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VIA CRUCIS AL COLOSSEO PREGHIERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Signore Gesù, aiutaci a vedere nella Tua Croce tutte le croci del mondo: la croce delle persone affamate di pane e di amore; la croce delle persone sole e abbandonate perfino dai propri figli e parenti; la croce delle persone assetate di giustizia e di pace; la croce delle persone che non hanno il conforto della fede; la croce degli anziani che si trascinano sotto il peso degli anni e della solitudine; la croce dei migranti che trovano le porte chiuse a causa della paura e dei cuori blindati dai calcoli politici; la croce dei piccoli, feriti nella loro innocenza e nella loro purezza; la croce dell’umanità che vaga nel buio dell’incertezza e nell’oscurità della cultura del momentaneo; la croce delle famiglie spezzate dal tradimento, dalle seduzioni del maligno o dall’omicida leggerezza e dall’egoismo; la croce dei consacrati che cercano instancabilmente di portare la Tua luce nel mondo e si sentono rifiutati, derisi e umiliati; la croce dei consacrati che, strada facendo, hanno dimenticato il loro primo amore; la croce dei tuoi figli che, credendo in Te e cercando di vivere secondo la Tua parola, si trovano emarginati e scartati perfino dai loro famigliari e dai loro coetanei; la croce delle nostre debolezze, delle nostre ipocrisie, dei nostri tradimenti, dei nostri peccati e delle nostre numerose promesse infrante; la croce della Tua Chiesa che, fedele al Tuo Vangelo, fatica a portare il Tuo amore perfino tra gli stessi battezzati; la croce della Chiesa, la Tua sposa, che si sente assalita continuamente dall’interno e dall’esterno; la croce della nostra casa comune che appassisce seriamente sotto i nostri occhi egoistici e accecati dall’avidità e dal potere. Signore Gesù, ravviva in noi la speranza della risurrezione e della Tua definitiva vittoria contro ogni male e ogni morte. Amen!

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VENERDÌ SANTO PASSIONE DEL SIGNORE VIA CRUCIS PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE FRANCESCO

