza”, e quindi il valore dell’inclusione: non lasciarsi
trascinare in ideologie miopi che vogliono mostrarvi l’altro, il diverso come un
nemico. L’altro è una ricchezza. L’esperienza di milioni di studenti europei che
hanno aderito al Progetto Erasmus testimonia che l’incontro tra persone di popoli
diversi aiuta ad aprire gli occhi, la mente e il cuore. Fa bene avere “occhi grandi”
per aprirsi agli altri. Nessuna discriminazione contro nessuno, per nessuna ragione.
Essere solidali con tutti, non solo con chi mi assomiglia, o mostra un’immagine di
successo, ma con coloro che soffrono, qualunque sia la nazionalità e la condizione
sociale. Non dimentichiamo che milioni di europei in passato hanno dovuto emigrare
in altri continenti in cerca di futuro. Anch’io sono figlio di italiani emigrati in
Argentina.
L’obiettivo principale del Patto Educativo è quello di educare tutti a una vita più
fraterna, basata non sulla competitività ma sulla solidarietà. La vostra aspirazione
maggiore, cari giovani, non sia quella di entrare negli ambienti formativi d’élite,
dove può accedere solo chi ha molto denaro. Questi istituti hanno spesso interesse
a mantenere lo status quo, a formare persone che garantiscano il funzionamento
del sistema così com’è. Vanno apprezzate piuttosto quelle realtà che uniscono la
qualità formativa con il servizio al prossimo, sapendo che il fine dell’educazione è la
crescita della persona orientata al bene comune. Saranno queste esperienze solidali
che cambieranno il mondo, non quelle “esclusive” (ed escludenti) delle scuole
d’élite. Eccellenza sì, ma per tutti, non solo per qualcuno.
Vi propongo di leggere l’Enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020) e il Documento sulla
fratellanza umana (4 febbraio 2019) firmato insieme al Grande Iman di Al-Azhar. So
che in tante università e scuole musulmane stanno approfondendo con interesse
questi testi, e così spero possano entusiasmare anche voi. Dunque, educazione non
solo per “conoscere sé stessi” ma anche per conoscere l’altro. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI

[…] Chiese sorelle, popoli fratelli: la riconciliazione tra cristiani separati, quale
contributo alla pacificazione dei popoli in conflitto, risulta oggi quanto mai attuale,
mentre il mondo è sconvolto da un’aggressione bellica crudele e insensata, nella
quale tanti cristiani combattono tra di loro. Ma di fronte allo scandalo della guerra
anzitutto non c’è da fare considerazioni: c’è da piangere, soccorrere e convertirsi.
C’è da piangere le vittime e il troppo sangue sparso, la morte di tanti innocenti, i
traumi di famiglie, città, di un intero popolo: quanta sofferenza in chi ha perso gli
affetti più cari ed è costretto ad abbandonare la propria casa e la propria patria! C’è
poi da soccorrere questi fratelli e sorelle: è un richiamo alla carità che, in quanto
cristiani, siamo tenuti a esercitare nei riguardi di Gesù migrante, povero e ferito. Ma
c’è anche da convertirsi per capire che conquiste armate, espansioni e imperialismi
non hanno nulla a che vedere con il Regno che Gesù ha annunciato, con il Signore
della Pasqua che nel Getsemani chiese ai discepoli di rinunciare alla violenza, di
rimettere la spada al suo posto «perché tutti quelli che prendono la spada, di spada
moriranno» (Mt 26,52); e troncando ogni obiezione disse: «Basta!» (Lc 22,51). […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DELLA RIUNIONE DELLE OPERE PER L’AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI (R.O.A.C.O.)

