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PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus Cari fratelli e sorelle, ho appreso con dolore la notizia del drammatico naufragio, avvenuto nei giorni scorsi nelle acque del Mediterraneo, in cui hanno perso la vita decine di migranti, tra cui donne e bambini. Rinnovo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con prontezza e decisione, per evitare il ripetersi di simili tragedie e garantire la sicurezza e la dignità di tutti. Vi invito a pregare insieme a me per le vittime e per le loro famiglie. E anche domandare col cuore: “Padre, perché?” [segue minuto di silenzio]

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SANTA MESSA PER I MIGRANTI OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Oggi la Parola di Dio ci parla di salvezza e di liberazione. Salvezza. Durante il suo viaggio da Bersabea a Carran, Giacobbe decide di fermarsi a riposare in un luogo solitario. In sogno, vede una scala che in basso poggia sulla terra e in alto raggiunge il cielo (cfr Gen 28,10-22a). La scala, sulla quale salgono e scendono gli angeli di Dio, rappresenta il collegamento tra il divino e l’umano, che si realizza storicamente nell’incarnazione di Cristo (cfr Gv 1,51), offerta amorosa di rivelazione e di salvezza da parte del Padre. La scala è allegoria dell’iniziativa divina che precede ogni movimento umano. Essa è l’antitesi della torre di Babele, costruita dagli uomini che, con le proprie forze, volevano raggiungere il cielo per diventare dèi. In questo caso, invece, è Dio che “scende”, è il Signore che si rivela, è Dio che salva. E l’Emmanuele, il Dio-con-noi, realizza la promessa di mutua appartenenza tra il Signore e l’umanità, nel segno di un amore incarnato e misericordioso che dona la vita in abbondanza. Di fronte a questa rivelazione, Giacobbe compie un atto di affidamento al Signore, che si traduce in un impegno di riconoscimento e adorazione che segna un momento essenziale nella storia della salvezza. Chiede al Signore di proteggerlo nel difficile viaggio che dovrà proseguire e dice: «Il Signore sarà il mio Dio» (Gen 28,21). Facendo eco alle parole del patriarca, al Salmo abbiamo ripetuto: “Mio Dio, in te confido”. È Lui il nostro rifugio e la nostra fortezza, scudo e corazza, àncora nei momenti di prova. Il Signore è riparo per i fedeli che lo invocano nella tribolazione. Del resto è proprio in questi frangenti che la nostra preghiera si fa più pura, quando ci accorgiamo che valgono poco le sicurezze che offre il mondo e non ci resta che Dio. Solo Dio spalanca il Cielo a chi vive in terra. Solo Dio salva. E questo totale ed estremo affidamento è ciò che accomuna il capo della sinagoga e la donna malata nel Vangelo (cfr Mt 9,18-26). Sono episodi di liberazione. Entrambi si avvicinano a Gesù per ottenere da Lui ciò che nessun altro può dare loro: liberazione dalla malattia e dalla morte. Da una parte abbiamo la figlia di una delle autorità della città; dall’altra abbiamo una donna afflitta da una malattia che fa di lei una reietta, una emarginata, una persona impura. Ma Gesù non fa distinzioni: la liberazione è elargita generosamente in entrambi i casi. Il bisogno pone entrambe, la donna e la fanciulla, tra gli “ultimi” da amare e rialzare. Gesù rivela ai suoi discepoli la necessità di un’opzione preferenziale per gli ultimi, i quali devono essere messi al primo posto nell’esercizio della carità. Sono tante le povertà di oggi; come ha scritto San Giovanni Paolo II, i «“poveri”, nelle molteplici dimensioni della povertà, sono gli oppressi, gli emarginati, gli anziani, gli ammalati, i piccoli, quanti vengono considerati e trattati come “ultimi” nella società» (Esort. ap. Vita consecrata, 82). In questo sesto anniversario della visita a Lampedusa, il mio pensiero va agli “ultimi” che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono. Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea. Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti. Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli. Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! “Non si tratta solo di migranti!”, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata. Viene spontaneo riprendere l’immagine della scala di Giacobbe. In Gesù Cristo il collegamento tra la terra e il Cielo è assicurato e accessibile a tutti. Ma salire i gradini di questa scala richiede impegno, fatica e grazia. I più deboli e vulnerabili devono essere aiutati. Mi piace allora pensare che potremmo essere noi quegli angeli che salgono e scendono, prendendo sottobraccio i piccoli, gli zoppi, gli ammalati, gli esclusi: gli ultimi, che altrimenti resterebbero indietro e vedrebbero solo le miserie della terra, senza scorgere già da ora qualche bagliore di Cielo. Si tratta, fratelli e sorelle, di una grande responsabilità, dalla quale nessuno si può esimere se vogliamo portare a compimento la missione di salvezza e liberazione alla quale il Signore stesso ci ha chiamato a collaborare. So che molti di voi, che sono arrivati solo qualche mese fa, stanno già aiutando i fratelli e le sorelle che sono giunti in tempi più recenti. Voglio ringraziarvi per questo bellissimo segno di umanità, gratitudine e solidarietà.