II Stazione Gesù prende la croce […]Signore Gesù, è facile portare il crocifisso al collo o appenderlo come ornamento sulle pareti delle nostre belle cattedrali o delle nostre case, ma non è altrettanto facile incontrare e riconoscere i nuovi crocifissi di oggi: i senza fissa dimora, i giovani senza speranza, senza lavoro e senza prospettive, gli immigrati costretti a vivere nelle baracche ai margini della nostre società, dopo aver affrontato sofferenze inaudite. Purtroppo questi accampamenti, senza sicurezza, vengono bruciati e rasi al suolo insieme ai sogni e alle speranze di migliaia di donne e uomini emarginati, sfruttati, dimenticati. Quanti bambini, poi, sono discriminati a causa della loro provenienza, del colore della loro pelle o del loro ceto sociale! Quante mamme soffrono l’umiliazione nel vedere i loro figli derisi ed esclusi dalle opportunità dei loro coetanei e compagni di scuola!Ti ringraziamo, Signore, perché ci hai dato l’esempio con la tua stessa vita di come si manifesta l’amore vero e disinteressato verso il prossimo, particolarmente verso i nemici o semplicemente verso chi non è come noi. Signore Gesù, quante volte, anche noi, come tuoi discepoli ci siamo dichiarati apertamente tuoi seguaci nei momenti in cui operavi guarigioni e prodigi, quando sfamavi la folla e perdonavi i peccati. Ma non è stato altrettanto facile capirti quando parlavi di servizio e di perdono, di rinuncia e sofferenza. Aiutaci a saper mettere sempre la nostra vita al servizio degli altri.[…] V Stazione Il Cireneo aiuta Gesù a portare la croce […]Signore Gesù, sulla via del Calvario hai sentito forte il peso e la fatica di portare quella ruvida croce di legno. Invano hai sperato nel gesto di aiuto da parte di un amico, di uno dei tuoi discepoli, di una delle tante persone di cui hai alleviato le sofferenze. Purtroppo solo uno sconosciuto, Simone di Cirene, per obbligo, ti ha dato una mano. Dove sono oggi i nuovi cirenei del terzo millennio? Dove li troviamo? Vorrei ricordare l’esperienza di un gruppo di religiose di diverse nazionalità, provenienze e appartenenze con le quali, da oltre diciassette anni, ogni sabato visitiamo a Roma un centro per donne immigrate prive di documenti, donne spesso giovani, in attesa di conoscere il loro destino, in bilico fra espulsione e possibilità di rimanere. Quanta sofferenza incontriamo, ma anche quanta gioia in queste donne nel trovarsi di fronte religiose provenienti dai loro Paesi, che parlano le loro lingue, che asciugano le loro lacrime, che condividono momenti di preghiera e di festa, che rendono meno duri i lunghi mesi trascorsi tra sbarre di ferro e asfalti di cemento!Per tutti i cirenei della nostra storia. Perché non venga mai meno in loro il desiderio di accoglierti sotto le sembianze degli ultimi della terra, coscienti che accogliendo gli ultimi della nostra società accogliamo te. Siano questi samaritani portavoce di chi non ha voce.[…] VIII Stazione Gesù incontra le donne […]La situazione sociale, economica e politica dei migranti e delle vittime di tratta di esseri umani ci interroga e ci scuote. Dobbiamo avere il coraggio, come afferma con forza Papa Francesco, di denunciare la tratta di esseri umani quale crimine contro l’umanità. Tutti noi, specialmente i cristiani, dobbiamo crescere nella consapevolezza che tutti siamo responsabili del problema e tutti possiamo e dobbiamo essere parte della soluzione. A tutti, ma soprattutto a noi donne, è richiesta la sfida del coraggio. Il coraggio di saper vedere e agire, singolarmente e come comunità. Soltanto mettendo insieme le nostre povertà, esse potranno diventare una grande ricchezza, capace di cambiare la mentalità e di alleviare le sofferenze dell’umanità. Il povero, lo straniero, il diverso non deve essere visto come un nemico da respingere o da combattere ma, piuttosto, come un fratello o una sorella da accogliere e da aiutare. Essi non sono un problema, bensì una preziosa risorsa per le nostre cittadelle blindate dove il benessere e il consumo non alleviano la crescente stanchezza e fatica. Signore, insegnaci ad avere il tuo sguardo. Quello sguardo di accoglienza e misericordia con cui vedi i nostri limiti e le nostre paure. Aiutaci a guardare così alle divergenze di idee, abitudini, vedute. Aiutaci a riconoscerci parte della stessa umanità e a farci promotori di cammini arditi e nuovi di accoglienza del diverso, per creare insieme comunità, famiglia, parrocchie e società civile.[…] IX Stazione Gesù cade la terza volta […]Signore, per la terza volta sei caduto, sfinito e umiliato, sotto il peso della croce. Proprio come tante ragazze, costrette sulle strade da gruppi di trafficanti di schiavi, che non reggono alla fatica e all’umiliazione di vedere il proprio giovane corpo manipolato, abusato, distrutto, insieme ai loro sogni. Quelle giovani donne si sentono come sdoppiate: da una parte cercate e usate, dall’altra respinte e condannate da una società che rifiuta di vedere questo tipo di sfruttamento, causato dall’affermazione della cultura dell’usa-e-getta. Una delle tante notti passate sulle strade a Roma, cercavo una giovane giunta da poco in Italia. Non vedendola nel suo gruppo, la chiamavo insistentemente per nome: “Mercy!”. Nel buio, l’ho scorta accovacciata e addormentata sul ciglio della strada. Al mio richiamo s’è svegliata e m’ha detto che non ne poteva più. “Sono sfinita”, ripeteva… Ho pensato a sua madre: se sapesse che cosa è accaduto alla figlia, piangerebbe tutte le sue lacrime. Signore, quante volte ci hai rivolto questa domanda scomoda: “Dov’è tuo fratello? Dov’è tua sorella?”. Quante volte ci hai ricordato che il loro grido straziante era giunto fino a te? Aiutaci a condividere la sofferenza e l’umiliazione di tante persone trattate come scarto. È troppo facile condannare esseri umani e situazioni di disagio che umiliano il nostro falso pudore, ma non è altrettanto facile assumerci le nostre responsabilità come singoli, come governi e anche come comunità cristiane.