[…] Continuate, vi prego, a tenere dinanzi agli occhi l’icona del buon Samaritano: lo
avete fatto e so che continuerete a farlo anche per il dramma causato dal conflitto
che dal Tigray ha nuovamente ferito l’Etiopia e in parte la vicina Eritrea, e
soprattutto per l’amata e martoriata Ucraina. Là si è tornati al dramma di Caino e
Abele; è stata scatenata una violenza che distrugge la vita, una violenza luciferina,
diabolica, alla quale noi credenti siamo chiamati a reagire con la forza della
preghiera, con l’aiuto concreto della carità, con ogni mezzo cristiano perché le armi
lascino il posto ai negoziati. Vorrei ringraziarvi per aver contribuito a portare la
carezza della Chiesa e del Papa in Ucraina e nei Paesi ove sono stati accolti i
rifugiati. Nella fede sappiamo che le alture della superbia e dell’idolatria umane
saranno abbassate, e colmate le valli della desolazione e delle lacrime, ma
vorremmo anche che si compia presto la profezia di pace di Isaia: che un popolo
non alzi più la mano contro un altro popolo, che le spade diventino aratri e le lance
falci (cfr Is 2,4). Invece, tutto sembra andare nella direzione opposta: il cibo
diminuisce e il fragore delle armi aumenta. È lo schema canonico che regge oggi la
storia. Non smettiamo perciò di pregare, di digiunare, di soccorrere, di lavorare
perché i sentieri della pace trovino spazio nella giungla dei conflitti. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MEMBRI DEL SINODO DELLA CHIESA GRECO MELKITA

[…] I drammi degli ultimi mesi, che tristemente ci costringono a volgere lo sguardo
all’est dell’Europa, non ci devono far dimenticare quello che da dodici anni si
consuma nella vostra terra. Io ricordo, il primo anno di pontificato, quando era
preparato un bombardamento sulla Siria, che abbiamo convocato una notte di
preghiera, qui, in San Pietro, così anche c’era il Santissimo Sacramento e la piazza
piena, che pregava. C’erano anche dei musulmani, che avevano portato il loro
tappeto e pregavano con noi. E lì è nata quell’espressione: “Amata e martoriata
Siria”. Migliaia di morti e feriti, milioni di rifugiati interni e all’estero, l’impossibilità
di avviare la necessaria ricostruzione. In più di un’occasione mi è capitato di
incontrare e sentire il racconto di qualche giovane siriano giunto qui, e mi ha colpito
il dramma che portava dentro di sé, per quanto ha vissuto e visto, ma anche il suo
sguardo, quasi prosciugato di speranza, incapace di sognare un futuro per la sua
terra. Non possiamo permettere che anche l’ultima scintilla di speranza sia tolta
dagli occhi e dai cuori dei giovani e delle famiglie! E rinnovo quindi l’appello a tutti
coloro che hanno responsabilità, dentro il Paese e nella Comunità internazionale,
perché si possa giungere ad una equa e giusta soluzione al dramma della Siria. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI VESCOVI E SACERDOTI DELLE CHIESE DI SICILIA

[…] La Sicilia non è fuori da questo cambiamento; anzi, come è accaduto in
passato, si trova al centro di percorsi storici che i popoli continentali disegnano.
Essa ha spesso accolto i passaggi di questi popoli, ora dominatori ora migranti, e
accogliendoli li ha integrati nel suo tessuto, sviluppando una propria cultura.
Ricordo quando, circa 40 anni fa, mi hanno fatto vedere un film sulla Sicilia: “Kaos”,
si chiamava. Erano quattro racconti di Pirandello, il grande siciliano. Sono rimasto
stupito da quella bellezza, da quella cultura, da quella “insularità continentale”,
diciamo così… Ma questo non significa che sia un’isola felice, perché la condizione di
insularità incide profondamente sulla società siciliana, finendo per mettere in
maggior risalto le contraddizioni che portiamo dentro di noi. Sicché si assiste in
Sicilia a comportamenti e gesti improntati a grandi virtù come a crudeli efferatezze.
Come pure, accanto a capolavori di straordinaria bellezza artistica si vedono scene
di trascuratezza mortificanti. E ugualmente, a fronte di uomini e donne di grande
cultura, molti bambini e ragazzi evadono la scuola rimanendo tagliati fuori da una
vita umana dignitosa. La quotidianità siciliana assume forti tinte, come gli intensi
colori del cielo e dei fiori, dei campi e del mare, che risplendono per la forza della
luminosità solare. Non a caso tanto sangue è stato versato per la mano di violenti
ma anche per la resistenza umile ed eroica dei santi e dei giusti, servitori della
Chiesa e dello Stato.
L’attuale situazione sociale della Sicilia è in netta regressione da anni; un preciso
segnale è lo spopolamento dell’Isola, dovuto sia al calo delle nascite – questo
inverno demografico che stiamo vivendo tutti noi – sia all’emigrazione massiccia di
giovani. La sfiducia nelle istituzioni raggiunge livelli elevati e la disfunzione dei
servizi appesantisce lo svolgimento delle pratiche quotidiane, nonostante gli sforzi
di persone valide e oneste, che vorrebbero impegnarsi e cambiare il sistema.
Occorre comprendere come e in quale direzione la Sicilia sta vivendo il
cambiamento d’epoca e quali strade potrebbe intraprendere, per annunciare, nelle
fratture e nelle giunture di questo cambiamento, il Vangelo di Cristo. […]

