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LETTERA APOSTOLICA PATRIS CORDE DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELLA DICHIARAZIONE DI SAN GIUSEPPE QUALE PATRONO DELLA CHIESA UNIVERSALE

[…] Sappiamo che egli era un umile falegname (cfr Mt 13,55), promesso sposo
di Maria (cfr Mt 1,18; Lc 1,27); un «uomo giusto» (Mt 1,19), sempre pronto a
eseguire la volontà di Dio manifestata nella sua Legge (cfr Lc 2,22.27.39) e
mediante ben quattro sogni (cfr Mt 1,20; 2,13.19.22). Dopo un lungo e faticoso
viaggio da Nazaret a Betlemme, vide nascere il Messia in una stalla, perché
altrove «non c’era posto per loro» (Lc 2,7). Fu testimone dell’adorazione dei
pastori (cfr Lc 2,8-20) e dei Magi (cfr Mt 2,1-12), che rappresentavano
rispettivamente il popolo d’Israele e i popoli pagani.

Ebbe il coraggio di assumere la paternità legale di Gesù, a cui impose il nome
rivelato dall’Angelo: «Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai
suoi peccati» (Mt 1,21). Come è noto, dare un nome a una persona o a una cosa
presso i popoli antichi significava conseguirne l’appartenenza, come fece Adamo
nel racconto della Genesi (cfr 2,19-20). […]

[…] Nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita, insieme alla madre Giuseppe
offrì il Bambino al Signore e ascoltò sorpreso la profezia che Simeone fece nei
confronti di Gesù e di Maria (cfr Lc 2,22-35). Per difendere Gesù da Erode,
soggiornò da straniero in Egitto (cfr Mt 2,13-18). Ritornato in patria, visse nel
nascondimento del piccolo e sconosciuto villaggio di Nazaret in Galilea – da
dove, si diceva, “non sorge nessun profeta” e “non può mai venire qualcosa di
buono” (cfr Gv 7,52; 1,46) –, lontano da Betlemme, sua città natale, e da
Gerusalemme, dove sorgeva il Tempio. Quando, proprio durante un
pellegrinaggio a Gerusalemme, smarrirono Gesù dodicenne, lui e Maria lo
cercarono angosciati e lo ritrovarono nel Tempio mentre discuteva con i dottori
della Legge (cfr Lc 2,41-50).

Nel secondo sogno l’angelo ordina a Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino
e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole
cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). Giuseppe non esitò ad obbedire,
senza farsi domande sulle difficoltà cui sarebbe andato incontro: «Egli si alzò,
nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino
alla morte di Erode» (Mt 2,14-15).

In Egitto Giuseppe, con fiducia e pazienza, attese dall’angelo il promesso avviso
per ritornare nel suo Paese. Appena il messaggero divino, in un terzo sogno,
dopo averlo informato che erano morti quelli che cercavano di uccidere il
bambino, gli ordina di alzarsi, di prendere con sé il bambino e sua madre e
ritornare nella terra d’Israele (cfr Mt 2,19-20), egli ancora una volta obbedisce
senza esitare: «Si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra
d’Israele» (Mt 2,21).

Ma durante il viaggio di ritorno, «quando venne a sapere che nella Giudea
regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito
poi in sogno – ed è la quarta volta che accade – si ritirò nella regione della
Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret» (Mt 2,22-23).