[…] X Stazione Gesù è spogliato delle sue vesti […]Denaro, benessere, potere. Sono gli idoli di ogni tempo. Anche e soprattutto del nostro, che si vanta degli enormi passi avanti fatti nel riconoscimento dei diritti della persona. Tutto è acquistabile, compreso il corpo dei minorenni, derubati dalla loro dignità e dal loro futuro. Abbiamo dimenticato la centralità dell’essere umano, la sua dignità, bellezza, forza. Mentre nel mondo si vanno alzando muri e barriere, vogliamo ricordare e ringraziare coloro che con ruoli diversi, in questi ultimi mesi, hanno rischiato la loro stessa vita, particolarmente nel Mar Mediterraneo, per salvare quella di tante famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità. Esseri umani in fuga da povertà, dittature, corruzione, schiavitù. Aiutaci, Signore, a riscoprire la bellezza e la ricchezza che ogni persona e ogni popolo racchiudono in sé come tuo dono unico e irripetibile, da mettere a servizio della società intera e non per raggiungere interessi personali. Ti preghiamo, Gesù, affinché il tuo esempio e il tuo insegnamento di misericordia e di perdono, di umiltà e di pazienza ci renda un po’ più umani e, dunque, più cristiani.[…] XI Stazione Gesù è inchiodato sulla croce […]La nostra società proclama l’uguaglianza in diritti e dignità di tutti gli esseri umani. Ma pratica e tollera la disuguaglianza. Ne accetta perfino le forme più estreme. Uomini, donne e bambini sono comprati e venduti come schiavi dai nuovi mercanti di esseri umani. Le vittime della tratta sono poi sfruttate da altri individui. E infine gettate via, come merce senza valore. Quanti si fanno ricchi divorando la carne e il sangue dei poveri! Signore, quante persone ancora oggi sono state inchiodate su una croce, vittime di uno sfruttamento disumano, private della dignità, della libertà, del futuro. Il loro grido di aiuto ci interpella come uomini e donne, come governi, come società e come Chiesa. Come è possibile che continuiamo a crocifiggerti, rendendoci complici della tratta di esseri umani? Donaci occhi per vedere e un cuore per sentire le sofferenze di tante persone che ancora oggi sono inchiodate sulla croce dai nostri sistemi di vita e di consumo.[…] XII Stazione Gesù muore sulla croce […]Anche tu, Signore, hai sentito, sulla croce, il peso dello scherno, della derisione, degli insulti, delle violenze, dell’abbandono, dell’indifferenza. Solo Maria tua madre e altre poche discepole sono rimaste là, testimoni della tua sofferenza e della tua morte. Il loro esempio ci ispiri a impegnarci a non far sentire la solitudine a quanti agonizzano oggi nei troppi calvari sparsi per il mondo, tra cui i campi di raccolta simili a lager nei Paesi di transito, le navi a cui viene rifiutato un porto sicuro, le lunghe trattative burocratiche per la destinazione finale, i centri di permanenza, gli hot spot, i campi per lavoratori stagionali. Signore, ti preghiamo: aiutaci a farci prossimi ai nuovi crocifissi e disperati del nostro tempo. Insegnaci ad asciugare le loro lacrime, a confortarli come hanno saputo fare Maria e le altre donne sotto la tua croce.[…] XIII Stazione Gesù è deposto dalla croce […]Chi ricorda, in quest’era di notizie bruciate alla svelta, quelle ventisei giovani nigeriane inghiottite dalle onde, i cui funerali sono stati celebrati a Salerno? È stato duro e lungo il loro calvario. Prima la traversata del deserto del Sahara, ammassate su bus di fortuna. Poi la sosta forzata negli spaventosi centri di raccolta in Libia. Infine il salto nel mare, dove hanno trovato la morte alle porte della “terra promessa”. Due di loro portavano in grembo il dono di una nuova vita, bimbi che non vedranno mai la luce del sole. Ma la loro morte, come quella di Gesù deposto dalla croce non è stata vana. Tutte queste vite affidiamo alla misericordia del Padre nostro e di tutti, ma soprattutto Padre dei poveri, dei disperati e degli umiliati. Signore, in quest’ora, sentiamo risuonare ancora una volta il grido che Papa Francesco levò da Lampedusa, meta del suo primo viaggio apostolico: «Chi ha pianto?». E ora dopo infiniti naufragi, continuiamo a gridare: «Chi ha pianto?». Chi ha pianto?, ci domandiamo di fronte a quelle 26 bare allineate e sovrastate da una rosa bianca? Solo cinque di loro sono state identificate. Con o senza nome, tutte, però, sono nostre figlie e sorelle. Tutte meritano rispetto e ricordo. Tutte ci chiedono di sentirci responsabili: istituzioni, autorità e noi pure, con il nostro silenzio e la nostra indifferenza.[…] XIV Stazione Gesù viene posto nel sepolcro […]Il deserto e i mari sono diventati i nuovi cimiteri di oggi. Di fronte a queste morti non ci sono risposte. Ci sono, però, responsabilità. Fratelli che lasciano morire altri fratelli. Uomini, donne, bambini che non abbiamo potuto o voluto salvare. Mentre i governi discutono, chiusi nei palazzi del potere, il Sahara si riempie di scheletri di persone che non hanno resistito alla fatica, alla fame, alla sete. Quanto dolore costano i nuovi esodi! Quanta crudeltà si accanisce su chi fugge: i viaggi della disperazione, i ricatti e le torture, il mare trasformato in tomba d’acqua. Signore, facci comprendere che siamo tutti figli dello stesso Padre. Possa la morte del tuo figlio Gesù donare ai Capi delle Nazioni e ai responsabili delle legislazioni la consapevolezza del loro ruolo a difesa di ogni persona creata a tua immagine e somiglianza.[…] Conclusione […]Vorremmo ricordare la storia della piccola Favour, di 9 mesi, partita dalla Nigeria insieme ai suoi giovani genitori in cerca di un futuro migliore in Europa. Durante il lungo e pericoloso viaggio nel Mediterraneo, mamma e papà sono morti insieme ad altre centinaia di persone che si erano affidate a trafficanti senza scrupoli per poter giungere nella “terra promessa”. Solo Favour è sopravvissuta: anche lei, come Mosè, è stata salvata dalle acque. La sua vita diventi luce di speranza nel cammino verso un’umanità più fraterna. Al termine della tua Via Crucis ti preghiamo, Signore, affinché ci insegni a vegliare, insieme a tua Madre e alle donne che ti hanno accompagnato sul Calvario, nell’attesa della tua resurrezione. Essa sia faro di speranza, di gioia, di vita nuova, di fratellanza, di accoglienza e di comunione tra i popoli, le religioni e le leggi. Perché ogni figlio e figlia dell’uomo sia riconosciuto davvero nella sua dignità di figlio e figlia di Dio e mai più trattati da schiavi.[…]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA TRATTA DI PERSONE, ORGANIZZATA DALLA SEZIONE MIGRANTI E RIFUGIATI DEL DICASTERO PER IL SERVIZIO DELLO SVILUPPO UMANO INTEGRALE