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PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus Cari fratelli e sorelle, anche se sono passati alcuni giorni, invito a pregare per le povere persone inermi uccise o ferite dall’attacco aereo che ha colpito un centro di detenzione di migranti in Libia. La comunità internazionale non può tollerare fatti così gravi. Prego per le vittime: il Dio della pace accolga i defunti presso di sé e sostenga i feriti. Auspico che siano organizzati in modo esteso e concertato i corridoi umanitari per i migranti più bisognosi. Ricordo anche tutte le vittime delle stragi che recentemente sono state compiute in Afghanistan, Mali, Burkina Faso e Niger. Preghiamo insieme. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI

[…]Similmente, ritengo un bel segno la collaborazione tra Chiesa Cattolica e Patriarcato Ecumenico su altre questioni attuali, come la lotta contro le forme moderne di schiavitù, l’accoglienza e l’integrazione di migranti, profughi e rifugiati e la promozione della pace a vari livelli. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA 41ma SESSIONE DELLA CONFERENZA DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE PER L’ALIMENTAZIONE E L’AGRICOLTURA – FAO

[…] È evidente il collegamento tra fragilità ambientale, l’insicurezza alimentare e i movimenti migratori. L’aumento del numero di rifugiati nel mondo durante gli ultimi anni — è impressionante l’ultima statistica delle Nazioni Unite — ci ha dimostrato che il problema di un paese è il problema di tutta la famiglia umana. È necessario pertanto promuovere uno sviluppo agricolo nelle regioni più vulnerabili, rafforzando la resilienza e la sostenibilità del territorio. E ciò si otterrà soltanto, da una parte, investendo e sviluppando tecnologie e, dall’altra, ideando politiche innovative e solidali per lo sviluppo. […]

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VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO A NAPOLI IN OCCASIONE DEL CONVEGNO “LA TEOLOGIA DOPO VERITATIS GAUDIUM NEL CONTESTO DEL MEDITERRANEO”, PROMOSSO DALLA PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE – SEZIONE SAN LUIGI – DI NAPOLI DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] Il Mediterraneo è da sempre luogo di transiti, di scambi, e talvolta anche di conflitti. Ne conosciamo tanti. Questo luogo oggi ci pone una serie di questioni, spesso drammatiche. Esse si possono tradurre in alcune domande che ci siamo posti nell’incontro interreligioso di Abu Dhabi: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché muri di separazione? Queste e altre questioni chiedono di essere interpretate a più livelli, e domandano un impegno generoso di ascolto, di studio e di confronto per promuovere processi di liberazione, di pace, di fratellanza e di giustizia. Dobbiamo convincerci: si tratta di avviare processi, non di fare definizioni di spazi, occupare spazi… Avviare processi. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL XVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DEI CAPPELLANI DELL’AVIAZIONE CIVILE

E non posso qui non menzionare i migranti e i profughi che raggiungono i maggiori aeroporti con la speranza di poter chiedere asilo o trovare un rifugio, o che sono bloccati in transito. Invito sempre le Chiese locali alla dovuta accoglienza e sollecitudine nei loro confronti, pur se si tratta di una responsabilità diretta delle Autorità civili. Fa parte anche della vostra cura pastorale vigilare che sia sempre tutelata la loro dignità umana e siano salvaguardati i loro diritti, nel rispetto della dignità e delle credenze di ciascuno. Le opere di carità nei loro confronti costituiscono una testimonianza della vicinanza di Dio a tutti i suoi figli.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA DELLA RIUNIONE DELLE OPERE PER L’AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI (R.O.A.C.O.)