L’evangelista Luca, da parte sua, riferisce che Giuseppe affrontò il lungo e
disagevole viaggio da Nazaret a Betlemme, secondo la legge dell’imperatore
Cesare Augusto relativa al censimento, per farsi registrare nella sua città di
origine. E proprio in questa circostanza nacque Gesù (cfr 2,1-7), e fu iscritto
all’anagrafe dell’Impero, come tutti gli altri bambini. […]

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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI DEGLI AMBASCIATORI DI GIORDANIA, KAZAKHSTAN, ZAMBIA, MAURITANIA, UZBEKISTAN, MADAGASCAR, ESTONIA, RUANDA, DANIMARCA E INDIA, ACCREDITATI PRESSO LA SANTA SEDE

[…] Oggi, forse più che mai, il nostro mondo sempre più globalizzato richiede
urgentemente un dialogo e una collaborazione sinceri e rispettosi, capaci di
unirci nell’affrontare le gravi minacce che incombono sul nostro pianeta e
ipotecano il futuro delle giovani generazioni. Nella recente Enciclica Fratelli tutti
ho espresso il desiderio che «in questo tempo che ci è dato di vivere,
riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti
un’aspirazione mondiale alla fraternità» (n. 8). La presenza della Santa Sede
nella comunità internazionale si pone al servizio del bene comune globale,
richiamando l’attenzione sugli aspetti antropologici, etici e religiosi delle varie
questioni che riguardano la vita delle persone, dei popoli e di intere nazioni.

Auspico che la vostra attività diplomatica come rappresentanti delle vostre
nazioni presso la Santa Sede favorisca la «cultura dell’incontro» (Fratelli tutti,
215), tanto necessaria per superare le differenze e le divisioni che così spesso
ostacolano la realizzazione degli alti ideali e degli obiettivi proposti dalla
comunità internazionale. Ognuno di noi è invitato, infatti, a operare
quotidianamente per la costruzione di un mondo sempre più giusto, fraterno e
unito. […]

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GIORNATA MONDIALE DEI POVERI SANTA MESSA OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

[…] Vorrei ringraziare tanti servi fedeli di Dio, che non fanno parlare di sé, ma
vivono così, servendo. Penso, ad esempio, a don Roberto Malgesini. Questo prete
non faceva teorie; semplicemente, vedeva Gesù nel povero e il senso della vita
nel servire. Asciugava lacrime con mitezza, in nome di Dio che consola. L’inizio
della sua giornata era la preghiera, per accogliere il dono di Dio; il centro della
giornata la carità, per far fruttare l’amore ricevuto; il finale, una limpida
testimonianza del Vangelo. Quest’uomo aveva compreso che doveva tendere la
sua mano ai tanti poveri che quotidianamente incontrava, perché in ognuno di
loro vedeva Gesù. Fratelli e sorelle, chiediamo la grazia di non essere cristiani a
parole, ma nei fatti. Per portare frutto, come desidera Gesù. Così sia.[…]

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LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULL’EUROPA, A SUA EMINENZA IL SIGNOR CARDINALE PIETRO PAROLIN, SEGRETARIO DI STATO

[…] Lo vediamo nelle tante paure che attraversano le nostre società di questi
tempi, tra le quali non posso tacere la diffidenza nei confronti dei migranti. Solo
un’Europa che sia comunità solidale può fare fronte a questa sfida in modo
proficuo, mentre ogni soluzione parziale ha già dimostrato la propria
inadeguatezza. È evidente, infatti, che la doverosa accoglienza dei migranti non
può limitarsi a mere operazioni di assistenza di chi arriva, spesso scappando da
conflitti, carestie o disastri naturali, ma deve consentire la loro integrazione così
che possano «conoscere, rispettare e anche assimilare la cultura e le tradizioni
della nazione che li accoglie» (Discorso ai partecipanti alla Conferenza
“(Re)Thinking Europe”, 28 ottobre 2017). […]

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LETTERA ENCICLICA FRATELLI TUTTI SULLA FRATERNITÀ E L’AMICIZIA SOCIALE

Senza dignità umana sulle frontiere

37. Tanto da alcuni regimi politici populisti quanto da posizioni economiche
liberali, si sostiene che occorre evitare ad ogni costo l’arrivo di persone migranti.
Al tempo stesso si argomenta che conviene limitare l’aiuto ai Paesi poveri, così
che tocchino il fondo e decidano di adottare misure di austerità. Non ci si rende
conto che, dietro queste affermazioni astratte difficili da sostenere, ci sono tante
vite lacerate. Molti fuggono dalla guerra, da persecuzioni, da catastrofi naturali.
Altri, con pieno diritto, sono «alla ricerca di opportunità per sé e per la propria
famiglia. Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si
realizzi» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 25 marzo 2019, 91).