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Grazie per avermi invitato a incontrarvi al termine del vostro convegno dedicato alla attuazione degli Orientamenti Pastorali sulla Tratta di Persone, pubblicati dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e da me approvati. Ringrazio P. Michael Czerny per le parole rivoltemi a nome di tutti i partecipanti. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). In questa frase del Vangelo di Giovanni è riassunta la missione di Gesù: offrire a tutti gli uomini e le donne di ogni epoca la vita in pienezza, secondo il disegno del Padre. Il Figlio di Dio si è fatto uomo per indicare a tutti gli esseri umani il cammino di realizzazione della loro umanità, in conformità alla unicità e irripetibilità di ciascuno. Purtroppo il mondo presente è tristemente contraddistinto da situazioni che ostacolano l’adempimento di questa missione. Come evidenziano gli Orientamenti Pastorali sulla Tratta di Persone, «i nostri tempi hanno segnato una crescita dell’individualismo e dell’egocentrismo, atteggiamenti che tendono a considerare gli altri in una prospettiva meramente utilitaristica, attribuendo ad essi un valore secondo criteri di convenienza e vantaggio personale» (n. 17). Si tratta essenzialmente di quella tendenza alla mercificazione dell’altro, che ho più volte denunciato.[1] Tra le manifestazioni più drammatiche di questa mercificazione va annoverata la tratta di persone. Essa, nelle sue molteplici forme, costituisce una ferita «nel corpo dell’umanità contemporanea»,[2] una piaga profonda nell’umanità di chi la subisce e di chi la attua. La tratta, infatti, deturpa l’umanità della vittima, offendendo la sua libertà e dignità. Ma, al tempo stesso, essa disumanizza chi la compie, negandogli l’accesso alla “vita in abbondanza”. La tratta, infine, danneggia gravemente l’umanità nel suo insieme, lacerando la famiglia umana e anche il Corpo di Cristo. La tratta – dicevamo – costituisce una ingiustificabile violazione della libertà e della dignità delle vittime, dimensioni costitutive dell’essere umano voluto e creato da Dio. Per questo essa è da ritenersi un crimine contro l’umanità.[3] E questo senza dubitare. La medesima gravità, per analogia, dev’essere imputata a tutti i vilipendi della libertà e dignità di ogni essere umano, sia questi un connazionale o uno straniero. Chi si macchia di questo crimine reca danno non solo agli altri, ma anche a sé stesso. Infatti, ognuno di noi è creato per amare e prendersi cura dell’altro, e questo raggiunge il suo culmine nel dono di sé: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Nella relazione che instauriamo con gli altri ci giochiamo la nostra umanità, avvicinandoci o allontanandoci dal modello di essere umano voluto da Dio Padre e rivelato nel Figlio incarnato. Pertanto, ogni scelta contraria alla realizzazione del progetto di Dio su di noi è tradimento della nostra umanità e rinuncia alla “vita in abbondanza” offerta da Gesù Cristo. È prendere la scala in discesa, andare in giù, diventare animali. Tutte le azioni che si prefiggono di restaurare e promuovere la nostra umanità e quella degli altri sono in linea con la missione della Chiesa, quale continuazione della missione salvifica di Cristo. E tale valenza missionaria è evidente nella lotta contro ogni forma di tratta e nell’impegno proteso verso il riscatto dei sopravvissuti; una lotta e un impegno che hanno effetti benefici anche sulla nostra stessa umanità, aprendoci la strada verso la pienezza della vita, fine ultimo della nostra esistenza. La vostra presenza, cari fratelli e sorelle, è segno tangibile dell’impegno che molte Chiese locali hanno generosamente assunto in questo ambito pastorale. Sono degne di ammirazione le numerose iniziative che vi vedono in prima linea al fine di prevenire la tratta, proteggere i sopravvissuti e perseguire i colpevoli. Sento di dover esprimere un particolare ringraziamento alle tante congregazioni religiose che hanno operato – e continuano a operare, anche in rete tra loro – come “avanguardie” dell’azione missionaria della Chiesa contro ogni forma di tratta. Si è fatto e si sta facendo molto, ma molto rimane ancora da fare. Di fronte a un fenomeno tanto complesso quanto oscuro come la tratta di persone, è essenziale assicurare il coordinamento delle diverse iniziative pastorali, tanto a livello locale, quanto a livello internazionale. Gli uffici preposti delle Chiese locali, le congregazioni religiose e le organizzazioni cattoliche sono chiamati a condividere esperienze e conoscenze e ad unire le loro forze, in un’azione sinergica che interessi i Paesi di origine, transito e destinazione delle persone oggetto di tratta. Per rendere più adeguata ed efficace la sua azione, la Chiesa deve sapersi avvalere dell’aiuto di altri attori politici e sociali. La stipulazione di collaborazioni strutturate con istituzioni e altre organizzazioni della società civile sarà garanzia di risultati più incisivi e duraturi. Vi ringrazio di cuore per quanto state già facendo a favore di tanti nostri fratelli e sorelle, vittime innocenti della mercificazione della persona umana, diciamo la parola, senza vergogna: “mercificazione della persona umana”. Dobbiamo dirla e sottolinearla perché questa è la verità. Vi incoraggio a perseverare in questa missione, spesso rischiosa e anonima. Rischiosa anche per i laici, tanto, ma anche per i religiosi. È rischiosa anche dentro la congregazione, perché ti guardano storto! Dicono di sì le suore. È rischiosa, ma bisogna andare avanti. È anonima, ma proprio per questo prova irrefutabile della vostra gratuità. Attraverso l’intercessione di Santa Giuseppina Bakhita, ridotta in schiavitù da bambina, venduta e comprata, ma poi liberata e “fiorita” in pienezza come figlia di Dio, prego per voi, invoco su tutti voi e su quanti si impegnano nella lotta contro la tratta abbondanti benedizioni. Vi assicuro il mio ricordo. Prego per voi. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

