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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO SUI RIFUGIATI PROMOSSO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA

Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Vi accolgo al termine del Congresso sulle “Iniziative nell’educazione dei rifugiati e
dei migranti”. Ringrazio il Prof. Cernera per le parole con cui ha introdotto questo
incontro.

Nel vostro congresso avete impostato una riflessione radicata nei bisogni dei fratelli
e delle sorelle migranti, in particolare di quelli dei più piccoli e dei giovani. Avete
ascoltato il loro desiderio di andare a scuola e di continuare gli studi, anche se
sradicati dalle loro terre. Mi congratulo con voi. E vorrei evidenziare l’importanza del
vostro contributo in tre ambiti che sono di vostra competenza: quello della ricerca,
quello dell’insegnamento e quello della promozione sociale. Perché i migranti non
basta accoglierli, i migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati.
Quattro passi: accolti, accompagnati, promossi e integrati.

Per quanto riguarda la ricerca, ritengo sia opportuno portare avanti ulteriori studi
sul cosiddetto “diritto a non dover emigrare”. È importante riflettere sulle cause dei
flussi migratori e sulle forme di violenza che spingono a partire verso altri paesi. Mi
riferisco naturalmente ai conflitti che devastano tante regioni del mondo. Ma vorrei
anche sottolineare un altro tipo di violenza, che è l’abuso della nostra casa comune.
Il pianeta è indebolito dall’eccessivo sfruttamento delle sue risorse e logorato da
decenni di inquinamento. A causa di questo, sempre più persone sono costrette a
lasciare le proprie terre, divenute inabitabili. Il mondo accademico – in particolare
quello cattolico – è chiamato ad esercitare un ruolo di primo piano nel fornire
risposte alle sfide ecologiche. Sulla base di dati scientifici, potete contribuire a
illuminare e indirizzare le scelte dei governanti verso una cura efficace della casa
comune.

Per quanto riguarda l’ambito dell’insegnamento, voglio ringraziarvi per l’impegno
profuso nella realizzazione di programmi volti a favorire l’educazione dei rifugiati.
Molto si è fatto, ma rimane ancora tanto da fare. In tal senso, sarà importante
continuare a dare priorità ai più vulnerabili. Può risultare efficace, in questo senso,
l’offerta di corsi che rispondano alle loro necessità, l’organizzazione di percorsi
educativi a distanza, e l’assegnazione di borse di studio che permettano la loro
ricollocazione. Approfittando della rete accademica internazionale, le università
possono anche agevolare il riconoscimento dei titoli di studio e delle professionalità
dei migranti e dei rifugiati, a beneficio sia di loro stessi sia delle società che li
accolgono.

La scuola e l’università sono spazi privilegiati non solo di insegnamento, ma anche
di incontro e integrazione. «Possiamo maturare in umanità e costruire insieme un
“noi” più grande. Nella disponibilità reciproca si generano spazi di fecondo confronto
tra visioni e tradizioni diverse, che aprono la mente a prospettive nuove»
(Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2022). Per
rispondere adeguatamente alle nuove sfide migratorie, occorre formare in modo
specifico e professionale gli operatori e gli insegnanti che lavorano con i migranti e i
rifugiati. Gli atenei cattolici sono chiamati a educare i propri studenti, che domani
saranno amministratori, imprenditori e artefici di cultura, a una lettura attenta del
fenomeno migratorio, in una prospettiva di giustizia e corresponsabilità globale e di
comunione nella diversità. Vanno promossi incontri significativi con i protagonisti, in
modo che docenti e studenti abbiamo l’opportunità di conoscere le storie di uomini
e donne migranti, rifugiati, sfollati o delle vittime di tratta.
L’ambito della promozione sociale vede l’università come un’istituzione che
interagisce con il contesto sociale in cui si trova a operare. Essa può contribuire a
identificare e indicare le basi per costruire una società interculturale, dove le
diversità etniche, linguistiche e religiose siano considerate una ricchezza e non un
ostacolo per il futuro comune. Inoltre, le università sono un ambito privilegiato per
promuovere tra i giovani il volontariato a favore dei rifugiati, dei richiedenti asilo e
dei migranti più vulnerabili.

In occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che è stata
celebrata domenica scorsa, ho invitato tutti a impegnarsi nella costruzione del
futuro con i migranti. In effetti, «la storia ci insegna che il contributo dei migranti e
dei rifugiati è stato fondamentale per la crescita sociale ed economica delle nostre
società. E lo è anche oggi. Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro
giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono. Ma
questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto
attraverso programmi mirati. Si tratta di un potenziale enorme, pronto ad
esprimersi, se solo gliene viene offerta la possibilità» (ibid.).
Cari amici, l’opera che portate avanti in questi grandi ambiti – ricerca,
insegnamento e promozione sociale – trova le sue coordinate nei quattro verbi che
sintetizzano l’impegno della Chiesa con i migranti e i rifugiati: accogliere,
proteggere o accompagnare, promuovere e integrare. Tutte le istituzioni
educativesono chiamate ad essere luoghi di accoglienza, di protezione o
accompagnamento, di promozione e integrazione per tutti, senza escludere
nessuno.