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INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO CON LA DELEGAZIONE DEL GLOBAL SOLIDARITY FUND

Caro fratello Cardinale Tomasi,
cari amici!
Sono lieto di incontrarvi di nuovo e di vedere che il vostro cammino va avanti.
Il vostro nome, Global Solidarity Fund, è incentrato su una parola-chiave:
solidarietà. È uno dei valori portanti della dottrina sociale della Chiesa. Ma per
concretizzarsi va accompagnato con la vicinanza e la compassione verso l’altro, la
persona emarginata, verso il volto del povero, del migrante.
La composizione del gruppo con cui oggi qui rappresentate il Global Solidarity Fund
è significativa: appartenente ad ambiti molto differenti, ma lavorate insieme per
dare vita a un’economia più inclusiva, per creare integrazione e lavoro per i
migranti in uno spirito di ascolto e di incontro. Un percorso coraggioso!
Vi ringrazio per i doni che mi avete portato da parte dei migranti che partecipano ai
vostri programmi in Colombia e in Etiopia. Benedico ciascuno di loro e benedico voi
e il vostro lavoro. Andate avanti in questo impegno a sostegno dei migranti e delle
persone più fragili, mettendo in comune i vostri talenti. E non dimenticatevi di
pregare per me.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL CONSIGLIO PLENARIO DELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE CATTOLICA PER LE MIGRAZIONI

Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, che partecipate al Consiglio Plenario
della Commissione Internazionale Cattolica per le Migrazioni.
In questi giorni siete chiamati a svolgere tre compiti molto importanti: eleggere il
nuovo quadro direttivo della Commissione, approvare i nuovi statuti e determinare
le linee operative per i prossimi anni. Colgo volentieri questa occasione per
sottolineare alcuni punti che ritengo possano aiutarvi nel vostro discernimento.
La Commissione è stata fondata dal Venerabile Papa Pio XII, nel 1951, per formare,
tra le Conferenze Episcopali nel mondo intero, una rete che potesse assisterle nel
loro servizio pastorale a favore dei migranti e dei rifugiati. La sua natura e la sua
missione ecclesiale la contraddistinguono rispetto ad altre organizzazioni operanti
nella società civile e nella Chiesa. La Commissione, infatti, è espressione collegiale
dell’azione pastorale, in ambito migratorio, dei vescovi che, in comunione con il
Papa, partecipano della sua «sollecitudine per la Chiesa Universale in un vincolo di
pace, di amore e di unità» (Lumen gentium, 22). Per questo, nella Costituzione
apostolica Praedicate Evangelium, essa è menzionata e collocata tra le competenze
del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale (cfr Art. 174 § 2), così
che la sua natura e la sua missione siano salvaguardate in accordo con i principi
originari. Nel Consiglio Plenario voi rappresentate ufficialmente le Conferenze
Episcopali che hanno dato la propria adesione alla Commissione. La loro volontà di
impegnarsi insieme per accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e
i rifugiati è confermata dalla vostra presenza.
La missione ecclesiale della Commissione si realizza in due direzioni: ad intra e ad
extra. Essa è anzitutto chiamata ad offrire un’assistenza qualificata alle Conferenze
Episcopali e alle Diocesi che si trovano a dover rispondere alle tante e complesse
sfide migratorie del tempo presente. Si impegna, pertanto, a favorire lo sviluppo e
l’attuazione di progetti di pastorale migratoria e la formazione specializzata degli
agenti pastorali in ambito migratorio, sempre a servizio delle Chiese particolari e
secondo le competenze proprie.
Ad extra, la Commissione è chiamata a rispondere alle sfide globali e alle
emergenze migratorie con programmi mirati, sempre in comunione con le Chiese
locali. Essa, inoltre, è incaricata di svolgere attività di advocacy come
organizzazione della società civile in ambito internazionale. La Commissione
impegna la Chiesa e lavora per una più vasta sensibilizzazione internazionale circa
le tematiche migratorie, al fine di favorire il rispetto dei diritti umani e la
promozione della dignità delle persone secondo gli orientamenti della dottrina
sociale della Chiesa.
Vi ringrazio di cuore per tutto il lavoro che la Commissione ha compiuto negli ultimi
settant’anni. Molte di queste azioni hanno avuto un’incidenza davvero
determinante. Vi ringrazio, in particolare, per l’impegno profuso ad aiutare le Chiese
a rispondere alle sfide legate al massiccio sfollamento provocato dal conflitto in
Ucraina. Si tratta del più grande movimento di profughi verificatosi in Europa dopo
la seconda guerra mondiale.
Non possiamo dimenticare, tuttavia, i milioni di richiedenti asilo, rifugiati e sfollati in
altre parti del mondo, che hanno un disperato bisogno di essere accolti, protetti e
amati. Come Chiesa vogliamo servire tutti e lavorare alacremente per l’edificazione
di un futuro di pace. Voi avete la possibilità di dare un volto alla carità operosa della
Chiesa nei loro confronti!
Auguro a tutti un lavoro fruttuoso e vi assicuro il mio ricordo nella preghiera. E voi,
per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MEMBRI DELLA FRATERNITÀ POLITICA CHEMIN NEUF