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RITIRO SPIRITUALE PER LE AUTORITÀ CIVILI ED ECCLESIASTICHE DEL SUD SUDAN DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

I miei pensieri vanno innanzitutto alle persone che hanno perso i loro cari e le loro case, alle famiglie che si sono separate e mai più ritrovate, a tutti i bambini e agli anziani, alle donne e agli uomini che soffrono terribilmente a causa dei conflitti e delle violenze che hanno seminato morte, fame, dolore e pianto. Questo grido dei poveri e dei bisognosi lo abbiamo sentito fortemente, esso penetra i cieli fino al cuore di Dio Padre che vuole dar loro giustizia e donare loro la pace. A queste anime sofferenti penso spesso e imploro che il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre, che possano tornare nelle loro case e vivere in serenità. Supplico Dio onnipotente che la pace venga nella vostra terra, e mi rivolgo anche agli uomini di buona volontà affinché la pace venga nel vostro popolo.

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INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO CON I DOCENTI E CON GLI STUDENTI DEL COLLEGIO SAN CARLO DI MILANO

DOMANDA 2 – PROF.SSA SILVIA PERUCCA (DOCENTE) Buongiorno Santo Padre, mi chiamo Silvia e da 13 anni insegno presso il Liceo Classico del Collegio San Carlo. Noi docenti di tutti gli ordini di scuola ci troviamo quotidianamente di fronte a sfide educative sempre più grandi. Viviamo infatti in una società multietnica e multiculturale, proiettata verso il futuro e che offre costantemente possibilità di incontro e confronto con persone, strumenti e metodi educativi diversi, basti pensare alla tecnologia e alle opportunità che essa offre ma anche agli inevitabili rischi che porta con sé. Come educatori desideriamo insegnare ai nostri studenti un modo per cogliere al meglio queste opportunità aprendoci all’altro senza temere gli eventuali contrasti, forti della consapevolezza che ciò non significa perdere la propria identità, bensì arricchirla. Oggi vorremmo quindi chiederLe come possiamo trasmettere al meglio ai nostri studenti i valori radicati nella cultura cristiana e al tempo stesso come possiamo conciliarli con l’esigenza sempre più ineludibile di educare al confronto e all’incontro con le altre culture. Grazie. RISPOSTA Grazie a te. Parto dall’ultima parte della domanda per poi risalire: “Come possiamo conciliarli con l’esigenza sempre più ineludibile di educare al confronto e all’incontro” e “Come possiamo trasmettere al meglio ai nostri studenti i valori radicati nella cultura cristiana?”. La parola chiave qui è radicati. E per avere delle radici, ci vogliono due cose: consistenza, cioè terra – un albero ha delle radici perché ha terra – e memoria. Il male di oggi secondo gli analisti, gli studiosi – seguendo la scuola di Bauman – è la liquidità. L’ultimo libro di Bauman si chiama “Nati liquidi”, e dice che voi giovani siete nati liquidi, senza consistenza. Ma la traduzione tedesca – e questa è una curiosità – invece di dire “nati liquidi”, dice “sradicati”. La liquidità si fa quando tu non sei capace di trovare la tua identità, cioè le tue radici, perché non sei capace di andare oltre con la memoria, e confrontarti con la tua storia, con la storia del tuo popolo, con la storia dell’umanità, con la storia del cristianesimo: i valori sono quelli! Questo non significa che io devo fare una chiusura del presente e coprirmi del passato e rimanere lì per paura. No: questa è pusillanimità… Ma dovete andare alle radici, prendere il succo delle radici e portarle avanti con la crescita. La gioventù non può andare avanti se non è radicata. I valori sono radici, ma con questo tu devi crescere. Annaffiare quelle radici con il tuo lavoro, con il confronto con la realtà, ma crescere con la memoria delle radici. Per questo consiglio tanto di parlare con i vecchi: difendo la mia categoria, ma dobbiamo parlare con i vecchi, perché loro sono la memoria del popolo, della famiglia, della storia. “Sì, ma io parlo con papà e mamma” Questo è buono, ma la generazione intermedia non è tanto capace – oggi – di trasmettere i valori, le radici come gli anziani. Io ricordo nell’altra diocesi, quando alcune volte dicevo ai ragazzi: “Andiamo a fare qualcosa? Andiamo in questa casa di riposo a suonare la chitarra per aiutare gli anziani?”