Vi ringrazio per il vostro impegno e vi auguro di portarlo avanti con frutto. Di cuore
benedico ciascuno di voi e i vostri collaboratori. E vi chiedo per favore di pregare
per me. Grazie.

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VISITA PASTORALE A MATERA PER LA CONCLUSIONE DEL 27° CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE ANGELUS

Al termine di questa Celebrazione, desidero ringraziare tutti voi che vi avete preso
parte, rappresentando il Popolo santo di Dio che è in Italia. E sono grato al
Cardinale Zuppi che se n’è fatto portavoce. Mi congratulo con la Comunità
diocesana di Matera-Irsina per lo sforzo organizzativo e di accoglienza; e ringrazio
tutti coloro che hanno collaborato per questo Congresso Eucaristico.

Ora, prima di concludere, ci rivolgiamo alla Vergine Maria, Donna eucaristica. A Lei
affidiamo il cammino della Chiesa in Italia, perché in ogni comunità si senta il
profumo di Cristo Pane vivo disceso dal Cielo. Io oserei oggi chiedere per l’Italia:
più nascite, più figli. E invochiamo la sua materna intercessione per i bisogni più
urgenti del mondo.

Penso, in particolare, al Myanmar. Da più di due anni quel nobile Paese è martoriato
da gravi scontri armati e violenze, che hanno causato tante vittime e sfollati.
Questa settimana mi è giunto il grido di dolore per la morte di bambini in una
scuola bombardata. Si vede che è la moda, bombardare le scuole, oggi, nel mondo!
Che il grido di questi piccoli non resti inascoltato! Queste tragedie non devono
avvenire!

Maria, Regina della Pace, conforti il martoriato popolo ucraino e ottenga ai capi delle
Nazioni la forza di volontà per trovare subito iniziative efficaci che conducano alla
fine della guerra.

Mi unisco all’appello dei Vescovi del Camerun per la liberazione di alcune persone
sequestrate nella Diocesi di Mamfe, tra cui cinque sacerdoti e una religiosa. Prego
per loro e per le popolazioni della provincia ecclesiastica di Bamenda: il Signore
doni pace ai cuori e alla vita sociale di quel caro Paese.

Oggi, in questa domenica, la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del
Rifugiato, sul tema “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”. Rinnoviamo
l’impegno per edificare il futuro secondo il disegno di Dio: un futuro in cui ogni
persona trovi il suo posto e sia rispettata; in cui i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le
vittime della tratta possano vivere in pace e con dignità. Perché il Regno di Dio si
realizza con loro, senza esclusi. È anche grazie a questi fratelli e sorelle che le
comunità possono crescere a livello sociale, economico, culturale e spirituale; e la
condivisione di diverse tradizioni arricchisce il Popolo di Dio. Impegniamoci tutti a
costruire un futuro più inclusivo e fraterno! I migranti vanno accolti, accompagnati,
promossi e integrati.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA 108ª GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2022

«Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14).
Cari fratelli e sorelle!
Il senso ultimo del nostro “viaggio” in questo mondo è la ricerca della vera patria, il
Regno di Dio inaugurato da Gesù Cristo, che troverà la sua piena realizzazione
quando Lui tornerà nella gloria. Il suo Regno non è ancora compiuto, ma è già
presente in coloro che hanno accolto la salvezza. «Il Regno di Dio è in noi. Benché
sia ancora escatologico, sia il futuro del mondo, dell’umanità, allo stesso tempo si
trova in noi». (S. Giovanni Paolo II, Discorso nella visita alla Parrocchia romana dei
SS. Francesco d’Assisi e Caterina da Siena Patroni d’Italia, 26 novembre 1989.)
La città futura è una «città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è
Dio stesso» (Eb 11,10). Il suo progetto prevede un’intensa opera di costruzione
nella quale tutti dobbiamo sentirci coinvolti in prima persona. Si tratta di un
meticoloso lavoro di conversione personale e di trasformazione della realtà, per
corrispondere sempre di più al piano divino. I drammi della storia ci ricordano
quanto sia ancora lontano il raggiungimento della nostra meta, la Nuova
Gerusalemme, «dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,3). Ma non per questo
dobbiamo perderci d’animo. Alla luce di quanto abbiamo appreso nelle tribolazioni
degli ultimi tempi, siamo chiamati a rinnovare il nostro impegno per l’edificazione di
un futuro più rispondente al progetto di Dio, di un mondo dove tutti possano vivere
in pace e dignità.
«Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la
giustizia» (2 Pt 3,13). La giustizia è uno degli elementi costitutivi del Regno di Dio.
Nella ricerca quotidiana della sua volontà, essa va edificata con pazienza, sacrificio
e determinazione, affinché tutti coloro che ne hanno fame e sete siano saziati (cfr
Mt 5,6). La giustizia del Regno va compresa come la realizzazione dell’ordine divino,
del suo armonioso disegno, dove, in Cristo morto e risorto, tutto il creato torna ad
essere “cosa buona” e l’umanità “cosa molto buona” (cfr Gen 1,1-31). Ma perché
regni questa meravigliosa armonia, bisogna accogliere la salvezza di Cristo, il suo
Vangelo d’amore, perché siano eliminate le disuguaglianze e le discriminazioni del
mondo presente.
Nessuno dev’essere escluso. Il suo progetto è essenzialmente inclusivo e mette al
centro gli abitanti delle periferie esistenziali. Tra questi ci sono molti migranti e
rifugiati, sfollati e vittime della tratta. La costruzione del Regno di Dio è con loro,
perché senza di loro non sarebbe il Regno che Dio vuole. L’inclusione delle persone
più vulnerabili è condizione necessaria per ottenervi piena cittadinanza. Dice infatti
il Signore: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato
per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete
ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete
venuti a trovarmi» (Mt 25, 34-36).
Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare
quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione. Mi piace cogliere
questo approccio al fenomeno migratorio in una visione profetica di Isaia, nella
quale gli stranieri non figurano come invasori e distruttori, ma come lavoratori
volenterosi che ricostruiscono le mura della nuova Gerusalemme, la Gerusalemme
aperta a tutte le genti (cfr Is 60,10-11).
Nella medesima profezia l’arrivo degli stranieri è presentato come fonte di
arricchimento: «Le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni
dei popoli» (60,5). In effetti, la storia ci insegna che il contributo dei migranti e dei
rifugiati è stato fondamentale per la crescita sociale ed economica delle nostre
società. E lo è anche oggi. Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro
giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono Ma questo
contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso
programmi mirati. Si tratta di un potenziale enorme, pronto ad esprimersi, se solo
gliene viene offerta la possibilità.
Gli abitanti della nuova Gerusalemme – profetizza ancora Isaia – mantengono
sempre spalancate le porte della città, perché possano entrare i forestieri con i loro
doni: «Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno né di
notte, per lasciar introdurre da te le ricchezze dei popoli» (60,11). La presenza di
migranti e rifugiati rappresenta una grande sfida ma anche un’opportunità di
crescita culturale e spirituale per tutti. Grazie a loro abbiamo la possibilità di
conoscere meglio il mondo e la bellezza della sua diversità. Possiamo maturare in
umanità e costruire insieme un “noi” più grande. Nella disponibilità reciproca si
generano spazi di fecondo confronto tra visioni e tradizioni diverse, che aprono la
mente a prospettive nuove. Scopriamo anche la ricchezza contenuta in religioni e
spiritualità a noi sconosciute, e questo ci stimola ad approfondire le nostre proprie
convinzioni.
Nella Gerusalemme delle genti il tempio del Signore è reso più bello dalle offerte
che giungono da terre straniere: «Tutti i greggi di Kedar si raduneranno da te, i
montoni dei Nabatei saranno a tuo servizio, saliranno come offerta gradita sul mio
altare; renderò splendido il tempio della mia gloria.» (60,7). In questa prospettiva,
l’arrivo di migranti e rifugiati cattolici offre energia nuova alla vita ecclesiale delle
comunità che li accolgono. Essi sono spesso portatori di dinamiche rivitalizzanti e
animatori di celebrazioni vibranti. La condivisione di espressioni di fede e devozioni
diverse rappresenta un’occasione privilegiata per vivere più pienamente la
cattolicità del Popolo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, e specialmente voi, giovani! Se vogliamo cooperare con il
nostro Padre celeste nel costruire il futuro, facciamolo insieme con i nostri fratelli e
le nostre sorelle migranti e rifugiati. Costruiamolo oggi! Perché il futuro comincia
oggi e comincia da ciascuno di noi. Non possiamo lasciare alle prossime generazioni
la responsabilità di decisioni che è necessario prendere adesso, perché il progetto di
Dio sul mondo possa realizzarsi e venga il suo Regno di giustizia, di fraternità e di
pace.
Preghiera
Signore, rendici portatori di speranza,
perché dove c’è oscurità regni la tua luce,
e dove c’è rassegnazione rinasca la fiducia nel futuro.
Signore, rendici strumenti della tua giustizia,
perché dove c’è esclusione fiorisca la fraternità,
e dove c’è ingordigia prosperi la condivisione.
Signore, rendici costruttori del tuo Regno
Insieme con i migranti e i rifugiati
e con tutti gli abitanti delle periferie.
Signore, fa’ che impariamo com’è bello
vivere tutti da fratelli e sorelle. Amen.
Roma, San Giovanni in Laterano, 9 maggio 2022