Cari amici!
Sono contento di accogliere voi giovani membri della “Fraternità Politica” di Chemin
Neuf. Quando ci siamo incontrati l’anno scorso, avevate affidato alla mia preghiera
la vostra partecipazione all’evento Changemakers, a Budapest. Là avete avuto
momenti di incontro, di formazione, ma anche di azione, presso associazioni locali.
Il modo in cui avete vissuto questo evento mi sembra una buona attuazione del
vero significato di quello che è la politica, specialmente per dei cristiani. La politica
è incontro, riflessione, azione.
La politica è anzitutto arte dell’incontro. Certamente, questo incontro si vive
accogliendo l’altro e accettando la sua differenza, in un dialogo rispettoso. Come
cristiani, tuttavia, c’è di più: poiché il Vangelo ci chiede di amare i nostri nemici (cfr
Mt 5,44), non posso accontentarmi di un dialogo superficiale e formale, come quei
negoziati spesso ostili tra partiti politici. Siamo chiamati a vivere l’incontro politico
come un incontro fraterno, soprattutto con coloro che sono meno d’accordo con noi;
e ciò significa vedere in colui con cui dialoghiamo un vero fratello, un figlio amato di
Dio. Questa arte dell’incontro comincia dunque con un cambiamento di sguardo
sull’altro, con un accogliere e rispettare senza condizioni la sua persona. Se tale
cambiamento del cuore non avviene, la politica rischia di trasformarsi in un
confronto spesso violento per far trionfare le proprie idee, in una ricerca di interessi
particolari piuttosto che del bene comune, contro il principio che “l’unità prevale sul
conflitto” (cfr Evangelii gaudium, 226-230).
Dal punto di vista cristiano, la politica è anche riflessione, cioè formulazione di un
progetto comune. Un uomo politico del XVIII secolo, Edmund Burke, spiegava così
agli elettori di Bristol che non avrebbe potuto limitarsi a difendere i loro interessi
particolari, ma che sarebbe stato piuttosto inviato, a loro nome, per elaborare con
gli altri membri del Parlamento una visione per il bene dell’intero Paese, per il bene
comune. Come cristiani, comprendiamo che la politica, oltre che attraverso
l’incontro, si porta avanti con una riflessione comune, alla ricerca di questo bene
generale, e non semplicemente con il confronto degli interessi contrastanti e spesso
opposti. Insomma, “il tutto è superiore alla parte” (cfr ibid., 234-237). E la nostra
bussola per elaborare questo progetto comune è il Vangelo, che apporta al mondo
una visione profondamente positiva dell’uomo amato da Dio.
Infine, la politica è anche azione. Mi rallegro che la vostra Fraternità non si
accontenta di essere uno spazio di dibattito e di scambio, ma vi conduce anche a un
impegno concreto. Come cristiani, abbiamo bisogno di confrontare sempre le nostre
idee con lo spessore del reale, se non vogliamo costruire sulla sabbia che prima o
poi finisce per cedere. Non dimentichiamo che “la realtà è più importante dell’idea”
(cfr ibid., 231-233). E pertanto incoraggio il vostro impegno in favore dei migranti e
dell’ecologia. Così ho appreso che alcuni di voi hanno scelto di vivere insieme in
mezzo a un quartiere popolare di Parigi, per stare in ascolto dei poveri: ecco un
modo cristiano di fare politica! Non dimenticare queste linee, che la realtà è più
importante dell’idea: non si può fare politica con l’ideologia. Il tutto è superiore alla
parte, e l’unità è superiore al conflitto. Sempre cercare l’unità e non perdersi nel
conflitto. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI

Gentili Signore e Signori!
Vi do il benvenuto e vi auguro buon lavoro in questa Sessione plenaria della
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. E ringrazio il Prof. Zamagni per le sue
cortesi e acute parole.
Avete focalizzato la vostra attenzione sulla realtà della famiglia. Apprezzo questa
scelta e anche la prospettiva secondo la quale la considerate, cioè come “bene
relazionale”. Sappiamo che i cambiamenti sociali stanno modificando le condizioni di
vita del matrimonio e delle famiglie in tutto il mondo. Inoltre, l’attuale contesto di
crisi prolungata e molteplice mette a dura prova i progetti di famiglie stabili e felici.
A questo stato di cose si può rispondere riscoprendo il valore della famiglia come
fonte e origine dell’ordine sociale, come cellula vitale di una società fraterna e
capace di prendersi cura della casa comune.
La famiglia è quasi sempre al primo posto nella scala dei valori dei diversi popoli,
perché è inscritta nella natura stessa della donna e dell’uomo. In questo senso, il
matrimonio e la famiglia non sono istituzioni puramente umane, malgrado i
numerosi mutamenti che hanno conosciuto nel corso dei secoli e le diversità
culturali e spirituali tra i vari popoli. Al di là di tutte le differenze, emergono tratti
comuni e permanenti, che manifestano la grandezza e il valore del matrimonio e
della famiglia. Tuttavia, se questo valore è vissuto in modo individualistico e
privatistico, come in parte avviene in Occidente, la famiglia può essere isolata e
frammentata nel contesto della società. Si perdono così le funzioni sociali che la
famiglia esercita tra gli individui e nella comunità, specialmente nei confronti dei più
deboli, come i bambini, le persone con disabilità e gli anziani non autosufficienti.
Si tratta allora di comprendere che la famiglia è un bene per la società, non in
quanto semplice aggregazione di individui, ma in quanto è una relazione fondata in
un “vincolo di mutua perfezione”, per usare un’espressione di San Paolo (cfr Col
3,12-14). Infatti, l’essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio, che è
amore (cfr 1 Gv 4,8.16). L’amore reciproco tra l’uomo e la donna è riflesso
dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’essere umano, destinato ad
essere fecondo e a realizzarsi nell’opera comune dell’ordine sociale e della custodia
del creato.
Il bene della famiglia non è di tipo aggregativo, cioè non consiste nell’aggregare le
risorse dei singoli per aumentare l’utilità di ciascuno, ma è un vincolo relazionale di
perfezione, che consiste nel condividere delle relazioni di amore fedele, fiducia,
cooperazione, reciprocità, da cui derivano i beni dei singoli membri della famiglia e,
quindi, la loro felicità. Così intesa, la famiglia, che è un bene relazionale in sé
stessa, diventa anche la fonte di tanti beni e relazioni per la comunità, come ad
esempio un buon rapporto con lo Stato e le altre associazioni della società, la
solidarietà tra le famiglie, l’accoglienza di chi è in difficoltà, l’attenzione agli ultimi, il
contrasto ai processi di impoverimento, e così via.
Tale vincolo perfettivo, che potremmo chiamare il suo specifico “genoma sociale”,
consiste in un agire amorevole motivato dal dono, dal vivere secondo la regola della
reciprocità generosa e della generatività. La famiglia umanizza le persone
attraverso la relazione del “noi” e allo stesso tempo promuove le legittime
differenze di ciascuno. Questo, attenzione, è proprio importante per capire cosa è