38. Purtroppo, altri sono «attirati dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta
aspettative irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni. Trafficanti senza
scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza
dei migranti, che lungo il loro percorso troppo spesso incontrano la violenza, la
tratta, l’abuso psicologico e anche fisico, e sofferenze indicibili» (Esort. ap.
postsin. Christus vivit, 25 marzo 2019, 92). Coloro che emigrano «sperimentano
la separazione dal proprio contesto di origine e spesso anche uno sradicamento
culturale e religioso. La frattura riguarda anche le comunità di origine, che
perdono gli elementi più vigorosi e intraprendenti, e le famiglie, in particolare
quando migra uno o entrambi i genitori, lasciando i figli nel Paese di origine»
(Esort. ap. postsin. Christus vivit, 25 marzo 2019, 93). Di conseguenza, «va
riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella
propria terra» (Benedetto XVI, Messaggio per la 99ª Giornata Mondiale del
Migrante e del Rifugiato (12 ottobre 2012): AAS 104 (2012), 908)

39. Per giunta, «in alcuni Paesi di arrivo, i fenomeni migratori suscitano allarme
e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici. Si diffonde così una
mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi» (Esort. ap.
postsin. Christus vivit (25 marzo 2019), 92) I migranti vengono considerati non
abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro, e si
dimentica che possiedono la stessa intrinseca dignità di qualunque persona.
Pertanto, devono essere “protagonisti del proprio riscatto” (Cfr Messaggio per la
106ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2020, 13 maggio 2020).
Non si dirà mai che non sono umani, però in pratica, con le decisioni e il modo di
trattarli, si manifesta che li si considera di minor valore, meno importanti, meno
umani. È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi
atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che
profonde convinzioni della propria fede: l’inalienabile dignità di ogni persona
umana al di là dell’origine, del colore o della religione, e la legge suprema
dell’amore fraterno.

40. «Le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo»
(Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 11 gennaio
2016: AAS 108 (2016), 124). Ma oggi esse risentono di una «perdita di quel
senso della responsabilità fraterna, su cui si basa ogni società civile» (Discorso al
Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 13 gennaio 2014: AAS 106
(2014), 84). L’Europa, ad esempio, rischia seriamente di andare per questa
strada. Tuttavia, «aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, [ha] gli
strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto
equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e
quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti» (Discorso al Corpo
diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 11 gennaio 2016: AAS 108
(2016), 123).

41. Comprendo che di fronte alle persone migranti alcuni nutrano dubbi o
provino timori. Lo capisco come un aspetto dell’istinto naturale di autodifesa. Ma
è anche vero che una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare
creativamente dentro di sé l’apertura agli altri. Invito ad andare oltre queste
reazioni primarie, perché «il problema è quando [esse] condizionano il nostro
modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse anche –
senza accorgercene – razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della
capacità di incontrare l’altro» (Messaggio per la 105ª Giornata Mondiale del
Migrante e del Rifugiato (27 maggio 2019): L’Osservatore Romano, 27-28
maggio 2019, p. 8).

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PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle!
[…] Oggi la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Saluto i rifugiati e i migranti presenti in Piazza intorno al monumento intitolato
“Angeli senza saperlo” (cfr. Eb 13,2), che ho benedetto un anno fa. Quest’anno
ho voluto dedicare il mio messaggio agli sfollati interni, i quali sono costretti a
fuggire, come capitò anche a Gesù e alla sua famiglia. «Come Gesù costretti a
fuggire», così gli sfollati, i migranti. A loro, in modo particolare, e a chi li assiste
va il nostro ricordo e la nostra preghiera. […]

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 106 ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2020