[…] Gridano le persone in fuga ammassate sulle navi, in cerca di speranza, non sapendo quali porti potranno accoglierli, nell’Europa che però apre i porti alle imbarcazioni che devono caricare sofisticati e costosi armamenti, capaci di produrre devastazioni che non risparmiano nemmeno i bambini. Questa è l’ipocrisia della quale ho parlato. Siamo qui consapevoli che il grido di Abele sale fino a Dio, come ricordavamo proprio a Bari un anno fa, pregando insieme per i nostri fedeli del Medio Oriente. […]

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO IN ROMANIA (31 MAGGIO – 2 GIUGNO 2019) INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] Occorre, al tempo stesso, riconoscere che le trasformazioni rese necessarie dall’apertura di una nuova era hanno comportato – insieme alle positive conquiste – il sorgere di inevitabili scogli da superare e di conseguenze non sempre facili da gestire per la stabilità sociale e per la stessa amministrazione del territorio. Penso, in primo luogo, al fenomeno dell’emigrazione, che ha coinvolto diversi milioni di persone che hanno lasciato la casa e la Patria per cercare nuove opportunità di lavoro e di vita dignitosa. Penso allo spopolamento di tanti villaggi, che hanno visto in pochi anni partire una considerevole parte dei loro abitanti; penso alle conseguenze che tutto questo può avere sulla qualità della vita in quei territori e all’indebolimento delle vostre più ricche radici culturali e spirituali che vi hanno sostenuto nei momenti più brutti, nelle avversità. Rendo omaggio ai sacrifici di tanti figli e figlie della Romania che, con la loro cultura, il loro patrimonio di valori e il loro lavoro, arricchiscono i Paesi in cui sono emigrati, e con il frutto del loro impegno aiutano le loro famiglie rimaste in patria. Pensare ai fratelli e alle sorelle che sono all’estero è un atto di patriottismo, è un atto di fratellanza, è un atto di giustizia. Continuate a farlo. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DA CARITAS INTERNATIONALIS

Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle, sono lieto di avere questa opportunità di incontrarvi in occasione della vostra XXI Assemblea Generale. Ringrazio il Cardinale Tagle per le parole che mi ha indirizzato e rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, alla grande famiglia della Caritas e a quanti nei vostri rispettivi Paesi si impegnano nel servizio della carità. In questi giorni, provenendo da ogni parte del mondo, avete vissuto un momento significativo nella vita della Confederazione, finalizzato non solo ad adempiere ai doveri statutari, ma anche a rafforzare i vincoli di comunione reciproca nell’adesione al Successore di Pietro, a motivo dello speciale legame esistente tra la vostra organizzazione e la Sede Apostolica. Infatti, San Giovanni Paolo II volle conferire a Caritas Internationalis la personalità giuridica canonica pubblica, chiamandovi a condividere la missione stessa della Chiesa nel servizio della carità. Oggi vorrei soffermarmi a riflettere brevemente con voi su tre parole-chiave: carità, sviluppo integrale e comunione. Considerata la missione che la Caritas è chiamata a svolgere nella Chiesa, è importante tornare sempre a riflettere assieme sul significato della stessa parola carità. La carità non è una sterile prestazione oppure un semplice obolo da devolvere per mettere a tacere la nostra coscienza. Quello che non dobbiamo mai dimenticare è che la carità ha la sua origine e la sua essenza in Dio stesso (cfr Gv 4,8); la carità è l’abbraccio di Dio nostro Padre ad ogni uomo, in modo particolare agli ultimi e ai sofferenti, i quali occupano nel suo cuore un posto preferenziale. Se guardassimo alla carità come a una prestazione, la Chiesa diventerebbe un’agenzia umanitaria e il servizio della carità un suo “reparto logistico”. Ma la Chiesa non è nulla di tutto questo, è qualcosa di diverso e di molto più grande: è, in Cristo, il segno e lo strumento dell’amore di Dio per l’umanità e per tutto il creato, nostra casa comune. La seconda parola è sviluppo integrale. Nel servizio della carità è in gioco la visione dell’uomo, la quale non può ridursi a un solo aspetto ma coinvolge tutto l’essere umano in quanto figlio di Dio, creato a sua immagine. I poveri sono anzitutto persone,e nei loro volti si cela quello di Cristo stesso. Essi sono sua carne, segni del suo corpo crocifisso, e noi abbiamo il dovere di raggiungerli anche nelle periferie più estreme e nei sotterranei della storia con la delicatezza e la tenerezza della Madre Chiesa. Dobbiamo puntare alla promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini affinché siano autori e protagonisti del proprio progresso (cfr S. Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 34). Il servizio della carità deve, pertanto, scegliere la logica dello sviluppo integrale come antidoto alla cultura dello scarto e dell’indifferenza. E rivolgendomi a voi, che siete la Caritas, voglio ribadire che «la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 200). Voi lo sapete bene: la grandissima parte dei poveri «possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede» (ibid.). Pertanto, come ci insegna anche l’esempio dei Santi e delle Sante della carità, «l’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria» (ibid.). La terza parola è comunione, che è centrale nella Chiesa, definisce la sua essenza. La comunione ecclesiale nasce dall’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, mediante l’annuncio della Chiesa, raggiunge gli uomini e crea comunione con Lui stesso e con il Padre e lo Spirito Santo (cfr 1 Gv 1,3). È la comunione in Cristo e nella Chiesa che anima, accompagna, sostiene il servizio della carità sia nelle comunità stesse sia nelle situazioni di emergenza in tutto il mondo. In questo modo, la diakonia della carità diventa strumento visibile di comunione nella Chiesa (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 4). Per questo, come Confederazione siete accompagnati dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che ringrazio per il lavoro che svolge ordinariamente e, in particolare, per il sostegno alla missione ecclesiale di Caritas Internationalis. Ho detto che siete accompagnati: non siete “sotto”. Riprendendo questi tre aspetti fondamentali per vivere nella Caritas, ossia la carità, lo sviluppo integrale e la comunione, vorrei esortarvi a viverli con stile di povertà, di gratuità e di umiltà. Non si può vivere la carità senza avere relazioni interpersonali con i poveri: vivere con i poveri e per i poveri. I poveri non sono numeri ma persone. Perché vivendo con i poveri impariamo a praticare la carità con lo spirito di povertà, impariamo che la carità è condivisione. In realtà, non solo la carità che non arriva alla tasca risulta una falsa carità, ma la carità che non coinvolge il cuore, l’anima e tutto il nostro essere è un’idea di carità ancora non realizzata. Occorre essere sempre attenti a non cadere nella tentazione di vivere una carità ipocrita o ingannatrice, una carità identificata con l’elemosina, con la beneficienza, oppure come “pillola calmante” per le nostre inquiete coscienze. Ecco perché si deve evitare di assimilare l’operato della carità con l’efficacia filantropica o con l’efficienza pianificatrice oppure con l’esagerata ed effervescente organizzazione. Essendo la carità la più ambita delle virtù alla quale l’uomo possa aspirare per poter imitare Dio, risulta scandaloso vedere operatori di carità che la trasformano in business: parlano tanto della carità ma vivono nel lusso o nella dissipazione oppure organizzano Forum sulla carità sprecando inutilmente tanto denaro. Fa molto male constatare che alcuni operatori di carità si trasformano in funzionari e burocrati. Ecco perché vorrei ribadire che la carità non è un’idea o un pio sentimento, ma è l’incontro esperienziale con Cristo; è il voler vivere con il cuore di Dio che non ci chiede di avere verso i poveri un generico amore, affetto, solidarietà, ecc., ma di incontrare in loro Lui stesso (cfr Mt 25,31-46), con lo stile di povertà. Cari amici, vi ringrazio, a nome di tutta la Chiesa, per quello che fate con e per tanti fratelli e sorelle che fanno fatica, che sono lasciati ai margini, che sono oppressi dalle schiavitù dei nostri giorni, e vi incoraggio ad andare avanti! Possiate tutti voi, in comunione con le comunità ecclesiali a cui appartenete e di cui siete espressione, continuare a dare con gioia il vostro contributo perché cresca nel mondo il Regno di Dio, Regno di giustizia, di amore e di pace. Vi nutra e vi illumini sempre il Vangelo, e vi guidi l’insegnamento e la cura pastorale della madre Chiesa. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.