. “Padre, che noioso. . . Andiamo un po’…” I giovani andavano lì, incominciavano con la chitarra, e i vecchi che erano addormentati incominciavano a svegliarsi, a fare delle domande: i giovani ai vecchi, i vecchi ai giovani. Alla fine non volevano andarsene. Ma quale era il fascino dei vecchi? Le radici! Perché i vecchi facevano vivere loro i valori della loro storia, della loro personalità, valori che sono promessa per andare avanti. Per questo sono importanti i valori radicati – uso la tua parola: è tanto importante. Poi, una seconda cosa è la propria identità. Noi non possiamo fare una cultura del dialogo se non abbiamo identità, perché il dialogo sarebbe come l’acqua che se ne va. Io con la mia identità dialogo con te che hai la tua identità, e ambedue andiamo avanti. Ma è importante essere cosciente della mia identità e sapere chi sono io e che sono differente dagli altri. C’è gente che non sa quale sia la sua identità e vive delle mode; non ha luce interiore: vive dei fuochi d’artificio che durano cinque minuti e poi finiscono. Conoscere la propria identità. Questo è molto importante. Perché tu hai avuto questa reazione o quell’altra? “Perché io sono così…”: conoscere l’identità, la tua storia, la tua appartenenza a un popolo. Noi non siamo funghi, nati soli: siamo gente nata in famiglia, in un popolo e tante volte questa cultura liquida ci fa dimenticare l’appartenenza a un popolo. Una critica che io farei, è la mancanza di patriottismo. Patriottismo non è solo andare a cantare l’inno nazionale o a fare un omaggio alla bandiera: il patriottismo è appartenenza a una terra, a una storia, a una cultura … e questo è l’identità. Identità significa appartenenza. Non si può avere identità senza appartenenza. Se io voglio sapere chi sono io, devo farmi la domanda: “A chi appartengo?”. E la terza cosa: tu all’inizio hai parlato di una società multietnica e multiculturale. Ringraziamo Dio di questo! Ringraziamo Dio, perché è ricchezza il dialogo fra le culture, fra le persone, fra le etnie … Una volta ho sentito un uomo, un padre di famiglia, che era felice quando i suoi figli giocavano con i figli di altra gente, con altra cultura… gente che forse noi sottovalutiamo e anche disprezziamo, ma perché? Forse i tuoi figli non cresceranno puri nella tua razza? “Padre, che cosa più pura dell’acqua distillata? – mi ha detto una volta un uomo” . “Ma a me … non sento il sapore dell’acqua distillata … non mi serve per dissetarmi”. L’acqua della vita, di questa multietnicità, di questa multiculturalità. Non avere paura. E qui tocco una piaga: non avere paura dei migranti. I migranti sono coloro che ci portano ricchezze, sempre. Anche l’Europa è stata fatta da migranti! I barbari, i celti… tutti questi che venivano dal Nord e hanno portato le culture, l’Europa si è accresciuta così, con la contrapposizione delle culture. Ma oggi, state attenti a questo: oggi c’è la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità. “Ma, Padre, dobbiamo accogliere tutti i migranti?” Il cuore aperto per accogliere, prima di tutto. Se io ho il cuore razzista, devo esaminare bene perché e convertirmi. Secondo: i migranti vanno ricevuti, accompagnati, integrati; che prendano i nostri valori e noi conosciamo i loro, l’interscambio di valori. Ma per integrare, i governanti devono fare dei calcoli: “Ma il mio Paese ha capacità per integrare soltanto questo”. Dialoga con gli altri Paesi e cercate insieme le soluzioni. Questa è la bellezza della generosità umana: accogliere per diventare più ricchi. Più ricchi di cultura, più ricchi nella crescita. Ma alzare muri non serve. Ho citato poco tempo fa quella bella frase di Ivo Andrić nel romanzo “Il ponte sulla Drina”, quando lui parla dei ponti e dice che i ponti sono una cosa così ineffabile e tanto grande che sono angeli, non sono cose umane. Dice così: “Il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini possano comunicare”. La grandezza di costruire ponti con la gente è per la comunicazione, e noi cresciamo con la comunicazione. Invece, chiuderci in noi ci porta ad essere non comunicanti, ad essere “acqua distillata”, senza forza. Per questo io vi dico: insegnate ai giovani, aiutate i giovani a crescere nella cultura dell’incontro, capaci di incontrare la gente diversa, le differenze, e a crescere con le differenze: così si cresce, con il confronto, con il confronto buono. C’è un’altra cosa, sottesa a quello che tu dici: oggi in questo nostro mondo occidentale è cresciuta tanto un’altra cultura: la cultura dell’indifferenza. L’indifferentismo che viene da un relativismo: il mio è mio, punto; e dall’abolizione di ogni certezza. La cultura dell’indifferenza è una cultura non creativa, che non ti lascia crescere; invece la cultura dev’essere sempre interessata nei valori, nelle storie degli altri. E questa cultura dell’indifferenza tende a spegnere la persona come un essere autonomo, pensante, per soggiogarlo e affogarlo. State attenti con questa cultura dell’indifferenza. Da qui derivano gli integralismi, i fondamentalismi e lo spirito settario. Questo più o meno dobbiamo pensare: una cultura aperta, che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. Grazie