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APERTURA E SESSIONE PLENARIA DEL “VII CONGRESS OF LEADERS OF WORLD AND TRADITIONAL RELIGIONS” DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] Dopo quelle della pandemia e della pace, raccogliamo una terza sfida, quella
dell’accoglienza fraterna. Oggi è grande la fatica di accettare l’essere umano. Ogni
giorno nascituri e bambini, migranti e anziani vengono scartati. C’è una cultura
dello scarto. Tanti fratelli e sorelle muoiono sacrificati sull’altare del profitto, avvolti
dall’incenso sacrilego dell’indifferenza. Eppure ogni essere umano è sacro. «Homo
sacra res homini», dicevano gli antichi (Seneca, Epistulae morales ad Lucilium,
95,33): è compito anzitutto nostro, delle religioni, ricordarlo al mondo! Mai come
ora assistiamo a grandi spostamenti di popolazioni, causati da guerre, povertà,
cambiamenti climatici, dalla ricerca di un benessere che il mondo globalizzato
permette di conoscere, ma a cui è spesso difficile accedere. Un grande esodo è in
corso: dalle aree più disagiate si cerca di raggiungere quelle più benestanti. Lo
vediamo tutti i giorni, nelle diverse migrazioni nel mondo. Non è un dato di cronaca,
è un fatto storico che richiede soluzioni condivise e lungimiranti. Certo, viene
istintivo difendere le proprie sicurezze acquisite e chiudere le porte per paura; è più
facile sospettare dello straniero, accusarlo e condannarlo piuttosto che conoscerlo e
capirlo. Ma è nostro dovere ricordare che il Creatore, il quale veglia sui passi di ogni
creatura, ci esorta ad avere uno sguardo simile al suo, uno sguardo che riconosca il
volto del fratello. Il fratello migrante bisogna riceverlo, accompagnarlo, promuoverlo
e integrarlo. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PUBBLICA DI CONFINDUSTRIA

[…] Sempre a proposito della natalità: alle volte, una donna che è impiegata qui o
lavora là, ha paura a rimanere incinta, perché c’è una realtà – non dico tra voi – ma
c’è una realtà che appena si incomincia a vedere la pancia, la cacciano via. “No, no,
tu non puoi rimanere incinta”. Per favore, questo è un problema delle donne
lavoratrici: studiatelo, vedete come fare affinché una donna incinta possa andare
avanti, sia con il figlio che aspetta e sia con il lavoro. E sempre a proposito di
lavoro, c’è un altro tema da evidenziare. L’Italia ha una forte vocazione comunitaria
e territoriale: il lavoro è stato sempre considerato all’interno di un patto sociale più
ampio, dove l’impresa è parte integrante della comunità. Il territorio vive
dell’impresa e l’impresa trae linfa dalle risorse di prossimità, contribuendo in modo
sostanziale al benessere dei luoghi in cui è collocata. A questo proposito, va
sottolineato il ruolo positivo che giocano le aziende sulla realtà dell’immigrazione,
favorendo l’integrazione costruttiva e valorizzando capacità indispensabili per la
sopravvivenza dell’impresa nell’attuale contesto. Nello stesso tempo occorre
ribadire con forza il “no” ad ogni forma di sfruttamento delle persone e di
negligenza nella loro sicurezza. Il problema dei migranti: il migrante va accolto,
accompagnato, sostenuto e integrato, e il modo di integrarlo è il lavoro. Ma se il
migrante è respinto o semplicemente usato come un bracciante senza diritti, ciò è
un’ingiustizia grande e anche fa male al proprio Paese. […]

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CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI E PER IL VOTO SU ALCUNE CAUSE DI CANONIZZAZIONE OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

[…] Cari fratelli e sorelle, ritorniamo con lo sguardo a Gesù: solo Lui conosce il
segreto di questa magnanimità umile, di questa potenza mite, di questa universalità
attenta ai dettagli. Il segreto del fuoco di Dio, che scende dal cielo rischiarandolo da
un estremo all’altro e che cuoce lentamente il cibo delle famiglie povere, delle
persone migranti, o senza una casa. Gesù vuole gettare anche oggi questo fuoco
sulla terra; vuole accenderlo ancora sulle rive delle nostre storie quotidiane. Ci
chiama per nome, ognuno di noi, ci chiama per nome: non siamo un numero; ci
guarda negli occhi, ognuno di noi, lasciamoci guardare negli occhi, e ci chiede: tu,
nuovo Cardinale – e tutti voi, fratelli Cardinali –, posso contare su di te? Quella
domanda del Signore. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AL PELLEGRINAGGIO DI MINISTRANTI DELLA FRANCIA

[…] Ma servire la Messa richiede un seguito: “Servi e va’!”. Voi sapete che Gesù è
presente nelle persone dei fratelli che incontriamo. Dopo aver servito Gesù alla
Messa, Egli vi manda a servirlo nelle persone che incontrate durante la giornata,
soprattutto se sono povere e svantaggiate, perché Lui è in modo particolare unito a
loro.
Forse voi avete degli amici che abitano in quartieri difficili o che affrontano grandi
sofferenze, anche dipendenze; conoscete giovani che sono sradicati, migranti o
rifugiati. Vi esorto ad accoglierli generosamente, a farli uscire dalla loro solitudine e
a fare amicizia con loro.
Molti giovani della tua età hanno bisogno che qualcuno dica loro che Gesù li
conosce, che li ama, che li perdona, che condivide i loro problemi, che li guarda con
tenerezza senza giudicarli. Con il vostro coraggio, il vostro entusiasmo, la vostra
spontaneità, voi potete raggiungerli. Vi invito ad essere vicini gli uni agli altri.
Insisto su questo: vicinanza tra voi, vicinanza ai membri delle vostre famiglie,
vicinanza agli altri giovani. Evita di cadere nella tentazione del ripiegamento su te
stesso, dell’egoismo, del rinchiuderti nel tuo mondo, nei gruppi ristretti, nelle reti
sociali virtuali. Farai meglio a preferire le relazioni amicali reali, non quelle virtuali,
che sono illusorie e ti imprigionano e ti separano dalla realtà. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AL PELLEGRINAGGIO DELLA DIOCESI DI LODI