All’inizio di questo anno, nel mio discorso ai membri del Corpo Diplomatico
accreditato presso la Santa Sede, ho annoverato tra le sfide del mondo
contemporaneo il dramma degli sfollati interni: «Le conflittualità e le emergenze
umanitarie, aggravate dagli sconvolgimenti climatici, aumentano il numero di
sfollati e si ripercuotono sulle persone che già vivono in stato di grave povertà.
Molti dei Paesi colpiti da queste situazioni mancano di strutture adeguate che
consentano di venire incontro ai bisogni di quanti sono stati sfollati» (9 gennaio
2020).
La Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano
Integrale ha pubblicato gli “Orientamenti Pastorali sugli Sfollati Interni” (Città del
Vaticano, 5 maggio 2020), un documento che si propone di ispirare e animare le
azioni pastorali della Chiesa in questo particolare ambito.
Per tali ragioni ho deciso di dedicare questo Messaggio al dramma degli sfollati
interni, un dramma spesso invisibile, che la crisi mondiale causata dalla
pandemia COVID-19 ha esasperato. Questa crisi, infatti, per la sua veemenza,
gravità ed estensione geografica, ha ridimensionato tante altre emergenze
umanitarie che affliggono milioni di persone, relegando iniziative e aiuti
internazionali, essenziali e urgenti per salvare vite umane, in fondo alle agende
politiche nazionali. Ma «non è questo il tempo della dimenticanza. La crisi che
stiamo affrontando non ci faccia dimenticare tante altre emergenze che portano
con sé i patimenti di molte persone» (Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020).
Alla luce dei tragici eventi che hanno segnato il 2020, estendo questo Messaggio,
dedicato agli sfollati interni, a tutti coloro che si sono trovati a vivere e tuttora
vivono esperienze di precarietà, di abbandono, di emarginazione e di rifiuto a
causa del COVID-19.
Vorrei partire dall’icona che ispirò Papa Pio XII nel redigere la Costituzione
Apostolica Exsul Familia (1 agosto 1952). Nella fuga in Egitto il piccolo Gesù
sperimenta, assieme ai suoi genitori, la tragica condizione di sfollato e profugo
«segnata da paura, incertezza, disagi (cfr. Mt 2,13-15.19-23). Purtroppo, ai
nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà.
Quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono
dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una
vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie» (Angelus, 29 dicembre 2013). In
ciascuno di loro è presente Gesù, costretto, come ai tempi di Erode, a fuggire
per salvarsi. Nei loro volti siamo chiamati a riconoscere il volto del Cristo
affamato, assetato, nudo, malato, forestiero e carcerato che ci interpella (cfr. Mt
25,31-46). Se lo riconosciamo, saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto
incontrare, amare e servire.
Le persone sfollate ci offrono questa opportunità di incontro con il Signore,
«anche se i nostri occhi fanno fatica a riconoscerlo: coi vestiti rotti, con i piedi
sporchi, col volto deformato, il corpo piagato, incapace di parlare la nostra
lingua» (Omelia, 15 febbraio 2019). Si tratta di una sfida pastorale alla quale
siamo chiamati a rispondere con i quattro verbi che ho indicato nel Messaggio
per questa stessa Giornata nel 2018: accogliere, proteggere, promuovere e
integrare. Ad essi vorrei ora aggiungere sei coppie di verbi che corrispondono ad
azioni molto concrete, legate tra loro in una relazione di causa-effetto.
Bisogna conoscere per comprendere. La conoscenza è un passo necessario verso
la comprensione dell’altro. Lo insegna Gesù stesso nell’episodio dei discepoli di
Emmaus: «Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si
avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc
24,15-16). Quando si parla di migranti e di sfollati troppo spesso ci si ferma ai
numeri. Ma non si tratta di numeri, si tratta di persone! Se le incontriamo
arriveremo a conoscerle. E conoscendo le loro storie riusciremo a comprendere.
Potremo comprendere, per esempio, che quella precarietà che abbiamo
sperimentato con sofferenza a causa della pandemia è un elemento costante
della vita degli sfollati.
È necessario farsi prossimo per servire. Sembra scontato, ma spesso non lo è.
«Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe
compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo
caricò sulla sua cavalcatura, lo portò a un albergo e si prese cura di lui» (Lc
10,33-34). Le paure e i pregiudizi – tanti pregiudizi – ci fanno mantenere le
distanze dagli altri e spesso ci impediscono di “farci prossimi” a loro e di servirli
con amore. Avvicinarsi al prossimo spesso significa essere disposti a correre dei
rischi, come ci hanno insegnato tanti dottori e infermieri negli ultimi mesi.
Questo stare vicini per servire va oltre il puro senso del dovere; l’esempio più
grande ce lo ha lasciato Gesù quando ha lavato i piedi dei suoi discepoli: si è
spogliato, si è inginocchiato e si è sporcato le mani (cfr. Gv 13,1-15).
Per riconciliarsi bisogna ascoltare. Ce lo insegna Dio stesso, che, inviando il suo