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA SUL TEMA “RELIGIONI E GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE”

[…] Porgo il mio benvenuto a tutti voi, qui convenuti per questa Conferenza internazionale sulle Religioni e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Sostenibilità e inclusione Quando parliamo di sostenibilità, non possiamo trascurare l’importanza dell’inclusione e dell’ascolto di tutte le voci, specialmente di quelle normalmente emarginate da questo tipo di discussioni, come quelle dei poveri, dei migranti, degli indigeni, dei giovani. Sono lieto di vedere una varietà di partecipanti a questa Conferenza, portatori di una molteplicità di voci, di opinioni e proposte, che possono contribuire a nuovi percorsi di sviluppo costruttivo. È importante che l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile segua la loro effettiva natura originaria che si vuole inclusiva e partecipativa. […]

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CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA PER I PARTECIPANTI AL MEETING “LIBERI DALLA PAURA” OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

[…]Di fronte alle cattiverie e alle brutture del nostro tempo, anche noi, come il popolo d’Israele, siamo tentati di abbandonare il nostro sogno di libertà. Proviamo legittima paura di fronte a situazioni che ci sembrano senza via d’uscita. E non bastano le parole umane di un condottiero o di un profeta a rassicurarci, quando non riusciamo a sentire la presenza di Dio e non siamo capaci di abbandonarci alla sua provvidenza. Così, ci chiudiamo in noi stessi, nelle nostre fragili sicurezze umane, nel circolo delle persone amate, nella nostra routine rassicurante. E alla fine rinunciamo al viaggio verso la Terra promessa per tornare alla schiavitù dell’Egitto. Questo ripiegamento su sé stessi, segno di sconfitta, accresce il nostro timore verso gli “altri”, gli sconosciuti, gli emarginati, i forestieri – che peraltro sono i privilegiati del Signore, come leggiamo in Matteo 25. E questo si nota particolarmente oggi, di fronte all’arrivo di migranti e rifugiati che bussano alla nostra porta in cerca di protezione, sicurezza e un futuro migliore. È vero, il timore è legittimo, anche perché manca la preparazione a questo incontro. Lo dicevo l’anno scorso, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato: «Non è facile entrare nella cultura altrui, mettersi nei panni di persone così diverse da noi, comprenderne i pensieri e le esperienze. E così, spesso, rinunciamo all’incontro con l’altro e alziamo barriere per difenderci». Rinunciare a un incontro non è umano. Siamo chiamati invece a superare la paura per aprirci all’incontro. E per fare questo non bastano giustificazioni razionali e calcoli statistici. Mosè dice al popolo di fronte al Mar Rosso, con un nemico agguerrito che lo incalza alle spalle: «Non abbiate paura», perché il Signore non abbandona il suo popolo, ma agisce misteriosamente nella storia per realizzare il suo piano di salvezza. Mosè parla così semplicemente perché si fida di Dio. L’incontro con l’altro, poi, è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito. E se avessimo ancora qualche dubbio, ecco la sua parola chiara: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt25,40). Può essere compreso in questo senso anche l’incoraggiamento del Maestro ai suoi discepoli: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,27). È davvero Lui, anche se i nostri occhi fanno fatica a riconoscerLo: coi vestiti rotti, con i piedi sporchi, col volto deformato, il corpo piagato, incapace di parlare la nostra lingua… Anche noi, come Pietro, potremmo essere tentati di mettere Gesù alla prova e di chiedergli un segno. E magari, dopo qualche passo titubante verso di Lui, rimanere nuovamente vittime delle nostre paure. Ma il Signore non ci abbandona! Anche se siamo uomini e donne “di poca fede”, Cristo continua a tendere la sua mano per salvarci e permettere l’incontro con Lui, un incontro che ci salva e ci restituisce la gioia di essere suoi discepoli. Se questa è una valida chiave di lettura della nostra storia di oggi, allora dovremmo cominciare a ringraziare chi ci dà l’occasione di questo incontro, ossia gli “altri” che bussano alle nostre porte, offrendoci la possibilità di superare le nostre paure per incontrare, accogliere e assistere Gesù in persona. E chi ha avuto la forza di lasciarsi liberare dalla paura, chi ha sperimentato la gioia di questo incontro è chiamato oggi ad annunciarlo sui tetti, apertamente, per aiutare altri a fare lo stesso, predisponendosi all’incontro con Cristo e la sua salvezza. Fratelli e sorelle, si tratta di una grazia che porta con sé una missione, frutto di affidamento completo al Signore, che è per noi l’unica vera certezza. Per questo, come singoli e come comunità, siamo chiamati a fare nostra la preghiera del popolo redento: «Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza» (Es 15,2). […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MISSIONARI D’AFRICA (PADRI BIANCHI) E ALLE SUORE MISSIONARIE DI NOSTRA SIGNORA D’AFRICA (SUORE BIANCHE)