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Ringrazio il Vescovo per il saluto che mi ha rivolto a nome vostro e dell’intera
comunità lodigiana, che voi ben rappresentate sia nella dimensione ecclesiale sia in
quella civica. E ringrazio il Vescovo emerito, perché a me piace che gli emeriti
continuino a partecipare alla vita della Chiesa, e non si rinchiudano… Avanti,
coraggio! Infatti, siete sacerdoti, consacrate, seminaristi e fedeli laici, delegati
sinodali e rappresentanti di parrocchie e associazioni, volontari e operatori della
comunicazione, insieme alle pubbliche autorità della Provincia e del territorio
lodigiano, con i Sindaci, in particolare quelli della prima “zona rossa” in Occidente
per l’epidemia di covid-19.

I motivi che vi hanno spinto a venire sono diversi. Mi piace ricordare per primo
quello che mi lega a voi con una specie di “parentela” che chiamerei “battesimale”.
Come sapete, il prete che mi ha battezzato, padre Enrico Pozzoli, e che poi mi ha
aiutato a entrare nella Compagnia [di Gesù] e mi ha seguito tutta la vita, è figlio
della vostra terra, nativo di Senna Lodigiana, nella “bassa”, vicino al Po. Attratto dal
carisma di Don Bosco, partì da giovane per Torino e, diventato Salesiano, fu subito
inviato in Argentina, dove rimase per tutta la vita. Divenne amico dei miei genitori e
li aiutò anche ad accettare la mia chiamata al sacerdozio. Sono stato contento
quando un vostro bravo conterraneo – che è qui presente – ha raccolto documenti e
notizie su di lui e ha scritto la sua biografia. L’ho avuta subito, naturalmente, ma
oggi la ricevo in forma, per così dire, ufficiale e con emozione, perché me la portate
voi, amici di Senna Lodigiana, compaesani di Don Pozzoli, che è stato un vero
salesiano! Un uomo saggio, buono, lavoratore; un apostolo del confessionale – non
si stancava di confessare –, misericordioso, capace di ascoltare e di dare buoni
consigli. Grazie di cuore! Ecco perché dico che siamo un po’ parenti, ma non per via
di sangue, no, il filo che ci unisce è ben più forte e sacro perché è quello del
Battesimo!

A proposito di legami con la vostra terra lodigiana, non possiamo dimenticare che
ce n’è un altro, questa volta per via di una grande santa: Francesca Saverio Cabrini,
nativa di Sant’Angelo Lodigiano, che fondò le Missionarie del Sacro Cuore a
Codogno ed è la patrona dei migranti. Io sono figlio di migranti; l’Argentina è
diventata patria di tante e tante famiglie di migranti, in gran parte italiani, e Santa
Cabrini e le Cabriniane sono una presenza importante a Buenos Aires. Oggi voglio
esprimere a voi la mia ammirazione e la mia riconoscenza per questa donna, che –
insieme al Vescovo Scalabrini – è testimone della vicinanza della Chiesa ai migranti:
il suo carisma è più che mai attuale! Chiedo la sua intercessione affinché la vostra
Comunità diocesana sia sempre attenta ai segni dei tempi e attinga dalla carità di
Cristo il coraggio per vivere la missione oggi.
Padre Pozzoli e soprattutto Santa Cabrini ci ricordano che l’evangelizzazione si fa
essenzialmente con la santità della vita, testimoniando l’amore nei fatti e nella
verità (cfr 1Gv 3,18). E così avviene anche la trasmissione della fede nelle famiglie,
attraverso una testimonianza semplice e convinta. Penso ai nonni e alle nonne che
trasmettono la fede con l’esempio e con la saggezza dei loro consigli. Perché la fede
va trasmessa “in dialetto”, sempre, in nessun altra maniera. I nonni, papà,
mamma… La fede va trasmessa in dialetto. Sappiamo bene che oggi il mondo è
cambiato, anzi, è in continua trasformazione. C’è bisogno di cercare nuove strade,
nuovi metodi, nuovi linguaggi. La via maestra, tuttavia, rimane la stessa: quella
della testimonianza, di una vita plasmata dal Vangelo. Il Concilio Vaticano II ci ha
mostrato questa via, e le Chiese particolari sono chiamate a camminare in essa con
atteggiamento estroverso, con una conversione missionaria che coinvolga tutti e
tutto.