Figlio nel mondo, ha voluto ascoltare il gemito dell’umanità con orecchi umani:
«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, […] perché il
mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). L’amore, quello che riconcilia
e salva, incomincia con l’ascoltare. Nel mondo di oggi si moltiplicano i messaggi,
però si sta perdendo l’attitudine ad ascoltare. Ma è solo attraverso un ascolto
umile e attento che possiamo arrivare a riconciliarci davvero. Durante il 2020,
per settimane il silenzio ha regnato nelle nostre strade. Un silenzio drammatico e
inquietante, che però ci ha offerto l’occasione di ascoltare il grido di chi è più
vulnerabile, degli sfollati e del nostro pianeta gravemente malato. E, ascoltando,
abbiamo l’opportunità di riconciliarci con il prossimo, con tanti scartati, con noi
stessi e con Dio, che mai si stanca di offrirci la sua misericordia.
Per crescere è necessario condividere. La prima comunità cristiana ha avuto
nella condivisione uno dei suoi elementi fondanti: «La moltitudine di coloro che
erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno
considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era
comune» (At 4,32). Dio non ha voluto che le risorse del nostro pianeta fossero a
beneficio solo di alcuni. No, questo non l’ha voluto il Signore! Dobbiamo
imparare a condividere per crescere insieme, senza lasciare fuori nessuno. La
pandemia ci ha ricordato come siamo tutti sulla stessa barca. Ritrovarci ad avere
preoccupazioni e timori comuni ci ha dimostrato ancora una volta che nessuno si
salva da solo. Per crescere davvero dobbiamo crescere insieme, condividendo
quello che abbiamo, come quel ragazzo che offrì a Gesù cinque pani d’orzo e due
pesci… E bastarono per cinquemila persone (cfr. Gv 6,1-15)!
Bisogna coinvolgere per promuovere. Così infatti ha fatto Gesù con la donna
samaritana (cfr. Gv 4,1-30). Il Signore si avvicina, la ascolta, parla al suo cuore,
per poi guidarla alla verità e trasformarla in annunciatrice della buona novella:
«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il
Cristo?» (v. 29). A volte, lo slancio di servire gli altri ci impedisce di vedere le
loro ricchezze. Se vogliamo davvero promuovere le persone alle quali offriamo
assistenza, dobbiamo coinvolgerle e renderle protagoniste del proprio riscatto.
La pandemia ci ha ricordato quanto sia essenziale la corresponsabilità e che solo
con il contributo di tutti – anche di categorie spesso sottovalutate – è possibile
affrontare la crisi. Dobbiamo «trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti
possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e
di solidarietà» (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020).
È necessario collaborare per costruire. Questo è quanto l’Apostolo Paolo
raccomanda alla comunità di Corinto: «Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome
del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi
siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire» (1 Cor
1,10). Costruire il Regno di Dio è un impegno comune a tutti i cristiani e per
questo è necessario che impariamo a collaborare, senza lasciarci tentare da
gelosie, discordie e divisioni. E nel contesto attuale va ribadito: «Non è questo il
tempo degli egoismi, perché la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e
non fa differenza di persone» (Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020). Per
preservare la casa comune e farla somigliare sempre più al progetto originale di
Dio, dobbiamo impegnarci a garantire la cooperazione internazionale, la
solidarietà globale e l’impegno locale, senza lasciare fuori nessuno.
Vorrei concludere con una preghiera suggerita dall’esempio di San Giuseppe, in
particolare a quando fu costretto a fuggire in Egitto per salvare il Bambino.
Padre, Tu hai affidato a San Giuseppe ciò che avevi di più prezioso: il Bambino
Gesù e sua madre, per proteggerli dai pericoli e dalle minacce dei malvagi.
Concedi anche a noi di sperimentare la sua protezione e il suo aiuto. Lui, che ha
provato la sofferenza di chi fugge a causa dell’odio dei potenti, fa’ che possa
confortare e proteggere tutti quei fratelli e quelle sorelle che, spinti dalle guerre,
dalla povertà e dalle necessità, lasciano la loro casa e la loro terra per mettersi
in cammino come profughi verso luoghi più sicuri.
Aiutali, per la sua intercessione, ad avere la forza di andare avanti, il conforto
nella tristezza, il coraggio nella prova.
Dona a chi li accoglie un po’ della tenerezza di questo padre giusto e saggio, che
ha amato Gesù come un vero figlio e ha sorretto Maria lungo il cammino.
Egli, che guadagnava il pane col lavoro delle sue mani, possa provvedere a
coloro a cui la vita ha tolto tutto, e dare loro la dignità di un lavoro e la serenità
di una casa.
Te lo chiediamo per Gesù Cristo, tuo Figlio, che San Giuseppe salvò fuggendo in
Egitto, e per intercessione della Vergine Maria, che egli amò da sposo fedele
secondo la tua volontà. Amen.
Roma, San Giovanni in Laterano, 13 maggio 2020