[…] Lo Spirito Santo faccia di voi dei costruttori di ponti tra gli uomini. Là dove il Signore vi ha mandati, possiate contribuire a far crescere una cultura dell’incontro, essere al servizio di un dialogo che, nel rispetto delle differenze, sa trarre ricchezza dalle diversità degli altri. E vi ringrazio in particolare per il lavoro che avete già compiuto in favore del dialogo con l’Islam, con le sorelle e i fratelli musulmani. Con lo stile e la semplicità del vostro modo di vivere, voi manifestate anche la necessità di prendersi cura della nostra casa comune, la terra. Infine, nella scia del Cardinale Lavigerie, siete chiamati a seminare speranza, lottando contro tutte le odierne forme di schiavitù; facendovi prossimi dei piccoli e dei poveri, di quanti aspettano, nelle periferie delle nostre società, di essere riconosciuti nella loro dignità, di essere accolti, protetti, rialzati, accompagnati, promossi e integrati. […]

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE GALILEO

[…] Cari amici, rivolgo un cordiale saluto a voi, amministratori fiduciari e benefattori della Galileo Foundation, e colgo volentieri questa opportunità per esprimere il mio apprezzamento per il vostro generoso impegno in favore della missione pastorale della Chiesa. Il vostro patrocinio a un’ampia varietà di progetti manifesta in qualche modo l’universalità della Chiesa stessa. Da fedeli laici, secondo le forme di sequela del Signore proprie delle specifiche vocazioni e responsabilità di ciascuno, voi svolgete un prezioso ruolo nel far conoscere il messaggio salvifico del Vangelo alle persone del nostro tempo, specialmente ai nostri fratelli e sorelle più vulnerabili. Vi incoraggio ad andare avanti nell’offrire con generosità una testimonianza così importante. Vorrei soprattutto sottolineare il vostro contributo per aumentare la consapevolezza sulla situazione di coloro che soffrono povertà e sfruttamento, specialmente di quanti sono prigionieri del crimine del traffico di esseri umani. Questo è un compito urgente ed essenziale per i cristiani di oggi. E perciò non è certo una coincidenza il fatto che ci incontriamo nella festa di Santa Giuseppina Bakhita, patrona delle vittime della tratta di esseri umani. Ella conobbe per dolorosa esperienza personale la realtà della schiavitù e le sue conseguenze violente e umilianti. Eppure, per grazia di Dio, lei arrivò a conoscere la vera libertà e la vera gioia. La sua santità di vita è un richiamo non solo ad affrontare con maggiore determinazione le moderne forme di schiavitù, che sono una ferita aperta nel corpo della società, una piaga nella carne di Cristo e un crimine contro l’umanità (cfr Discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale sulla tratta delle persone umane, 10 aprile 2014), ma anche a imparare dal suo grande esempio. Cosa ci dice? Lei ci insegna come dedicarci ai poveri con tenerezza, delicatezza e compassione. Cari amici, nei progetti e nelle attività che state preparando, possiate essere sostenuti da un radicamento sempre più profondo nella preghiera, dall’intercessione di Santa Giuseppina Bakhita e dalla forza che solo lo Spirito Santo può dare. E mentre servite il Signore, invoco da Lui su di voi e sulle vostre famiglie benedizioni di gioia e di pace. Vi ringrazio per le vostre preghiere e vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me. Grazie. […]

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PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE

APPELLO Sabato scorso, vicino all’arcipelago delle Bahamas, è affondato un barcone con a bordo decine di migranti provenienti da Haiti e in cerca di speranza e di un futuro di pace. Il mio pensiero affettuoso va alle famiglie provate dal dolore, nonché al popolo haitiano colpito da questa nuova tragedia. Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per quanti sono drammaticamente scomparsi e per i feriti.