La vostra Chiesa laudense ha vissuto già due Sinodi dopo il Concilio Vaticano II: il
tredicesimo e, recentemente, il quattordicesimo. Ora, il percorso sinodale che
stiamo compiendo come Chiesa universale vorrebbe aiutare tutto il Popolo di Dio a
crescere proprio in questa dimensione essenziale, costitutiva, permanente
dell’essere Chiesa: il camminare insieme, nell’ascolto reciproco, nella varietà dei
carismi e dei ministeri, sotto la guida dello Spirito Santo, che crea armonia e unità a
partire dalla diversità. Accolgo da voi il Libro del vostro recente Sinodo diocesano
come segno di comunione, e vi esorto a continuare il cammino, fedeli alle radici e
aperti al mondo, con la saggezza e la pazienza dei contadini e la creatività degli
artigiani; impegnati nella cura dei poveri e nella cura della terra che Dio ci ha
affidato. Il cammino sinodale è lo sviluppo di una dimensione della Chiesa. Una
volta ho sentito dire: “Noi vogliamo una Chiesa più sinodale e meno istituzionale”:
questo non va. Il cammino sinodale è istituzionale, perché appartiene all’essenza
propria della Chiesa. Siamo in sinodo perché istituzione. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALL’INTERNATIONAL CATHOLIC LEGISLATORS NETWORK

Beatitudine,
Eminenze, Eccellenze,
Illustri Signore e Signori,

Sono lieto di porgere il mio benvenuto a tutti voi partecipanti all’incontro
dell’International Catholic Legislators Network. Ringrazio il Cardinale Schönborn e il
dottor Alting von Geusau per le loro parole di saluto, e sono grato anche a tutti
coloro che hanno organizzato questo incontro. Porgo anche un saluto a Sua Santità
Ignatius Aphrem II, Patriarca della Chiesa Siro-ortodossa, e sono felice che sia
presente con noi.

Vi siete riuniti per riflettere sull’importante tema della promozione della giustizia e
della pace nell’attuale situazione geopolitica, segnata dai conflitti e dalle divisioni
che colpiscono molte aree del mondo. A questo proposito, vorrei offrire alcune brevi
riflessioni su tre parole chiave che possono aiutare a guidare le vostre discussioni in
questi giorni: giustizia, fraternità e pace.

La prima parola, giustizia, classicamente definita come la volontà di dare a ciascuno
ciò che gli spetta, implica, secondo la tradizione biblica, azioni concrete volte a
promuovere relazioni giuste con Dio e con gli altri, in modo che il bene degli
individui e della comunità possa fiorire. Nel mondo di oggi, molte persone chiedono
giustizia, in particolare i più vulnerabili che spesso non hanno voce e che si
aspettano che i leader civili e politici proteggano, attraverso politiche e leggi
pubbliche efficaci, la loro dignità di figli di Dio e l’inviolabilità dei loro diritti umani
fondamentali. Penso, ad esempio, ai poveri, ai migranti, ai rifugiati, alle vittime del
traffico di esseri umani, ai malati, agli anziani e a tanti altri individui che rischiano di
essere sfruttati o scartati dall’odierna cultura dell’“usa e getta”, la cultura dello
scarto. La vostra sfida è quella di operare per salvaguardare e valorizzare nella
sfera pubblica quelle giuste relazioni che permettono a ogni persona di essere
trattata con il rispetto e l’amore che le sono dovuti. Come ci ricorda il Signore:
“Fate anche agli altri tutto quel che volete che essi facciano a voi” (Mt 7,12; cfr. Lc
6,31).

Questo ci porta alla seconda parola chiave: fraternità. Infatti, una società giusta
non può esistere senza il vincolo della fraternità, cioè senza un senso di
responsabilità condivisa e di preoccupazione per lo sviluppo e il benessere integrale
di ogni membro della nostra famiglia umana. Per questo motivo, “per rendere
possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a
partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore
politica, posta al servizio del vero bene comune” (Enc. Fratelli Tutti, 154). Se
vogliamo guarire il nostro mondo, così duramente provato da rivalità e forme di
violenza che nascono dal desiderio di dominare piuttosto che di servire, abbiamo
bisogno non solo di cittadini responsabili, ma anche di leader capaci, ispirati da un
amore fraterno rivolto soprattutto a coloro che si trovano nelle condizioni di vita più
precarie. In quest’ottica, incoraggio i vostri continui sforzi, a livello nazionale e
internazionale, per l’adozione di politiche e leggi che cerchino di affrontare, in uno
spirito di solidarietà, le numerose situazioni di disuguaglianza e ingiustizia che
minacciano il tessuto sociale e la dignità intrinseca di tutte le persone.

Infine, lo sforzo per costruire il nostro futuro comune richiede la costante ricerca
della pace. La pace non è semplicemente assenza della guerra. Il cammino verso
una pace duratura richiede invece la cooperazione, soprattutto da parte di coloro
che hanno maggiori responsabilità, nel perseguire obiettivi che vadano a beneficio
di tutti. La pace deriva da un impegno duraturo per il dialogo reciproco, da una
paziente ricerca della verità e dalla volontà di anteporre il bene autentico della
comunità al vantaggio personale. In questa prospettiva, il vostro lavoro di legislatori
e leader politici è più importante che mai. Perché la vera pace può essere raggiunta
solo quando ci sforziamo, attraverso processi politici e legislativi lungimiranti, di
costruire un ordine sociale fondato sulla fraternità universale e sulla giustizia per
tutti.