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PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE

[…] Volendo dire ciò con il linguaggio della gente comune: si ascoltano più i
potenti che i deboli e questo non è il cammino, non è il cammino umano, non è il
cammino che ci ha insegnato Gesù, non è attuare il principio di sussidiarietà.
Così non permettiamo alle persone di essere «protagoniste del proprio riscatto»
(Messaggio per la 106.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2020,
13 maggio 2020). Nell’inconscio collettivo di alcuni politici o di alcuni sindacalisti
c’è questo motto: tutto per il popolo, niente con il popolo. Dall’alto in basso ma
senza ascoltare la saggezza del popolo, senza far attuare questa saggezza nel
risolvere dei problemi, in questo caso nell’uscire dalla crisi. O pensiamo anche al
modo di curare il virus: si ascoltano più le grandi compagnie farmaceutiche che
gli operatori sanitari, impegnati in prima linea negli ospedali o nei
campi-profughi. Questa non è una strada buona. Tutti vanno ascoltati, quelli che
sono in alto e quelli che sono in basso, tutti. […]

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PAPA FRANCESCO ANGELUS

Dopo l’Angelus:
Cari fratelli e sorelle!
Nei giorni scorsi, una serie di incendi ha devastato il campo-profughi di Moria,
nell’Isola di Lesbo, lasciando migliaia di persone senza un rifugio, seppure
precario. È sempre vivo in me il ricordo della visita compiuta là e dell’appello
lanciato assieme al Patriarca Ecumenico Bartolomeo e all’Arcivescovo Ieronymos
di Atene, ad assicurare «un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini
migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in Europa» (16 aprile 2016). Esprimo
solidarietà e vicinanza a tutte le vittime di queste drammatiche vicende. […]