una famiglia, che non è soltanto un’aggregazione di persone.
Il pensiero sociale della Chiesa aiuta a comprendere questo amore relazionale
proprio della famiglia, come ha cercato di fare l’Esortazione apostolica Amoris
laetitia, inserendosi nel solco della grande tradizione, ma con quella tradizione, fare
un passo in avanti.
Un aspetto che vorrei sottolineare è che la famiglia è il luogo dell’accoglienza. Non
se ne parla tanto, ma è importante. Le sue qualità si manifestano in modo
particolare nelle famiglie dove sono presenti membri fragili o con disabilità. Queste
famiglie sviluppano delle virtù speciali, che potenziano le capacità di amore e di
sopportazione paziente verso le difficoltà della vita. Pensiamo alla riabilitazione dei
malati, all’accoglienza dei migranti, e in generale all’inclusione sociale di chi è
vittima di emarginazione, in tutte le sfere sociali, specialmente nel mondo del
lavoro. L’assistenza domiciliare integrata per le persone con disabilità grave mette
in moto nei membri della famiglia quella capacità di cura che sa rispondere alle
specifiche necessità di ciascuno. Si pensi anche alle famiglie che generano benefici
per l’intera società, fra cui le famiglie adottive e le famiglie affidatarie. La famiglia –
lo sappiamo – è il principale antidoto alla povertà, materiale e spirituale, come lo è
anche al problema dell’inverno demografico o alla maternità e paternità
irresponsabile. Queste due cose sono da sottolineare. L’inverno demografico è cosa
seria. Qui in Italia è cosa seria rispetto agli altri Paesi d’Europa. Non si può lasciare
da parte, è una cosa seria. E la irresponsabilità della maternità e della paternità è
un’altra cosa seria di cui si deve tener conto per aiutare affinché non succeda.
La famiglia diventa un vincolo di perfezione e un bene relazionale quanto più fa
fiorire la sua natura propria, sia da sé, sia con l’aiuto delle altre persone e delle
istituzioni, comprese quelle governative. È necessario che in tutti i Paesi siano
promosse politiche sociali, economiche e culturali “amiche della famiglia”. Lo sono,
per esempio, le politiche che rendono possibile un’armonizzazione tra famiglia e
lavoro; politiche fiscali che riconoscono i carichi famigliari e sostengono le funzioni
educative delle famiglie adottando strumenti appropriati di equità fiscale; politiche
di accoglienza della vita; servizi sociali, psicologici e sanitari centrati sul sostegno
alle relazioni di coppia e genitoriali. […]

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MESSAGGIO URBI ET ORBI DEL SANTO PADRE FRANCESCO PASQUA 2022

[…] Porto nel cuore tutte le numerose vittime ucraine, i milioni di rifugiati e di
sfollati interni, le famiglie divise, gli anziani rimasti soli, le vite spezzate e le città
rase al suolo. Ho negli occhi lo sguardo dei bambini rimasti orfani e che fuggono
dalla guerra. Guardandoli non possiamo non avvertire il loro grido di dolore, insieme
a quello dei tanti altri bambini che soffrono in tutto il mondo: quelli che muoiono di
fame o per assenze di cure, quelli che sono vittime di abusi e violenze e quelli a cui
è stato negato il diritto di nascere.
Nel dolore della guerra non mancano anche segni incoraggianti, come le porte
aperte di tante famiglie e comunità che in tutta Europa accolgono migranti e
rifugiati. Questi numerosi atti di carità diventino una benedizione per le nostre
società, talvolta degradate da tanto egoismo e individualismo, e contribuiscano a
renderle accoglienti per tutti. […]