Cari amici, il Signore vi aiuti a diventare lievito per il rinnovamento della vita civile e
politica, testimoni di “amore politico” (cfr ibid., 180ss.) per i più bisognosi. Auspico
che il vostro impegno per la giustizia e la pace, alimentato da uno spirito di
solidarietà fraterna, continui a guidarvi nella nobile opera di contribuire all’avvento
del Regno di Dio nel mondo.

Benedico voi, le vostre famiglie e il vostro lavoro. E vi chiedo, per favore, di pregare
per me. Grazie.

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO IN CANADA (24 – 30 LUGLIO 2022) INCONTRO CON LE AUTORITÀ CIVILI, CON I RAPPRESENTANTI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE E CON IL CORPO DIPLOMATICO DISCORSO DEL SANTO PADRE

[…] La Santa Sede e le comunità cattoliche locali nutrono la concreta volontà di
promuovere le culture indigene, con cammini spirituali appositi e confacenti, che
comprendano anche l’attenzione alle tradizioni culturali, alle usanze, alle lingue e ai
processi educativi propri, nello spirito della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui
Diritti dei Popoli Indigeni. È nostro desiderio rinnovare il rapporto tra la Chiesa e le
popolazioni indigene del Canada, un rapporto segnato sia da un amore che ha
portato ottimi frutti, sia, purtroppo, da ferite che ci stiamo impegnando a
comprendere e sanare. Sono molto grato di aver incontrato e ascoltato vari
rappresentanti delle popolazioni indigene nei mesi scorsi a Roma, e di poter
rinsaldare, qui in Canada, le belle relazioni strette con loro. I momenti vissuti
insieme hanno lasciato in me un’impronta e il fermo desiderio di farci carico dare
seguito all’indignazione e alla vergogna per le sofferenze subite dagli indigeni,
portando avanti un cammino fraterno e paziente, da intraprendere con tutti i
canadesi secondo verità e giustizia, adoperandoci per la guarigione e la
riconciliazione, sempre animati dalla speranza.
Quella «storia di dolore e di disprezzo», originata da una mentalità colonizzatrice,
«non si risana facilmente». Al tempo stesso, ci mette in guardia sul fatto che «la
colonizzazione non si ferma, piuttosto in alcune zone si trasforma, si maschera e si
nasconde» (Esort. ap. Querida Amazonia, 16). È il caso delle colonizzazioni
ideologiche. Se un tempo la mentalità colonialista trascurò la vita concreta della
gente, imponendo modelli culturali prestabiliti, anche oggi non mancano
colonizzazioni ideologiche che contrastano la realtà dell’esistenza, soffocano il
naturale attaccamento ai valori dei popoli, tentando di sradicarne le tradizioni, la
storia e i legami religiosi. Si tratta di una mentalità che, presumendo di aver
superato “le pagine buie della storia”, fa spazio a quella cancel culture che valuta il
passato solo in base a certe categorie attuali. Così si impianta una moda culturale
che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze e si concentra solo sul
momento presente, sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i
doveri nei riguardi dei più deboli e fragili: poveri, migranti, anziani, ammalati,
nascituri… Sono loro i dimenticati nelle società del benessere; sono loro che,
nell’indifferenza generale, vengono scartati come foglie secche da bruciare.
Le ricche chiome multicolori degli alberi di acero ci ricordano invece l’importanza
dell’insieme, di portare avanti comunità umane non omologatrici, ma realmente
aperte e inclusive. E come ogni foglia è fondamentale per arricchire le fronde, così
ogni famiglia, cellula essenziale della società, va valorizzata, perché «l’avvenire
dell’umanità passa attraverso la famiglia» (S. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris
consortio, 86). Essa è la prima realtà sociale concreta, ma è minacciata da molti
fattori: violenza domestica, frenesia lavorativa, mentalità individualistica,
carrierismi sfrenati, disoccupazione, solitudine dei giovani, abbandono degli anziani
e degli infermi… Le popolazioni indigene hanno tanto da insegnarci sulla custodia e
la tutela della famiglia, dove già da bambini si impara a riconoscere che cosa è
giusto e che cosa sbagliato, a dire la verità, a condividere, a correggere i torti, a
ricominciare, a rincuorarsi, a riconciliarsi. Il male sofferto dai popoli indigeni, e di
cui ora ci vergogniamo, ci serva oggi da monito, affinché la cura e i diritti della
famiglia non vengano messi da parte in nome di eventuali esigenze produttive e
interessi individuali.
Ritorniamo alla foglia d’acero. Nei tempi di guerra, i soldati ne facevano uso come
bende e medicamenti per le ferite. Oggi, di fronte all’insensata follia della guerra,
abbiamo nuovamente bisogno di lenire gli estremismi della contrapposizione e di
curare le ferite dell’odio. Una testimone di tragiche violenze passate ha
recentemente detto che «la pace ha un suo segreto: non odiare mai nessuno. Se si
vuole vivere non si deve mai odiare» (Intervista a E. Bruck, in “Avvenire”, 8 marzo
2022). Non abbiamo bisogno di dividere il mondo in amici e nemici, di prendere le
distanze e riarmarci fino ai denti: non saranno la corsa agli armamenti e le strategie