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL PROGETTO EUROPEO “SNAPSHOTS FROM THE BORDERS” (VOCI ED ESPERIENZE DAI CONFINI) GUIDATI DAL SINDACO DI LAMPEDUSA E LINOSA

Cari sorelle e fratelli,
do il benvenuto a voi che avete aderito al progetto “Snapshots from the
borders”. Ringrazio il Signor Salvatore Martello, Sindaco di Lampedusa e Linosa,
per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti. E ringrazio anche per questa
bella croce, così significativa, che voi avete portato. Grazie.
Il vostro è un progetto lungimirante. Esso si propone di promuovere una
comprensione più profonda della migrazione, che permetta alle società europee
di dare una risposta più umana e coordinata alle sfide delle migrazioni
contemporanee. La rete di autorità locali e organizzazioni della società civile, che
da questo progetto è nata, si prefigge di contribuire positivamente allo sviluppo
di politiche migratorie che rispondano a questo fine.
Lo scenario migratorio attuale è complesso e spesso presenta risvolti
drammatici. Le interdipendenze globali che determinano i flussi migratori sono
da studiare e capire meglio. Le sfide sono molteplici e interpellano tutti. Nessuno
può rimanere indifferente alle tragedie umane che continuano a consumarsi in
diverse regioni del mondo. Tra queste ci interpellano spesso quelle che hanno
come teatro il Mediterraneo, un mare di confine, ma anche di incontro di culture.
Nel febbraio scorso, durante l’Incontro – molto positivo – con i Vescovi del
Mediterraneo, a Bari, ricordavo come «tra coloro che nell’area del Mediterraneo
più faticano, vi sono quanti fuggono dalla guerra o lasciano la loro terra in cerca
di una vita degna dell’uomo. […] Siamo consapevoli che in diversi contesti
sociali è diffuso un senso di indifferenza e perfino di rifiuto […]. La comunità
internazionale si è fermata agli interventi militari, mentre dovrebbe costruire
istituzioni che garantiscano uguali opportunità e luoghi nei quali i cittadini
abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune […]. Nel contempo, non
accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso
[…]. Certo, l’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappe di un processo
non facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri» (Discorso,
23 febbraio 2020).
Di fronte a queste sfide, appare evidente come sono indispensabili la solidarietà
concreta e la responsabilità condivisa, a livello sia nazionale che internazionale.
«L’attuale pandemia ha evidenziato la nostra interdipendenza: siamo tutti legati,
gli uni agli altri, sia nel male che nel bene» (Udienza generale, 2 settembre
2020). Bisogna agire insieme, non da soli.
È anche fondamentale cambiare il modo di vedere e raccontare la migrazione: si
tratta di mettere al centro le persone, i volti, le storie. Ecco allora l’importanza di
progetti, come quello da voi promosso, che cercano di proporre approcci diversi,
ispirati dalla cultura dell’incontro, che costituisce il cammino verso un nuovo
umanesimo. E quando dico “nuovo umanesimo” non lo intendo solo come
filosofia di vita, ma anche come una spiritualità, come uno stile di
comportamento.
Gli abitanti delle città e dei territori di frontiera – le società, le comunità, le
Chiese – sono chiamati ad essere i primi attori di questa svolta, grazie alle
continue opportunità di incontro che la storia offre loro. Le frontiere, da sempre
considerate come barriere di divisione, possono invece diventare “finestre”, spazi
di mutua conoscenza, di arricchimento reciproco, di comunione nella diversità;
possono diventare luoghi in cui si sperimentano modelli per superare le difficoltà
che i nuovi arrivi comportano per le comunità autoctone.
Vi incoraggio a continuare a lavorare insieme per la cultura dell’incontro e della
solidarietà. Il Signore benedica i vostri sforzi in questo senso, e la Madonna
protegga voi e le persone per cui lavorate. Io prego per voi, e voi, per favore,
non dimenticatevi di pregare per me. Che il Signore benedica tutti voi, il vostro
lavoro e i vostri sforzi per andare avanti in questa direzione. Grazie.