di deterrenza a portare pace e sicurezza. Non c’è bisogno di chiedersi come
proseguire le guerre, ma come fermarle. E di impedire che i popoli siano tenuti
nuovamente in ostaggio dalla morsa di spaventose guerre fredde che ancora si
allargano. C’è bisogno di politiche creative e lungimiranti, che sappiano uscire dagli
schemi delle parti per dare risposte alle sfide globali.
Infatti le grandi sfide di oggi, come la pace, i cambiamenti climatici, gli effetti
pandemici e le migrazioni internazionali sono accomunate da una costante: sono
globali, sono sfide globali, riguardano tutti. E se tutte parlano della necessità
dell’insieme, la politica non può rimanere prigioniera di interessi di parte. Occorre
saper guardare, come la sapienza indigena insegna, alle sette generazioni future,
non alle convenienze immediate, alle scadenze elettorali, al sostegno delle lobby. E
anche valorizzare i desideri di fraternità, giustizia e pace delle giovani generazioni.
Sì, come è necessario, per recuperare memoria e saggezza, ascoltare gli anziani,
così, per avere slancio e futuro, occorre abbracciare i sogni dei giovani. Essi
meritano un futuro migliore di quello che stiamo loro preparando, meritano di
essere coinvolti nelle scelte per la costruzione dell’oggi e del domani, in particolare
per la salvaguardia della casa comune, per la quale sono preziosi i valori e gli
insegnamenti delle popolazioni indigene. A tale proposito, vorrei esprimere
apprezzamento per il lodevole impegno locale a favore dell’ambiente. Si potrebbe
quasi dire che gli emblemi tratti dalla natura, quali il giglio nella bandiera di questa
Provincia del Québec, e la foglia d’acero in quella del Paese, confermino la
vocazione ecologica del Canada.
Quando l’apposita Commissione si trovò a valutare le migliaia di bozzetti pervenuti
per la realizzazione della bandiera nazionale, molti dei quali inviati da persone
comuni, sorprese che quasi tutti contenessero proprio la rappresentazione della
foglia d’acero. La partecipazione attorno a questo simbolo condiviso mi suggerisce
di sottolineare una parola fondamentale per i canadesi: multiculturalismo. Esso sta
alla base della coesione di una società tanto composita quanto variamente colorate
sono le chiome degli aceri. La stessa foglia d’acero, con la sua molteplicità di punte
e di lati, fa pensare a una figura poliedrica e dice che voi siete un popolo capace di
includere, così che coloro che arrivano possano trovare posto in quella unità
multiforme e apportarvi il loro contributo originale (cfr Evangelii gaudium, 236). Il
multiculturalismo è una sfida permanente: è accogliere e abbracciare le diverse
componenti presenti, rispettando, al contempo, la diversità delle loro tradizioni e
culture, senza pensare che il processo sia compiuto una volta per tutte. Esprimo
apprezzamento in tal senso per la generosità nell’ospitare numerosi migranti ucraini
e afghani. Occorre anche lavorare per superare la retorica della paura nei confronti
degli immigrati e per dare loro, secondo le possibilità del Paese, la possibilità
concreta di essere coinvolti responsabilmente nella società. Per fare ciò i diritti e la
democrazia sono indispensabili. Ma è necessario fronteggiare la mentalità
individualista, ricordando che il vivere comune si fonda su presupposti che il
sistema politico da solo non può produrre. Anche in questo la cultura indigena è di
grande sostegno nel ricordare l’importanza dei valori della socialità. E pure la
Chiesa cattolica, con la sua dimensione universale e la sua cura nei riguardi dei più
fragili, con il legittimo servizio a favore della vita umana in ogni sua fase, dal
concepimento e fino alla morte naturale, è lieta di offrire il proprio contributo.
In questi giorni ho sentito di numerose persone bisognose che bussano alle porte
delle parrocchie. Anche in un Paese tanto sviluppato e progredito come il Canada,
che dedica molta attenzione all’assistenza sociale, non sono pochi i senzatetto che
si affidano alle chiese e ai banchi alimentari per ricevere aiuti e conforti essenziali,
che – non dimentichiamolo – non sono solo materiali. Questi fratelli e sorelle ci
portano a considerare l’urgenza di adoperarci per porre rimedio alla radicale
ingiustizia che inquina il nostro mondo, per cui l’abbondanza dei doni della
creazione è ripartita in modo troppo diseguale. È scandaloso che il benessere
generato dallo sviluppo economico non vada a beneficio di tutti i settori della
società. Ed è triste che proprio tra i nativi si registrino spesso molti tassi di povertà,
cui si collegano altri indicatori negativi, come il basso indice di scolarizzazione, il
non facile accesso alla casa e all’assistenza sanitaria. L’emblema della foglia
d’acero, che compare abitualmente sulle etichette dei prodotti del Paese, sia di
stimolo per tutti a compiere scelte economiche e sociali volte alla condivisione e alla
cura dei bisognosi.
È lavorando di comune accordo, insieme, che si affrontano le sfide pressanti di oggi.
Vi ringrazio per l’ospitalità, l’attenzione e la stima, dicendovi con sincero affetto che
il Canada e la sua gente mi stanno veramente a cuore.